Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - ESTERI
Il giornalista iraniano Siamak Pourzand suicida per protesta contro il regime
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Marco Curatolo

Il giornalista iraniano Siamak Pourzand suicida per protesta contro il regime Siamak Pourzand aveva 80 anni e da almeno cinque conduceva un’esistenza da sepolto vivo. Da molti di più era diventato, nella lotta per la libertà di stampa e di espressione in Iran, un simbolo: infelice, tragico e solitario. Non poteva essere altrimenti sotto un regime, quello della Repubblica Islamica, che imprigiona i giornalisti, strappa la penna agli scrittori, tortura gli artisti, vieta ai registi indipendenti di girare film, chiude i giornali, reprime il dissenso.
Il 29 aprile scorso Siamak Pourzand ha aperto la finestra del balcone, al sesto piano della sua casa di Teheran, e si è gettato nel vuoto. Un gesto estremo di disperazione e di protesta contro un sistema tirannico e liberticida che gli ha avvelenato la vita e tolto la fiducia nel futuro.

Giornalista, intellettuale, critico cinematografico, Pourzand è morto in solitudine come era stato costretto a vivere nell’ultimo decennio: lontano dalla moglie, Merhangiz Kar, noto avvocato per i diritti umani e attivista per la parità delle donne - a sua volta perseguitata dalle autorità e costretta all’esilio - e lontano dalle amatissime figlie Banafsheh, Leily e Azadeh. L’una e le altre vivono infatti all’estero e a nessuna di loro il regime ha consentito di rientrare in patria per visitare Siamak Pourzand dopo il 2006, da quando cioè era detenuto agli arresti domiciliari.
Pourzand, la cui salute era stata minata in modo irreversibile dalle torture fisiche e psicologiche subite in carcere, avrebbe avuto bisogno di essere curato fuori dall’Iran, tanto più dopo essere stato colpito nel 2004 da un grave infarto. Ma nonostante i molti appelli in questo senso, il governo di Teheran si è sempre rifiutato di rilasciargli un passaporto.

La carriera di Siamak Pourzand ha attraversato mezzo secolo di storia dell’Iran. Negli anni ‘60 e ‘70 era stato corrispondente negli Stati Uniti del quotidiano “Kahyan“. Seguì i funerali di John F. Kennedy, conobbe e intervistò il presidente Nixon, si occupò di cinema a Hollywood. Divenne uno dei maggiori critici cinematografici iraniani e scrisse saggi per la celebre rivista francese Cahiers du Cinèma. La fortuna cominciò a girare dopo la Rivoluzione del 1979. Il laicismo di Pourzand mal si conciliava con la svolta islamica impressa al paese. Egli perse il suo posto a “Kayhan” e cominciò a lavorare per altri giornali indipendenti, prima di diventare il direttore di un importante centro culturale di Teheran per giornalisti, intellettuali ed artisti. Solo negli anni ‘90, durante i primi anni della presidenza Khatami, caratterizzati da una illusoria e assai breve apertura alle esigenze della libera stampa, Pourzand riconquistò uno spazio come commentatore culturale in vari giornali riformisti (in seguito regolarmente chiusi dal regime). La polizia segreta mise gli occhi su si lui quando, nel 1998, seguì in diretta telefonica per una radio di lingua persiana di Los Angeles, le esequie di Darius e Parvaneh Forouhar, due intellettuali dissidenti assassinati nell’ambito della cosiddetta “catena di omicidi” con cui, nella seconda metà degli anni ‘90, il regime si sbarazzò di molte decine di oppositori, tra cui scrittori, poeti, attivisti e semplici cittadini.

L’incubo per Siamak Pourzand cominciò il 24 novembre 2001. Fu prelevato illegalmente e scomparve nel nulla, detenuto “in incommunicado” per quattro mesi.  Venne tenuto a lungo in isolamento e torturato perché confessasse in Tv colpe mai commesse. Il 3 maggio 2002, al termine di un processo farsa, fu condannato a 11 anni di prigione per “avere attentato alla sicurezza nazionale con i suoi legami con elementi monarchici e contro-rivoluzionari”. Rilasciato alla fine del 2002 per ragioni di salute, venne riarrestato nel marzo 2003. Le condizioni fisiche di Pourzand peggiorarono rapidamente, e nel volgere di pochi mesi una stenosi spinale e i problemi cardiaci lo resero pressoché invalido. Dopo l’infarto del 2004, e dopo ripetuti ricoveri in ospedale (dove venne tenuto incatenato mani e piedi), nonostante le pressioni della famiglia perché gli venisse permesso di lasciare l’Iran, le autorità gli consentirono semplicemente di uscire dalla prigione di Evin costringendolo però agli arresti domiciliari. Era il 2006.
“Resterò nel mio paese fino a quando potrò testimoniare di fronte a una libera commissione quello che questo regime ci ha costretto a patire”, disse Pourzand a sua figlia Azadeh l’ultima volta che la vide. Quel giorno non è mai arrivato.
Un’altra strada, atroce, definitiva, ha permesso a Siamak Pourzand di sottrarsi ai suoi carnefici e di riprendersi infine la sua libertà.

Letto 4076 volte
Dalla rete di Articolo 21