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Articolo 21 - Editoriali
La crisi del prodismo
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di Biagio Marzo

da L'Opinione

Nel corso dello scontro all’interno della maggioranza, anche l’opposizione ha avuto la sua bella gatta da pelare. Da una parte l’Udc si agitava per segnare il passo di autonomia dal resto della coalizione e per lanciare un ponte verso la Margherita, dall’altra alcuni petali di questa vedevano di buon occhio la manovra degli ex Dc della maggioranza come tentativo di costruire insieme un centro politico rifiutando ogni condizionamento da parte della destra e della sinistra. Romano Prodi ha fatto lo gnorri e alla fine non ha aiutato a portare in porto l’operazione. Anzi. Non a caso, Arturo Parisi, in una intervista su “la Repubblica”,  ha spiegato che “sono state sconfitte le tentazioni centriste”. Ha aggiunto: ”In entrambi i campi dovranno riflettere”. E ha concluso: “Il centro non è il luogo dove si fa l’occhiolino. Prima che un luogo della politica, è un fatto della società, un luogo che si chiama classe media, al cui interno le coalizioni sono chiamate a competere”. Più chiaro di così si muore. Chi ha orecchie ha inteso benissimo cosa voleva dire e a chi si riferiva. Naturalmente, i Ds sono scampati da un grave pericolo politico, perché Prodi non ha permesso che si chiudesse l’operazione di congiungimento tra Udc e Margherita. Secondo la legge fisica: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. A detta di alcuni bene informati, Massimo D’Alema ha giocato duro e ha tentato di sfogliare la Margherita, per prendersi i petali prodiani, lasciando al loro destino quelli neo centristi di Rutelli e Marini. Dunque, avrebbe puntato a un triciclo riveduto e corretto, costituito dai Ds e dai prodiani, supportato da un ricambio generazionale che, guarda caso, riguardava tutti meno lui e Prodi. Il quale Prodi  è sempre più diffidente della situazione all’interno della sua coalizione. Menomale che ha dalla sua l’alleanza con D’Alema. Chi l’avrebbe mai detto che i due così diversi politicamente e culturalmente potessero trovare una intesa. Dopo tanto spargimento di veleno sulle dimissioni di Prodi e il conseguente ingresso di D’Alema a Palazzo Chigi c’è stato il miracolo che solo in politica succede: i due hanno stretto un patto di mutuo soccorso. Mentre Prodi, in autunno, da Bruxelles rientrerà a Roma per riprendersi la leadership dell’Ulivo, D’Alema farà, viceversa, per la prima volta da europarlamentare il viaggio all’incontrario da Roma a Strasburgo. Per la verità D’Alema pensava che il suo mettere piede nel Parlamento europeo avvenisse in modo più solenne, ma a sue spese si è accorto che le sue ottocento mila preferenze non sono valse a nulla, ragion per cui dovrà fare il semplice parlamentare. Quindi, le sue ambizioni sono svanite: neanche per sogno presidente del Parlamento europeo e nemmeno presidente del gruppo del Pse. L’unica via che gli resta è quella di “amatizzarsi” (leggi Giuliano Amato), una risorsa sempre a disposizione delle istituzioni, del partito e della coalizione.
Un tempo un politico così veniva classificato come notabile per cui veniva rispettato e ossequiato e quando la fortuna girava per il verso giusto, trovava anche una degna poltrona di governo su cui sedersi.
Alla luce dei fatti che stanno accadendo dentro l’Ulivo, per Prodi la situazione non è tra le migliori: coloro che vogliono che ritorni presto per rilanciare la coalizione, sono proprio coloro che lo vorrebbero mettere fuori gioco. Oltretutto, non sta sulla cresta dell’onda: nella ricerca di Diamanti si ferma al 22 percento di gradimento e anche i sondaggi più o meno riservati lo danno in forte calo. Paradossalmente la crisi del berlusconismo sta mettendo in crisi il prodismo. Tuttavia, Prodi non demorde e vorrebbe rilanciarsi con le primarie. Sotto molti aspetti, un oggetto misterioso di cui è facile parlare, ma difficile metterlo in cantiere. Parisi solo lo sa, ma lui più che un politico è un politologo. Basti pensare come cadde il governo Prodi per diffidare degli studiosi alla Parisi, il quale di numeri e di cose pratiche non capisce un acca.

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