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Articolo 21 - Libri e Giornalismo
Green Italy ( di Ermete Realacci)
Green Italy ( di Ermete Realacci)

Possiamo battere la crisi? Non sarà facile, ma la risposta è sì. Se sapremo guardare l’Italia con occhi diversi da quelli delle agenzie di rating, con l’affetto e la curiosità necessari a cogliere i nostri tanti talenti. Ermete Realacci prova a farlo. Racconta, dal Nord al Sud, storie di un’alleanza tra imprese e comunità, tra ambiente e nuovi modi di vivere che possono traghettarci verso un paese più desiderabile e più competitivo. È Green Italy. Dove la green economy sposa le vocazioni nazionali, tiene insieme le tradizioni con l’elettronica e la meccanica di precisione. Punta su qualità, ricerca e conoscenza per produrre un’economia più sostenibile e innovativa. Si apre ai mercati globali e rinsalda i legami con il territorio, facendosi forte della coesione sociale e del capitale umano. È la via di un patriottismo dolce che può cambiare l’Italia. Un’idea di futuro per l’economia, la società, la politica.

Ermete Realacci
, ambientalista e parlamentare, è presidente onorario di Legambiente. Ha promosso e presiede Symbola, la Fondazione per le Qualità italiane. Ha scritto con Antonio Cianciullo il libro SOFT ECONOMY (Bur, 2005).

GREEN ITALY
Perché ce la possiamo fare
di Ermete Realacci
Prefazione di Ivan Lo Bello
Postfazione di Alberto Meomartini


Chiarelettere, Reverse
In libreria dal 23 febbraio 2012
pp. 336
euro 15,00

“CHI GOVERNA DEVE AVERE A CUORE MASSIMAMENTE LA BELLEZZA DELLA CITTÀ, PER CAGIONE DI DILETTO E ALLEGREZZA AI FORESTIERI, PER ONORE, PROSPERITÀ E ACCRESCIMENTO DELLA CITTÀ E DEI CITTADINI.”
Costituto di Siena, 1309

Postfazione
di Alberto Meomartini


L’Italia come Macondo
Tra i benefici della crisi attuale, come di qualsiasi crisi, c’è
quello di essere costretti a un esame di realtà.
Siamo inevitabilmente legati a convenzioni, pregiudizi
e schemi, sin tanto che essi ci consentono di interpretare
e di beneficiare di una parte per noi soddisfacente della
realtà.
I pregiudizi, i preconcetti, gli schemi, in quanto condivisi
sono anche la inevitabile infrastruttura culturale e normativa
della nostra convivenza. E anche qui: sino a quando
la realtà che impatta sulla nostra convivenza sociale è spiegata
e trattata in modo complessivamente soddisfacente, i
paradigmi reggono e ben pochi hanno voglia di metterli
in discussione. Chi lo fa, i pionieri e i visionari, i geni, gli
anticipatori, difficilmente trovano ascolto, finché questa
operazione non comincia a corrispondere a un’esigenza
diffusa. È effettivamente quello che negli ultimi anni sta
accadendo: ci troviamo in una crisi che – è del tutto evidente
– è crisi economica, istituzionale, politica perché è,
in origine, crisi di valori, cioè crisi di significati.
Molti eventi nell’ultimo ventennio ci hanno fatto esplodere
la realtà tra le mani, verrebbe da dire. In verità, quello
che è andato in pezzi è una gran parte degli schemi concettuali,
dei significati, quindi dei valori, con i quali almeno
nella parte occidentale del mondo abbiamo per decenni convissuto,
che abbiamo utilizzato per i nostri scambi e le nostre
relazioni. Siamo costretti a prendere atto della inevitabile
limitatezza di qualsiasi schema, ma siamo anche sfidati a renderci
conto che è possibile crearne di nuovi, è possibile condividerli,
è possibile affermarli. Per qualche verso, di fronte
alle novità del presente, ci troviamo nella situazione degli
abitanti di Macondo, in Cent’anni di solitudine: «Il mondo
era così recente che molte cose erano prive di nome, e per
citarle bisognava indicarle con il dito». La realtà che abbiamo
davanti obbliga a ridefinire in continuazione modi e confini
del nostro agire, a cogliere e ad adeguarsi ai movimenti di
sistole e diastole di un organismo vivo e vitale.

