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Articolo 21 - Editoriali
L’economia è ferma, la cassa integrazione accelera
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di Giampiero Rossi

Nei primi sei mesi dell’anno sono aumentati i casi di crisi aziendali rispetto al 2003. Cgil: le situazioni più gravi nel Sud, nel tessile e nelle calzature

da L'Unità

MILANO L’economia, orfana di politiche di sostegno, continua a non avanzare, la cassa integrazione invece non conosce rallentamenti. Anche nel secondo semestre del 2004, in base ai rilevamenti statistici condotti dal Dipartimento settori produttivi della Cgil, emerge una tendenza di crescita della cassa integrazione straordinaria.
Tra gennaio e giugno di quest’anno, infatti, sono stati complessivamente emanati decreti per 956 unità di crisi che corrispondono al 56% del totale della casse integrazione concessa nell’arco di tutti i 12 mesi del 2003. Un dato pesante, quindi, che consolida la tendenza alla crescita già registrata nel rilevamento del marzo scorso, dopo i primi tre mesi di quest’anno. «La cosa che più preoccupa - sottolinea Vincenzo Lacorte, dirigente del dipartimento della Cgil cher ha curato l’analisi sull’andamento della cassa integrazione - è l’incremento delle causali per fallimento e amministrazione controllata o straordinaria che passa dal 10,59% dei casi del 2003 al 28,53% nel 1° semestre del 2004». Inoltre, sottolinea ancora Lacorte, «la crisi colpisce duro nei settori industriali e al sud», come dimostra il raffronto tra «un dato generale pari al 54%, rispetto ai livelli di cassa integrazione del 2003 in questi primi sei mesi il sud ha già raggiunto il 60%, mentre nei settori industriali siamo al 68% con la punta del tessile–calzaturiero che è addirittura al 76,92%».
Le cifre sono da brivido. In soli sei mesi, in tutta Italia, hanno dovuto ricorrere alla cassa integrazione 934 aziende, contro le 1.724 che lo avevano fatto nei dodici mesi dell’anno scorso. Di queste 450 hanno sede nelle regioni settentrionali (erano 828 nel 2003), 155 al centro (contro 354) e 329 nel Mezzogiorno (l’anno prima erano state in tutto 542). A rendere più allarmante questo quadro, già di per sé disarmante, è poi il rilevamento dei motivi che hanno condotto le aziende a chiedere l’applicazione degli ammortizzatori sociali: se infatti, rispetto al 2003 appare sostanzialmente costante l’applicazione del contratto di solidarietà (14,42% dei casi contro il 13,3% dell’anno precedente), e se anche risultano in leggero calo le ristrutturazioni aziendali (24,56% contro 32,43%) e le crisi aziendali (31,7% contro 34,89% del 2003), appare quasi triplicata la causa più inquietante, cioè il fallimento o l’amministrazione controllata, che in questi primi sei mesi dell’anno riguarda già il 28,53% delle aziende, contro il 10,59% del 2003.
Per quanto riguarda i singoli settori produttivi (che complessivamente assommano il 68,22% della cigs comparata al 2003), a parte il chimico-farmaceutico e l’agroalimentare, che si sono “limitati” al 45% circa della cassa integrazione raffrontata all’anno scorso (rispettivamente applicata a 20 e 54 aziende), tutti gli altri appaiono in netta crescita tendenziale: il metalmeccanico ha già raggiunto il 68,39% delle cigs chieste nell’anno precedente, l’editoria-grafica il 56,25%, il tessile calzaturiero allarma con il suo 76,97% che significa già 117 aziende in crisi rispetto alle 154 di tutto il 2003. Ã? astronomica anche la percentuale dell’edilizia (245%), ma in valori assoluti si riferisce soltanto a 54 aziende (ma in tutto il 2003 erano state 20 in tutto) che hanno adottato la cassa integrazione.
«La preoccupazione è generale - commenta Carla Cantone, segretaria confederale della Cgil, costretta all’ennesima analisi di dati sconfortanti - non basta però invocare una politica industriale, occorre compiere atti e scelte per una politica industriale e di sviluppo che restituisca autorevolezza e competitività al nostro paese. Va bene tutto ciò che abbiamo concordato con Confindustria nel protocollo sullo sviluppo l’anno scorso. Ã? indispensabile, ma non basta più». E aggiunge: «Dobbiamo avere il coraggio di indicare le priorità in ogni settore produttivo, altrimenti le scelte le impongono le aziende, i poteri economici forti, le multinazionali, i paesi più potenti, autorevoli politicamente, e competitivi in Europa e nel mondo. Dobbiamo evitare di essere sottoposti da una parte alla colonizzazione e dall’altra alla smobilitazione».
Nei prossimi giorni, comunque, la Cgil completerà il monitoraggio delle aziende in crisi ma, purtroppo, come spiega lo stesso Vincenzo Lacorte, «i primi dati regionali giunti al Dipartimento settori produttivi dimostrano già chiaramente una crescita dei casi di crisi».

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