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Carcere: 37 morti in 95 giorni. Non è “epocale”, ministro Alfano?
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di Valter Vecellio

Carcere: 37 morti in 95 giorni. Non è “epocale”, ministro Alfano? Si può provare una simulazione, o almeno immaginare lo scena. In una stanzuccia di pochi metri quadrati sono ammassate alcune persone, in quella stanzuccia ci vivono in promiscuità per molte ore del giorno, per mesi, anni. Per qualche ora possono andare a prendere una boccata d’aria e fare due passi in circolo in un cortile. Quello è il momento buono. Bisogna aspettare quell’ora d’aria; o, magari, aspettare che sia scesa la notte, tutti i compagni di stanza dormono e fingere di avere un attacco di diarrea e andare nel piccolo locale che fa da bagno, separato dalla stanza da un telo di plastica. In ogni modo, bisogna pensarci, cogliere il momento buono, aspettare l’occasione giusta. Poi bisogna prepararsi per tempo. Una corda? Trovarla. Tocca arrangiarsi con quello che c’è. Un lenzuolo. Bisogna ricavarne delle strisce, annodarle. E poi, dove far leva, dove appendersi? Ecco, quel tubo, quella sbarra. Sì, quella tiene, può andar bene. Finalmente solo! Ecco la corda, annodarla in fretta, vedi mai che ci sia un controllo…fatto il nodo, fissiamo l’estremità alla sbarra…ecco, è fatta, un salto e buonanotte, alla faccia di chi dice no all’amnistia, io me la prendo, la mia amnistia definitiva e irrevocabile…
Poi si può immaginare il seguito: i compagni di cella che accorrono, oppure gli agenti, la corsa del medico di turno se c’è, chiamare l’ambulanza, di corsa al pronto soccorso…no non c’è nulla da fare, se n’è andato; oppure no, l’abbiamo riacchiappato per un soffio, ancora un minuto e sarebbe stato troppo tardi…
   Scena, insomma, di ordinari suicidi in un carcere, fate voi se a Milano o a Bologna, a Roma o a Palermo. Non cambia. Perché una simulazione, o cercare di immaginare la scena? Perché quello che si è cercato sommariamente di descrivere non è come aprire una finestra e, in un momento di sconforto, volare giù, oppure se si ha un’arma premere il grilletto e via, roba di un momento. No, in carcere ci devi pensare eccome. Chi lo fa, per forza di cose, ha tutto il tempo per rimuginarsi la cosa. E la sua disperazione, l’insopportabilità della situazione in cui è costretto a vivere non è rubricabile in un momento di sconforto. In una cella, chi decide di farla finita ha tutto il tempo per pensarci e ripensarci, riflettere se quella sia l’unica, sola alternativa che gli è rimasta o se invece può anche giocare altre carte…Provate per esempio a prendere un lenzuolo, ridurlo a strisce, farne una corda: cinque minuti almeno? E comunque occorre farlo senza che nessuno ti veda, sospetti qualcosa…Insomma, c’è tutto il tempo per pensarci e ripensarci. E sono tanti che non ci ripensano.
   Negli ultimi quattro giorni non ci hanno “ripensato” in tre, forse quattro. Due detenuti sono morti, gli altri sono in gravissime condizioni. Dall’inizio dell’anno non ci hanno “ripensato” in quindici, che tanti sono i detenuti il cui suicidio è stato accertato. In totale sono morti in trentasette. Diciassette sono deceduti, dicono i referti “per cause naturali”; ma possono esistere “cause naturali” in carcere, quando lo Stato si fa garante dell’incolumità fisica e psichica delle persone che vengono private della loro libertà? Altri sette detenuti sono morti per “cause da accertare”. E quando saranno accertate, queste cause? Quando ci verrà comunicato come sono morti, e perché? Tra i morti per “cause naturali” una donna di 44 anni, Loredana Berlingeri, era detenuta nel carcere di Reggio Calabria. E’ morta il 18 marzo scorso. Qualcuno si è dato pena di sapere come mai è entrata viva, ed è uscita morta? E perché il 3 aprile Mehedi Kadi, algerino 39enne, detenuto a Padova, appena trasferito da Vicenza, condannato con pena definitiva fino al 2023, ha deciso di uccidersi quando è rimasto solo in cella mentre gli altri compagni di reclusione usufruivano dell’ora d’aria pomeridiana?
   Negli ultimi dieci anni circa un terzo dei decessi nelle carceri italiane è avvenuto per suicidio. Nelle carceri, gli agenti organizzati in organici ridotti all’osso sono costretti a turni massacranti, e i loro sindacati, unanimi, avvertono da sempre che in queste condizioni non sono in grado di garantire alcun tipo di sicurezza; occorrono educatori e assistenti sociali per assicurare la funzione rieducativa della pena prevista dall’art. 27 della Costituzione. Quello del ministro della Giustizia è un bilancio che definire fallimentare è poco. E’ bravissimo nell’annunciare riforme “epocali” che di epocale hanno solo il tentativo di ingannare l’opinione pubblica, ma i fatti dicono che non si è saputo e voluto fare nulla. E che siano solo i radicali e pochissimi altri ad agitare la questione e cercare di richiamare l’attenzione su questa enorme, quotidiana, emergenza, è anche questo il segno dei tempi che ci tocca vivere.



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