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Articolo 21 - ESTERI
Da Osama a Obama
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di Guido Moltedo

Da Osama a Obama

da Il mondo di Annibale

Una delegazione di parlamentari era alla Casa Bianca per incontrare il presidente Bush e una di loro, Jan Schakowski, congresswoman dell’Illinois, portava sulla giacca del suo tailleur una patacca colorata con su scritto “Obama”. Era la primavera del 2004 e l’America era in piena campagna elettorale in vista delle presidenziali e del rinnovo del Congresso.
Barack Obama non era ancora una star. Era uno dei candidati in corsa per il senato federale. George W. Bush notò il button della Schakowski e trasalì: «Obama?». Era evidente cosa pensasse. «Lo rassicurai – racconterà in seguito la parlamentare – e precisai: Obama con la b, signor presidente. E Bush, di rimando: be’, non lo conosco. E io: sentirà parlare di lui signor presidente».
Su quel nome “buffo” – come ci scherzava su lo stesso Obama – furono in tanti a ricamare, al suo apparire sulla scena politica nazionale. Wolf Blitzer, celebre anchorman della Cnn, dovette scusarsi in diretta con Obama, da poco senatore democratico, dopo che era andata in onda un’immagine di Osama bin Laden accompagnata dal sottopancia «Dov’è Obama?».
Da allora, nella narrazione obamiana, il ricercato numero uno dall’intelligence americana si sarebbe stagliato come figura di protagonista. L’assonanza dei nomi invitava ai facili e perfidi giochi di parole dei nemici del futuro presidente.
Rush Limbaugh, conduttore dell’omonimo show e stella adorata nel firmamento ultraconservatore, avrebbe preso a chiamarlo regolarmente «Obama Osama».
Un vero e proprio tormentone, che ne alimentava un altro, quello sul secondo nome di Barack, Hussein, e sulla sua presunta fede islamica. E insieme portavano legna al fuoco della leggenda dell’inesistente certificato di nascita del presidente e, dunque, della regolarità legale della sua elezione.
Una vera e propria campagna di delegittimazione del primo presidente nero, giocata sia sul livello esplicito sia su quello subliminale, così pervasiva e insistente che anche ieri Fox News, nel dare la notizia dell’uccisione del capo di al Qaeda ha fatto comparire sullo schermo la scritta «Obama bin Laden è morto».
Qualche minuto più tardi, sempre sulla rete di Rupert Murdoch, il cronista ha detto che il presidente Obama, parlando dalla East Room della Casa Bianca, aveva annunciato «alla nazione e al mondo che il presidente Obama è davvero morto».
Errori comprensibili, forse, in una giornata concitata come quella di ieri. Sono, in ogni caso, da archiviare nell’ormai obsoleto campionario di una lunga sequenza di nefandezze propagandistiche diffusa dalla destra repubblicana, adesso a corto di argomenti, anche di quelli più evidentemente e bassamente strumentali.
Già, l’uccisione di bin Laden è un successo a lungo cercato da Barack Obama, che mette fuori gioco quelli che si presentavano come gli autentici acerrimi nemici in America del capo terrorista ma che hanno usato il suo nome per operazioni che nulla avevano a che fare con la sua cattura (in primo luogo la guerra in Iraq). Ma anche per alimentare un odioso clima di scontro di civiltà, apparentemente ideologico ma in realtà strumentale alla gestione dello status quo in Medio Oriente. E, sul piano domestico, per alimentare una guerra civile culturale tesa a costruire con argomenti prepolitici e nevrotici le basi di una permanente maggioranza repubblicana a Washington.
Oggi non solo appare con nitidezza la specularità di un personaggio come Osama – peraltro membro della famiglia saudita, coccolata dalla lobby petrolifera repubblicana – con il potere repubblicano dei Bush, dei Cheney e dei loro ideologi neo-conservatori, ma ancora di più la pretesa di costruire la rivincita e il loro ritorno al potere con una riedizione della guerra di civiltà, questa volta tutta condotta sul piano della lotta interna, con una continua e crescente campagna di mistificazione del presidente in carica basata sul suo essere islamico e unAmerican, e pertanto intrinsecamente incapace di difendere l’America da nemici come Osama – anzi, addirittura in combutta con loro, a iniziare dalla somiglianza del nome stesso.
Obama, da parte sua, ha giocato magistralmente questa mano, azzardando una sortita proprio sul terreno scelto dai suoi avversari. Nei giorni scorsi – quando evidentemente aveva già pianificato l’intervento per l’eliminazione di Osama – ha tirato lui stesso fuori la faccenda del suo certificato di nascita. Oggi quella mossa, unita alla notizia dell’uccisione di Osama, scrive la parola fine al “racconto” costruito dalla destra sulla figura del presidente dem, una narrative che – nel clima esasperato di crisi che attraversa il paese – avrebbe potuto attecchire anche in settori dell’opinione pubblica più refrattari a quel tipo di propaganda.
La nuova narrazione – d’ora in poi scritta da Obama – non contempla semplicemente una sua più facile rielezione – mai finora veramente messa in discussione da un drappello di deboli potenziali avversari repubblicani – ma profila un secondo mandato presidenziale al termine del quale entrerà nella Storia dei grandi presidenti americani e non più solo nella galleria delle bizzarre celebrità della Storia, come primo presidente nero.

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