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Articolo 21 - INTERNI
1° Maggio e fascismo mai morto
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di Nicola Tranfaglia

1° Maggio e fascismo mai morto Questo primo maggio del 2011( che arriva nel mezzo del difficile compleanno che l’Italia cerca di celebrare dei suoi centocinquant’anni di unità nazionale) è di particolare importanza perché - come ha ricordato Giorgio Napolitano nel suo discorso ieri al Quirinale - la nostra è una repubblica fondata sul lavoro (art.1 della costituzione repubblicana), su quel miracolo della nostra storia che vide le donne e gli uomini di differente fede politica (cattolici, liberali, socialisti e comunisti) lottare insieme contro i nazisti e la Repubblica sociale italiana, collaborando, in modo determinante, alla sconfitta del fascismo e alla liberazione dell’Italia.
“La nostra storia - ha ricordato  il Capo dello Stato - a partire dal 1944 e nonostante periodi di rottura e di divisione ci dice quel che l’unità sindacale ha dato ai lavoratori, alla democrazia, al Paese. La rinuncia a sforzi pazienti di ritessitura quando si producano lacerazioni e divisioni e diventino indispensabili dei ripensamenti, può portare solo al peggio, dal punto di vista del peso e del ruolo del lavoro e delle sue rappresentanze.” 
Osservazione quest’ultima storicamente accettabile, giacché le attuali divisioni del movimento sindacale sono senza dubbio uno degli obbiettivi di forze, come quelle della P2 e delle mafie, che sono oggi assai vicine a chi ha la responsabilità di governare la nostra Italia.
Del resto chi ha memoria della nostra storia sa che la difesa del lavoro è uno dei punti più importanti della salvaguardia necessaria della costituzione repubblicana dagli assalti in corso da molti anni da parte del populismo autoritario e dei suoi complici e alleati.
E quando si ha notizia - come è accaduto ieri - che il sindaco pdiellino di Piana degli Albanesi,il paese in provincia di Palermo in cui si trova la località di Portella della Ginestra, ha deciso di invitare, per una festa locale (che dovrebbe includere anche il ricordo della strage del primo maggio 1947 in cui vennero uccisi dodici contadini siciliani dalla banda Giuliano, dai mafiosi e da altri fascisti) anche il mussoliniano Lele Mora - amico e vicino al presidente attuale del Consiglio on. Silvio Berlusconi - c’è da chiedersi perché la tetra e arretrata  “cultura” del fascismo storico sia ancora così forte e presente nel nostro paese. Senza dimenticare che su quella strage, come sulle altre successive del periodo successivo, pesa ancora un segreto di stato che i governi di centro-destra come di centro-sinistra, non hanno mai voluto abolire.
Un primo maggio difficile, insomma, in un’Italia divisa tra chi lavora precariamente o è senza lavoro (un numero sempre più alto, soprattutto di giovani che hanno studiato e non riescono ad inserirsi nella società, siamo ormai intorno al trenta per cento, con un aumento geometrico nel nostro Mezzogiorno e nelle isole maggiori) o ha perduto il lavoro che aveva e classi dirigenti in gran parte  sempre più lontane dai loro doveri rispetto agli elettori.
Non vorrei favorire equivoci. Personalmente, malgrado delusioni antiche e recenti provocate soprattutto dalla mia passata  collaborazione a partiti politici, continuo a credere che dobbiamo sperare di voltare pagine appena sarà possibile e lavorare tutti insieme per un’Italia migliore (come diceva il mio maestro degli anni giovanili a Torino, Alessandro Galante Garrone): la nostra storia è fatta di lunghe oppressioni ma anche di momenti importanti di risveglio e di liberazione, di anelito sincero della maggioranza verso un’Italia democratica e aperta ai lavoratori.
Ecco questo primo maggio che vedrà a Marsala i segretari generali dei sindacati, a Procida la fiaccolata sul mare per i marinai italiani prigionieri dei pirati somali, a Modena una conferenza spettacolo sugli esuli e i profughi, a Lamezia una festa voluta dal sindaco, a Mezzago, in provincia di Monza, un concerto musicale, oltre al grande concerto tradizionale di Roma, significa ancora una volta il richiamo simbolico ai valori fondamentali della nostra costituzione e a quella visione di un’Italia democratica che attraversa in questi anni un periodo di così grande crisi politica e morale.
Archiviamo il populismo e lottiamo tutti insieme per una democrazia sociale moderna, come scriveva già nel 1935 l’indimenticabile esule italiano a Parigi, Carlo Rosselli.

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