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Articolo 21 - ESTERI
Europeismo o fascismo?
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di Massimo Faggioli*

Europeismo o fascismo?

Per un italiano ed europeo cresciuto al motto di Carlo Rosselli “europeismo o fascismo” (era il 1935), la notizia della ripresa dei controlli alle frontiere della Danimarca non è soltanto il segnale di un passo indietro dagli accordi di Schengen, ma un tangibile elemento della crisi dell’Europa come progetto e come sentire. Per gli europei ed europeisti che si sono trasferiti in America, la crisi dell’europeismo tocca corde delicate e nascoste. Per chi negli ultimi anni si era attaccato all’orgoglio europeista per equilibrare la ormai eponima vergogna dell’italiano all’estero, la crisi del  simbolo più efficace dell’Europa unita (l’abbattimento delle frontiere) rappresenta un ulteriore indebolimento della propria capacità di portare una qualche bandiera che non sia quella americana. Alla perdita della patria italiana rischia di sovrapporsi la perdita di una patria europea, proprio nel momento in cui, agli occhi di un europeo emigrato negli Stati Uniti, un certo tipo di americanismo (come quello del Tea Party) somiglia pericolosamente ad un fascismo d’oltreantlantico.

L’Europa più praticata dalla maggioranza di quei pochi americani che visitano l’Europa non è quella del progetto europeo, ma quella dell’Impero romano, dei celti d’Irlanda, del Rinascimento, del papato in età barocca. Anche per questo, spiegare il progetto politico europeo agli americani è impresa di esito dubbio. Per alcuni, l’Europa unita è un tentativo romantico operato da nazioni pur sempre al riparo di una NATO costituita in gran parte dalla forza militare americana. Per altri, l’Europa unita è un mondo sconosciuto e incomprensibile, quanto incomprensibile è il fatto che in alcune zone d’Europa bastano alcuni chilometri per cambiare non solo Stato, ma anche lingua.

La crisi di Schengen e quella dell’Euro diventano agli occhi dello scetticismo antieuropeista la prova della fragilità di quella costruzione chiamata “Europa unita”: è una crisi che si avverte anche tra gli europei d’America. In un paese, come l’America, che pensa che il fascismo sia stato sconfitto una volta per tutte nel 1945, e che le sue versioni tarde (come quello greco) non fossero altro che un modo per combattere il comunismo, la crisi dell’Europa arriva nel momento in cui l’orgoglio nazionale ha un sussulto (per la fine di Osama bin Laden) e l’America si sente meno europea che mai: per motivi ideologici (la lenta fine dell’ideologia neo-con), economici (lo spostamento dell’asse dell’economia mondiale verso l’Asia e il Pacifico), e sociologici (il mutamento del paesaggio etnico statunitense dovuto all’immigrazione dall’America Latina). Sono lontani i tempi in cui Londra era ancora la capitale d’America, e gli americani venivano in Europa in cerca di divertimento, raffinatezza, formazione e fortuna.

dal blog www.ilmondodiannibale.it


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