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Articolo 21 - Editoriali
Berlusconi & C, un governo in crisi su tutti i fronti
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di Graziella Mascia

L'ostruzionismo delle opposizioni manda in tilt la Casa delle libertà
 
da Liberazione

L'aggressione fisica da parte di deputati della Lega nei confronti di altri della Margherita è solo l'ultimo episodio, nell'aula di Montecitorio, che parla di una maggioranza allo sbando. Nelle scorse ore lo scontro si era consumato nella riunione dei capigruppo, che doveva definire il calendario dei lavori d'aula per i prossimi giorni e per la ripresa di settembre: la pretesa della Lega di imporre un'ipotesi di lavoro che garantisse il voto in aula entro settembre sul cosiddetto federalismo, e l'evidente confusione nella maggioranza avevano portato il presidente della Camera ad abbandonare la seduta. Ma la crisi strategica del governo Berlusconi si manifesta su ogni provvedimento e la coalizione non riesce a stare insieme neanche con la colla. Lo stravolgimento delle sessioni di bilancio sono ormai pratica che si ripete: il documento di programmazione economica e finanziaria viene presentato il 30 luglio anziché il 30 giugno, ma già la finanziaria era stata approvata con il voto di fiducia su un maxiemendamento presentato dal governo. E' la crisi della strategia liberista - populista del governo Berlusconi, che promette posti di lavoro e riduzione delle tasse, ma che non sa da che parte andare e per questo sacrifica ministri e distribuisce nuove poltrone per tirare a campare. Dopo il pessimo risultato elettorale, nel partito di Forza Italia è in atto una, ancora timida, ribellione: i dirigenti di più lunga esperienza democristiana accusano i responsabili del nuovo corso di non saper gestire il partito, e tutti invitano Berlusconi a guardare di più nella società, perché l'utilizzo degli strumenti di comunicazione a senso unico non regge più. Gli esponenti di An hanno dovuto abbassare i toni, dopo che la verifica ha prodotto le dimissioni di Tremonti, come da loro richiesto, ma l'impotente inquietudine della destra sociale ogni tanto prende la parola in aula per denunciare l'insopportabilità delle misure governative che vanno ad erodere la loro base popolare.
L'alzata di scudi dell'Udc si è conclusa con Buttiglione in Europa, costringendo il segretario ad abbozzare e a rinviare la resa dei conti interna da una riunione all'altra. Per giorni i giornali hanno seminato aspettative nel paese, come se questo partito potesse indicare un'altra direzione di marcia incentrata su un nuovo protagonismo dei partiti moderati, facendo balenare persino l'ipotesi di un rimescolamento di carte fra i partiti di centro ex-democristiani. Ma mentre Follini alzava la voce fuori, dichiarando di voler ridimensionare le ambizioni federaliste della Lega, in commissione affari costituzionali della Camera si esaminavano gli emendamenti alla proposta governativa di stravolgimento della seconda parte della costituzione senza che succedesse alcun sfracello. Le opposizioni hanno dato battaglia giorno e notte tentando invano un confronto di merito sui 43 articoli, mentre fuori tutti aspettavano una resa dei conti interna alla maggioranza che non è mai arrivata. Così, dopo la nomina di Buttiglione, gli emendamenti dell'Udc, peraltro per nulla alternativi al testo votato al senato, sono stati ritirati, mentre il neo ministro Calderoli dichiarava che tutto si sarebbe composto in una riunione a Lorenzago. Le opposizioni non ci stanno: chiedono che il testo torni nell'unica sede costituzionalmente legittima, cioè la commissione referente, dopo le verifiche estive nella maggioranza; di fronte alla reiterata pretesa di andare in aula prima della chiusura estiva su un testo probabilmente finto, abbandonano i lavori di commissione. Lo scontro si trasferisce in aula, dove le opposizioni decidono di fare una battaglia ostruzionistica, sfruttando i pochi spazi consentiti dal regolamento. Quanto basta per mandare in tilt i lavori e costringere tutti a stare fino a sera tardi nell'aula di Montecitorio. Infatti, dopo aver approvato la cosiddetta manovrina economica con voto di fiducia, anche la controriforma delle pensioni rischia di incontrare ostacoli e il governo impone l'ennesima fiducia. Per ore i deputati del Prc e del centro sinistra denunciano al paese le conseguenze di un provvedimento che aumenta il periodo lavorativo a chi una pensione l'avrebbe quasi maturata, ne riduce pesantemente l'indennità, scippa le loro liquidazioni e cancella qualsiasi prospettiva positiva per i giovani. Nel contempo il presidente della Camera cerca di verificare un calendario dei lavori, ma ogni tentativo fallisce.
Le opposizioni non intendono in alcun modo accedere a un voto affrettato sul Dpef e si oppongono alla calendarizzazione forzata di una pericolosa riforma costituzionale che peraltro rischia di essere modificata in una sede extra-parlamentare.
Qualcuno ha parlato di "parlamentarismo nero", laddove Gramsci denunciava il tentativo di sedare il conflitto che si determinava nelle aule parlamentari, attraverso la sua trasposizione in sedi illegittime esterne. Ma i grandi valori della democrazia non sono argomenti apprezzati da una coalizione che ha costruito la più grande revisione costituzionale di questi decenni con il manuale Cencelli: la devolution alla Lega, il super premier e il richiamo all'interesse nazionale ad An, il pesante ridimensionamento del parlamento come piace a Berlusconi. E' normale che l'Udc si senta stretta in tale progetto, ma la scelta strategica del bipolarismo e l'accusa di voler provocare ribaltoni l'hanno di fatto tacitata.
Chi invece continua ad alzare la voce è sempre la Lega, che, nonostante le assicurazioni del presidente del consiglio a Bossi, teme di trovarsi in difficoltà in autunno. Il Dpef all'esame del parlamento già prefigura una finanziaria di lacrime e sangue anche per la gente del nord, che deve fare i conti con una crisi economica tremenda: una concorrenza spietata per quanto riguarda i padroncini, i bassi salari per quanto riguarda i lavoratori. Se non incassa il tanto ambito federalismo, che di federale ha solo il nome del nuovo senato, anche la Lega dovrà fare i conti con la propria base, nonostante sia riuscita a superare l'esame delle elezioni europee. E, mentre tenta a sua volta un ostruzionismo contro il suo stesso governo per protestare contro un provvedimento che cerca di portare soccorso alla crisi dell'Alitalia (e, per quanto ci riguarda, puntando a salvare posti di lavoro), esprime il suo nervosismo non solo verbalmente.
Non sarebbe la prima volta, nella storia della Repubblica, che coalizioni allo sbando riescano a stare insieme per il puro istinto di sopravvivenza. Difficile dunque dire ora se la crisi di governo li costringerà a svolgere le elezioni regionali della prossima primavera con quelle politiche, o se addirittura non tenteranno (cosa possibile con legge ordinaria) di spostare di un anno le regionali. La cosa certa è che questa crisi è irreversibile e che è urgente prospettare al paese una vera alternativa. E' importante dunque guardare con attenzione quanto avviene nei palazzi, per meglio organizzare nelle piazze il conflitto e le mobilitazioni dei movimenti.

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