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Articolo 21 - Editoriali
Parlare di Berlusconi
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di Corrado Stajano

da L'Unità 

Tutto, si potrebbe dire, è affidato all’Italia che lavora, si arrabatta, cerca di salvarsi dagli strangolamenti di una crisi grave e finisce col sacrificarsi per gli altri. L’Italia ufficiale è lontana, occupata nella difesa dei propri interessi particolari. Il bene comune non conta ed è arduo che in simili condizioni le due Italie riescano a comporsi, a creare quell’idea di nazione che dovrebbe far da fondamento a una vita civile. Sono i princìpi generali, essenziali per rendere vitale una comunità, a mancare o a divergere. Com’è possibile parlare di unità degli italiani quando la coalizione di maggioranza è formata da nazionalisti centralisti, da moderati, da conservatori-reazionari e da un movimento, la Lega, che gioca tutte le sue carte sulla divisione, sulla scissione, sulla secessione che adesso ha preso il nome di devolution, una disgrazia per l’intero Paese.  Forze politiche che proclamano di credere nell’unità nazionale sembrano ricattate e al momento delle decisioni si ritirano impaurite da quel che forse vorrebbero fare. Non bisogna di certo sperare che siano altri a sciogliere la matassa. Durante la verifica - chiamiamola così - Follini e i suoi centristi hanno votato senza crisi di coscienza una pessima legge sul conflitto di interessi. (Come sempre, in questi tre anni, hanno votato vergognose leggi per favorire gli interessi del premier e per toglierlo dai gravi guai giudiziari in cui è incappato).
Bisogna, questo sì, tener conto delle differenze, saper distinguere, usare i contrasti dell’avversario, senza dimenticare mai che è Berlusconi il perno intorno al quale gira il sistema della Casa delle libertà.
Ã? davvero sbagliato predicare, come fanno certe belle anime, di lasciare in pace Berlusconi, di non perdere tempo nella polemica politica con lui che ne trarrebbe soltanto giovamento. Chissà come. Non sembra proprio che sia così compiaciuto, lo si vede dalle sue scomposte reazioni. Ci vuol poco a capire che Berlusconi, il sommo doroteo, è il mastice che tutto lega nel centrodestra, che il suo ruolo è ovviamente centrale, se persino i suoi alleati lamentano il suo comportarsi da monarca. Se mai, fino al 2001, è stata l’opposizione a sbagliare con la sua delicatezza. La coalizione di maggioranza, senza la leadership di Berlusconi, senza i suoi poteri materiali e finanziari, senza i favori che dispensa, sarebbe già andata in mille pezzi come finirà col fare per incapacità di governo, per logoramento e perché le leggi dell’economia della crisi sono di ferro.  Berlusconi venderà cara la pelle, perché nella politica, lui che è «sceso in campo» come l’uomo dell’antipolitica, ha investito tutto se stesso, pubblico e privato. Intorno al Cavaliere, nel 1994, si è creato un blocco sociale difforme e pericoloso. Formato da uomini e donne che si sono ingenuamente illusi, specchiandosi nelle ricchezze del premier, di conquistare anche per sé una vita migliore. Sono i portatori d’acqua, quelli che ora si sono resi conto, o stanno per farlo, che le premesse di Berlusconi erano solo delle panzane da circo equestre e, incattiviti, non nascondono la loro delusione.
Ci sono poi coloro che hanno compreso subito come il mancato e proclamato rispetto della legge, la deregolamentazione domestica, li avrebbe favoriti e l’hanno seguito. Ci sono ancora i titolari di interessi specifici che da sempre hanno navigato nel torbido per i loro affari e infatti sono usciti arricchiti dopo l’approvazione di certe leggi, il falso in bilancio, la sistematica cancellazione delle regole, il clima di sfaldamento delle strutture di controllo.
La piccola borghesia e il grande capitale agrario e industriale fecero da puntello alla nascita del fascismo. I tempi sono profondamente mutati da allora, come la società italiana. Il blocco che sostiene Berlusconi è molto più ampio e differenziato. Le grandi famiglie dell’industria e della finanza sono scomparse quasi del tutto. Sostituite dai mitizzati titolari delle partite Iva, dai «fai da te», dai commendator Borghi Novelli (il fondatore della Ignis degli anni 60), dai piccoli-medi imprenditori non soltanto del Nord-Est del Paese: sono stati loro i capisaldi del magma sociale che ha votato Berlusconi.
Che cosa sta accadendo adesso che i nodi vengono al pettine e si capisce sulla carne viva come le bugie hanno le gambe corte? Anche questi grandi e piccoli elettori, in misura diversa, sono in crisi, nonostante negli ultimi anni abbiano fatto i soldi per lo più in nero. Ma adesso è cambiato il vento e il Cavaliere è diventato il capro espiatorio. Si sa, ciò che tocca oro diventa. Ma questo non vale per gli altri. Al depauperamento collettivo, infatti, corrisponde l’arricchimento intensivo del premier e della sua famiglia. (Lo favoriscono persino le tasse e le imposte che è costretto a porre per sanare i buchi, visto quel che possiede oltre alle Tv: assicurazioni, banche, interessi disparati). Come mai i morbidi cantori dell’ambiguità non capiscono quanto sia suicida risparmiare Berlusconi dalla critica, tacere dei suoi misfatti e della sua mancanza di senso dello Stato? Non è questo il dovere dell’opposizione? O preferiscono l’opposizione formale e un po’ pretesca di sua maestà? Pare di avere le traveggole, talvolta.
Il centrosinistra è sorretto da un blocco sociale meno frastagliato, più legato alla memoria storica. Non è per niente assodato che le elezioni si vincano al centro. Anche al centro, certamente. Ma la vittoria di Penati, il candidato di tutto il centrosinistra e di Rifondazione alle Provinciali di Milano e la vittoria analoga di Cofferati a Bologna dimostrano con chiarezza che gli elettori desiderano soprattutto l’unità e rifiutano pasticci e lacerazioni interne. Certamente, il centrosinistra ha l’onere di proporre un programma, il più presto possibile, per far capire agli italiani che cosa ha in mente, con un linguaggio semplice e chiaro, per cambiare rotta e salvare il Paese dalla catastrofe che ci minaccia. Ã? sul programma che si possono creare e cementare vecchie e nuove volontà comuni, anche al centro. Bisogna rifare dell’Italia un Paese normale dove si rispettano le leggi e la Costituzione. Dove norme essenziali per la vita degli uomini, le pensioni, la previdenza, la giustizia, vengano discusse con rigore, non approvate con imperio a colpi di voto di fiducia in un clima avvelenato dai baratti. Se non si vuole fare dell’Italia una succursale dell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht, popolata dai Mackie Messer, dai Mattia detto «Mattia della Zecca», dai Giacobbe detto «Giacobbe Ditauncino», dai Roberto detto «Roberto Lima», dai Brown detto «Brown-la-Tigre».

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