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Articolo 21 - Editoriali
Tutti gli uomini di Berlusconi nei partiti degli altri
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di Ninni Andriolo

da L'Unità

ROMA Un partito non gli basta, ne vuole quattro. Un centrodestra modello Mediaset con An, Lega e Udc alle sue dipendenze come fossero Canale 5, Italia 1 e Rete 4. Una Casa delle libertà a immagine e somiglianza di Forza Italia con un lider maximo che promuove meeting di Assago, raduni di Pontida, feste del Secolo d’Italia e campagne di tesseramento per gli ex democristiani. Dentro le altre forze di destra il premier può contare su «vassalli» leali più a lui che ai propri leader
«Berlusconi prova a prendere anche l’interim dell’Udc»: un quotidiano sintetizza così l’intesa Cavaliere-Buttiglione per destabilizzare la leadership di via Due Macelli. Il presidente operaio, contadino, imprenditore, tranviere, e adesso anche medico di famiglia, vuole curare i mal di pancia della sua maggioranza somministrando la pozione miracolosa del «superpartito di Silvio»: chiamare a raccolta i fedelissimi che gli fanno sponda dalle diverse stanze della Casa padronale per puntellare un trono traballante e spazzare via ogni dissenso.
Un dottoricchio che prescrive tisane al paziente che avrebbe bisogno di trasfusioni. Non c’è traccia di visione alta, di lungimiranza, di progetto o di respiro politico nelle mosse del capo del governo alle prese con un Paese alla deriva che imbarca acqua da tutte le parti. C’è solo, come dice Luciano Violante, «un vivacchiare in attesa della Provvidenza» e la conta del chi è con me e del chi è contro di me. Benevolenza, promozioni e mance per i fedeli. Congiure e vendetta per gli infedeli.
Il superpartito comprende la Lega, correnti dell’Udc e di An e, naturalmente, Forza Italia (ma anche lì cova il malessere post elettorale, come fuoco sotto la cenere). Il leghista Calderoli - «ministro bontempone», definizione coniata da Pierluigi Castagnetti - è diventato una sorta di «portavoce del premier». Un rubicondo Bonaiuti bis che bacchetta , a comando, gli alleati di governo recalcitranti, investito dell’autorità che promana dall’ex poltrona di Bossi sulla quale si è padanamente accomodato.
Padanamente, perché quella di Calderoli è, in realtà, una fedeltà condizionata. Come la «fiducia» al governo («l’ultima») che i leghisti hanno concesso alla Camera la settimana scorsa. Condizionata, cioè, all’approvazione della devolution. L’appoggio del Carroccio a Berlusconi non è senza «se» e senza «ma». In esso c’è la dimostrazione che il superpartito di Silvio poggia sull’argilla. Nella base leghista, ma anche nei vertici, cresce il malumore anti governo. E «l’alleato più fedele» potrebbe voltare le spalle, con o senza devolution.
Se lo sfacelo governativo dovesse continuare, Bossi potrebbe separare il suo destino da quello del Cavaliere, amministrare nelle sue valli la «spaccatura del Paese» ottenuta con il federalismo e ricavarci sopra una rendita che tenga insieme le truppe padane in vista delle elezioni politiche, anticipate o meno che siano.
Malgrado il «contratto» di cui scrive - non smentito - il Riformista? Sì, malgrado quello. Quel patto siglato davanti al notaio esisteva già quando la Lega decise di non votare la forzista Ombretta Colli alla Provincia di Milano, a costo di far vincere un «ex comunista», Filippo Penati. Ma quel contratto la dice lunga sullo «stile Silvio», sulle sue capacità di venditore di illusioni e di compratore di vassalli.
«Si sarebbe impegnato a garantire alcuni prestiti alla Lega a patto che non esca dall’alleanza - leggiamo -. Qualora decidesse diversamente, il Carroccio dovrebbe restituire con effetto immediato i denari imprestatigli, utilizzati nel frattempo per finanziare i media leghisti». Un superpartito costruito a suon di miliardi, quindi.
Miliardi e non solo. Nella gratitudine dichiarata da Buttiglione al premier, dopo l’investitura per la Commissione Ue, c’è qualcosa di patetico. Berlusconi utilizza «Rocco» per saldare i conti con Follini e il ministro Udc gli attribuisce pubblicamente patenti di lealtà e di lungimiranza. Si rimane interdetti a leggere i resoconti di ciò che è accaduto a Palazzo Chigi dopo la riunione del vertice Udc convocato venerdì scorso da Follini. Con Giovanardi e Buttiglione che raccontano i retroscena di una riunione riservata e con il presidente del Consiglio che li esorta a tentare il colpo di mano per defenestrare il leader del loro partito.
«Se avete la maggioranza andate fino in fondo - insiste Berlusconi - Io mi sono stancato di alzare sempre l’asticella con quello (con Follini, ndr.). Io, Rocco, la tua nomina la faccio oggi. Ma poi voglio atti concreti. Voglio che la situazione si chiarisca». L’obiettivo del premier è quello di iscrivere al supepartito tutti i ministeriali Udc, promettendo e regalando ricompense appetitose. L’Europa a Buttiglione, la vicepresidenza del Senato a D’Onofrio, una poltrona di governo a Baccini. Il tutto per mettere Follini davanti al fatto compiuto e per costringerlo a dimettersi o adeguarsi ai suoi voleri.
E Alleanza Nazionale? Il Cavaliere ha riportato all’ovile ancora una volta Gianfranco Fini che, fino all’altro ieri, filava d’amore e d’accordo con Follini e adesso parla senza remore dell’ «atteggiamento pericoloso e senza senso» di una segretario Udc che continua a chiedere che la Casa delle libertà si trasformi da «monarchia» a «repubblica costituzionale».
Dentro Alleanza Nazionale il più guardingo nei confronti del premier è il governatore del Lazio, Francesco Storace. Mentre La Russa annuncia senza incertezze che «il centrodestra comunque nel 2006 sarà guidato da Berlusconi» e Gasparri - il ministro che ha dato il suo nome alla legge che rinsalda l’impero Mediaset - parla bonariamente di «Silvio» come di una «persona comune, molto umana e simpatica, che fa le corna e ha dimostrato anche di aver i tacchi finti»: caratteristiche che descrivono il profilo di statista dell’inquilino di Palazzo Chigi e del padrone assoluto del superpartito di Palazzo Grazioli.

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