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Con il cinema iraniano, per la libertà dei registi Panahi e Rasulov
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di Ahmad Rafat

Con il cinema iraniano, per la libertà dei registi Panahi e Rasulov

Lunedì sera, alle ore 20, al Cinema Barberini di Roma, voci autorevoli del cinema italiano si riuniscono per parlare della libertà e della democrazia in Iran e per esprimere la propria solidarietà a Jafar Panahi e Mohammad Rasulov, due registi iraniani condannati a sei anni di reclusione e 20 di divieto di realizzare opere cinematografiche, di viaggiare all’estero e di ogni contatto con la stampa. Anche se il caso di Jafar Panahi e Mohammad Rasulov è il più eclatante, ma è tutto il cinema iraniano che si trova nel mirino del regime iraniano.  Il documentarista Mohammad Nourizad,  fedelissimo del regime che si è permesso di criticare la Guida Suprema, Ayatollah Seyyed Ali Khamenei, da mesi si trova in carcere, e secondo i familiari è stato oggetto di torture fisiche e psichiche.

Altri cineasti, in questi ultimi due anni, sono stati arrestati e rilasciati. A molti non vengono più concesse le autorizzazioni necessari per girare un film. Diversi sono costretti a trasferirsi all’estero, ed altri obbligati a realizzare i loro film fuori dai confini del paese. Nomi conosciuti della cinematografia iraniana che hanno offerto al pubblico internazionale film bellissimi e indimenticabili, ognuno premiato in più festival, come Amir Naderi, Mohsen Makhmalbaf, Babak Payami, Shirin Neshat, Samira Makhmalbaf, Bahman Ghobadi, Marzieh Mershkini, Hana Makhmalbaf, Fariborz Kamkari, Azar Shojaii,  Ayat Najafi, Sepideh Parsi, Rafi Pittds, Hossein Kershavarz, Ramin Bahrani, sono costretti a vivere all’estero. Altri come il maestro Abbas Kiarostami costretti a lavorare all’estero. Anche Asghar Farhadi, il regista di “A proposito di Eli” che all’ultimo festival di Berlino con il suo nuovo film “Separazione di Nader da Simin” ha vinto ben tre orsi, uno d’oro e due di argento, ha dichiarato in una intervista di aver deciso di “stabilirsi temporaneamente in Germania”.  Non solo registi di fiction, ma anche documentaristi sono costretti a rifugiarsi all’estero. Golshifteh Farahani, una delle stelle del cinema iraniano è stata costretta a rifugiarsi in Europa, dopo aver girato un film negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti si trova anche Shohreh Aghdashlou, candidata qualche anno fa all’Oscar come attrice non protagonista.

Da un calcolo approssimativo, almeno 120 registi, attrici, attori, direttori di fotografia, e maestranze del cinema hanno lasciato negli ultimi anni l’Iran. Solo nel Nord dell’Iraq, nelle regioni curde, i registi iraniani hanno realizzato, negli ultimi 3 anni, ben 23 film che non avevano ottenuto i permessi necessari per essere girati nella Repubblica Islamica. Abbas Kiarostami ha girato il suo ultimo film in Italia ed ha scelto il Giappone per il prossimo. Bahman Ghobadi sta girando un film in Turchia, Babak Payami inizierà tra poco a girare negli Stati Uniti, Nader Ameri ha girato i suoi ultimi film negli Stati Uniti, così come la famiglia Makhmalbaf ha lavorato in Tajikistan, India e Afghanistan. Fariborz Kamkari ha scelto l’Iraq, Ramin Bahrani New York,  la documentarista Firouzeh Khosravani l’Europa, il cortometrtaggista Ayat Najafi la Germania. L’Iran del film “Donne senza Uomini” di Shirin Neshat, premiato con un Leone d’Argento a Venezia, è stato ricostruito in Marocco. Non si tratta di scelte artistiche, ma spesso di scelte obbligate per l’impossibilità di girare in Iran.

Jafar Panahi e Mohammad Rasulov sono stati arresta un anno fa, una serata di marzo, a Teheran. Stavano, insieme ad altre 10 persone, a cena a casa del regista de “Il Cerchio”. Sono finiti tutti in carcere in seguito ad una irruzione degli agenti del Ministero dell’Intelligence iraniano. L’accusa  per Jafar Panahi e Mohammad Rasulov è quella di aver pensato e discusso a proposito di un film da realizzare sugli eventi post elettorali in Iran. In altre parole Panahi e Rasulov avevano osato pensare ad un film sull’Onda Verde. Anche se i due registi hanno respinto questa accusa, ma ci troviamo davanti a un processo ai pensieri che si è concluso con 6 anni di carcere e 20 di divieto di lavorare e parlare. Più volte ho pensato che questa condanna non è solo ingiusta, ma surreale. Mi è sembrato un tuffo nel passato, quando bastava avere i capelli di un colore diverso per finire sul rogo con l’accusa di stregoneria.

La condanna di Panahi, uomo coraggioso e impegnato e non solo un grande regista, non è accettabile. Con lui si vuole condannare un cinema che malgrado le forte limitazioni e le ancor più forte pressioni, ha cercato di offrire al mondo uno spaccato della società iraniana. Condannando Panahi, si vuole mettere il bavaglio al cinema, al teatro, alla scrittura, alla poesia e alle arti figurative dell’Iran. Se la condanna di Jafar Panahi, uno dei nomi più conosciuti del mondo dell’arte e della cultura iraniana, sarà confermata in seconda istanza,  quale altro giovane regista, poeta, scrittore o artista del paese troverà il coraggio di esprimersi liberamente.

Le serate come quella di lunedì 28 febbraio a Roma, o di martedì 1 marzo a Torino  (ore 20 al cinema Massimo) servono a far capire al regime iraniano che Panahi, Rasulov e tutti gli altri artisti ed intellettuali iraniani non sono soli. Bisogna trasformare queste serate in uno strumento di pressione sul governo iraniano, perché riveda la sentenza contro Panahi e Rasulov. Bisogna chiedere ai governi europei di intervenire con fermezza su Teheran per restituire a Pahani e Rasulov la loro piena libertà personale e professionale. Il governo iraniano ha la possibilità di rivedere la propria decisione durante il processo di seconda istanza. E noi abbiamo poco tempo a disposizione per restituire a Jafar Panahi e Mohammad Rasulov  la loro libertà.


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