Una prospettiva di economia e di impresa a misura d’uomo
Una rassegna di casi come quelli presentati in Green Italy
diventa, allora, un mattone di grande valore: fatti e realtà –
tutt’affatto il contrario di sogni, immagini, utopie – offerti
sotto una descrizione che ne pone in luce tratti caratteristici
che le affermano come novità e come possibilità, come
esempi passibili di espansione, riproduzione.
La strada che Ermete Realacci ci propone, che leggiamo
in filigrana dietro queste venticinque storie d’eccellenza tricolore,
è una delle più promettenti in questo mondo dove
dobbiamo imparare di nuovo a chiamare le cose. La green
economy è oggi la via lungo la quale già tante imprese cercano
e trovano la soluzione alla crisi.
È una realtà imprenditoriale importante, e per certi
versi sorprendente. Come dimostra anche il «censimento»
svolto da Assolombarda, e come dimostra il successo dello
sportello Usa Green Economy, lanciato per potenziare le
relazioni e gli accordi tra aziende italiane e americane del
settore. Un grande segnale di vitalità delle nostre imprese,
incluso il sistema delle piccole imprese.
È un nuovo paradigma nel quale trova espressione anche
la vocazione italiana alla qualità – quella da sempre promossa
dai lavori di Symbola – inclusivo dei valori del made
in Italy e della nostra eccellenza manifatturiera. Le venticinque
storie di Green Italy lo mettono in luce: sono per
questo un po’ una guida per la ricerca e l’identificazione di
nuovi schemi concettuali, interpretativi, valoriali. Sarebbe
infatti riduttivo guardare a una sola di esse, in quanto l’una
sottolinea per esempio maggiormente aspetti di innovazione
tecnologica o di responsabilità sociale, piuttosto
che di affermazione della legalità, piuttosto che di tutela
ambientale e così via. E, soprattutto, tutte rappresentano
una prospettiva di economia e d’impresa più a misura
d’uomo, e anche per questo più in grado di competere.
Quel che principalmente vale è l’insieme che viene rappresentato
da queste esperienze, un insieme complessivamente
costituito da organizzazioni sociali ed economiche che si
mostrano adeguate alle attuali emergenze della società,
dove per emergenze intendo gli aspetti prevalenti e caratterizzanti.
Se questo è il punto d’osservazione per Green Italy,
allora l’appuntamento dell’Expo 2015 a Milano può essere
una straordinaria occasione per restituire al mondo, e a noi
stessi, questa immagine dell’Italia, di un paese che avanza,
coralmente, verso il futuro.

Le radici e le ali
Certo, colpisce che ci siano tanti tratti di «antico» in queste
novità. Mi è sempre piaciuta un’affermazione del sociologo
Ulrich Beck, riguardo alla necessità di avere «le radici e le
ali». Mi sembra stia a indicare che vi sono dei fili di continuità
nella realtà, così come in ciascuno di noi, che rimangono
per alcuni periodi sconosciuti o sotto traccia per poi
essere sollecitati a riemergere in relazione ai cambiamenti
che la realtà impone e l’uomo si trova a fronteggiare.
Una metafora ci aiuta a restituire uno dei filoni che percorrono
in profondità tutto Green Italy, e di cui è bene
far tesoro: è quella dell’altra faccia della Luna. Il 1968 fu
un anno critico per gli Usa: l’inasprimento della guerra in
Vietnam, l’uccisione di Bob Kennedy e di Martin Luther
King. Allora, gli Stati Uniti pensarono di realizzare qualcosa
di non previsto, che potesse ridare fiducia al paese. La
Nasa organizzò una missione non programmata, il lancio
dell’Apollo 8, per portare l’uomo per la prima volta intorno
alla Luna, a guardarne con i propri occhi la faccia nascosta.
Il viaggio più lungo e avventuroso mai realizzato. Di quella
missione, restano soprattutto un’immagine e un’emozione:
girando dietro alla Luna, l’uomo scopre di colpo la bellezza
e l’importanza del luogo da cui è partito, e Frank Borman
scatta questa straordinaria fotografia dell’alba della Terra
vista dalla Luna.
La metafora finisce qui. È il viaggio delle nostre imprese
nei mercati più lontani, che ci fa scoprire l’importanza del
territorio da cui veniamo e la necessità di trovare qui le basi
e le condizioni per sviluppare le imprese stesse.
Ma è, questa, una constatazione per nulla scontata: piuttosto
rappresenta la sfida di quei «lavori in corso» che i casi
presentati da questo libro portano alla luce.
Un futuro verosimilmente caratterizzato da profonde
discontinuità con quanto abbiamo sin qui vissuto, che
ci chiama quindi a una particolare responsabilità quanto
a una sua costruzione, ma che è già oggi costruito nel
momento nel momento in cui ci sentiamo e ci mettiamo
da subito in gioco.
Ancora una volta non è una «scoperta» che ne spiazza
un’altra: è un sistema di convinzioni (e di tecnologie, ma
vengono dopo) che ne spiazza un altro. Allora correggo
quello che sostenevo prima: certo, il libro è un esame di
fatti e di realtà, ma quanti sogni ci sono dentro. Altrimenti,
a che servono le ali?
 

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