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Si dimettano per primi gli avversari di Berlusconi
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di Nicola Tranfaglia

Si dimettano per primi gli avversari di Berlusconi

Non so se, alla fine dell’esperienza di governo di Silvio Berlusconi che ormai si avvicina a compiere i diciassette anni, avrò ragione io che dall’inizio ho parlato di “populismo autoritario”(edito da Baldini e Castoldi Dalai) su cui ho scritto un libro, ignorato come era logico in Italia, da tutti  i mezzi di comunicazione persino dai giornali più vicini a me, se si esclude “il Fatto Quotidiano” grazie all’attenzione di Antonio Padellaro, o una “democrazia dispotica” come afferma Michele Ciliberto in un libro (edito da Laterza) di cui parlerò prossimamente in qualche sede. Ma non ha grande importanza una simile distinzione se non per gli studiosi di scienza politica.
Fatto sta che siamo in una situazione drammatica che nessuno può negare. Abbiamo un presidente del Consiglio che ha vinto per la terza volta nell’aprile 2008, che ha perduto la maggioranza parlamentare alla Camera dopo due anni, che subisce una scissione come quella di Fini e di chi lo segue, e non intende mettere in discussione il proprio ruolo e la poltrona su cui siede.
Abbiamo conflitti insanabili, come è stato detto molto autorevolmente, tra gli organi dello Stato a cominciare da quello tra la maggioranza parlamentare e la magistratura, tra il presidente della Camera e quello del Senato ma Berlusconi non intende neppure lontanamente dimettersi né andare alle elezioni anticipate.
Uno dei leader del centro sinistra, l’onorevole Massimo D’Alema, ha lanciato la proposta di formare una coalizione di tutte le forze che sono all’opposizione in parlamento sperando così di costringere il capo del governo ad accedere allo scioglimento delle elezioni che spetta peraltro al Capo dello Stato e non ad altri decidere e determinare.
Insomma ormai si succedono gli inviti pressanti alle dimissioni del leader populista e indirettamente al presidente della Repubblica a provvedere di conseguenza ma chiunque conosca Berlusconi (per ragioni di studio o di rapporti personali) sa che l’ex imprenditore milanese non si dimetterà né controfirmerà un decreto di scioglimento del Capo dello Stato a cui non sia favorevole.
E allora che cosa può succedere nelle prossime settimane e mesi per sbloccare una situazione che appare incartata e tale da poter andare avanti per i prossimi sei o dodici  mesi? O ancora di più?
Questa è la domanda centrale, alla quale non abbiamo ancora sentito rispondere né i leader del centro-sinistra né tanto meno quelli del centro-destra, se si esclude la timida apertura alle elezioni da parte della Lega Nord e del suo capo Umberto Bossi.
In una simile situazione qualcuno vorrebbe invocare i classici o antichi esempi ma, ad essere onesti, non riesco a ricordare precedenti.
Certo il presidente Scalfaro il 13 gennaio 1994 scioglie le Camere per le elezioni anticipate che si svolgeranno il 27 marzo 1994 e che segneranno la prima vittoria elettorale di Silvio Berlusconi.
Ma è un precedente che non si può invocare per una serie di ragioni che non è il caso di riassumere. Basti dire che accanto alla mancanza di una maggioranza parlamentare sicura c’erano altre cause storiche maturate con chiarezza nel binomio 1992-1993 che oggi non sembrano esserci.
Di qui la necessità di trovare un meccanismo che risponda al no scontato del presidente del Consiglio di accettare la fine della sua maggioranza e la necessità di andare alle urne.
Mi sembra che ci sarebbero le condizioni, e sarebbe probabilmente l’unica soluzione efficace - di sostituire alle dimissioni invocate, ma sempre rifiutate, del presidente del Consiglio e del suo governo - dimissioni volontarie e reali delle forze di opposizione presenti nel parlamento nazionale che rappresentano, in questo momento, una possibile maggioranza parlamentare e nello stesso una maggioranza sicura nel paese. 
Immagino già un’obbiezione che ha qualche radice storica ed è presente in larga parte dell’opinione pubblica nazionale. Non stiamo proponendo un nuovo Aventino che lascerebbe spazio libero alla maggioranza di PDL e alla Lega presenti in parlamento, disposta ad andare avanti comunque?
A questa domanda si può rispondere con chiarezza.
Se le forze di opposizione, dal PD all’IDV, dal UDC al FLI, lasciassero il parlamento, il presidente della Repubblica non potrebbe non prenderne atto e sciogliere le Camere. Altrimenti il vulnus costituzionale sarebbe tale da impedire alle Camere di funzionare e al Presidente della Repubblica di proseguire il proprio lavoro.
In altri termini si determinerebbe una situazione davvero insostenibile e tale da non persuadere Berlusconi a lasciare il potere ma a convincere l’opinione pubblica, per quanto manipolabile e manipolata, a prender atto che la situazione è diventata ormai incontrollabile.
Qualsiasi progetto di futura riforma per quanto astratto e indicato solo per prorogare la fine della legislatura crollerebbe e la grande maggioranza degli italiani si disporrebbe ad affrontare la lotta elettorale.
Esiste oggi una possibilità più morbida e più praticabile nella politica italiana? Io francamente ne dubito e non vedo tra quelle che emergono con frequenza in queste settimane nessuna alternativa.  


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