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Amministrative: a Torino un voto "concreto" alla conquista del Nord
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di Santo Della Volpe

Amministrative: a Torino un voto "concreto" alla conquista del Nord

La diversità di Torino  si vede subito,in queste settimane, arrivando in città, da qualunque strada o ferrovia. Colpiscono subito le migliaia di bandiere tricolori esposte dai palazzi del centro come dai balconi della periferia,dalle “ringhiere” di Barriera di Milano come dai balconi “liberty” della Crocetta. Perché qui i 150 anni d’Italia sono un sentimento di unità e di difesa, ma soprattutto di orgoglio. E lunedì sera, a spoglio ancora in corso, un SMS da una cara persona torinese, così esaminava il voto che portava Piero Fassino al Palazzo di Città con il 56,6% di voti: “..Eh sì, tocca sempre a noi torinesi salvare l’Italia,partendo da qui…”
Anche questa è “torinesità” quel sentimento misto di cultura, laboriosità, orgoglio, lamentela e slow life (cioè ‘bougia nein’,tradotto ‘non spingere’...),forza e contrasto, solidarietà e sdegno, silenzio ed ironia, politica e sindacato, che fanno guardare l’Italia, con piacere e recriminazione, dall’alto di quell’angolo a Nord Ovest dell’Italia. Dove tutto comincia prima che altrove, con le sue tragedie sociali e personali ( dal biennio rosso alla resistenza partigiana, dall’immigrazione selvaggia al ’68, dalla Fiat  alla Marcia dei 40mila,infine dalla deindustrializzazione alle Thyssen) ma anche con i suoi colori,la rinascita della città trasformata in pochi anni da grigia e triste,in piacevole e vivibile, persino festaiola, finalmente con la Metropolitana. Basti pensare che il primo giorno di inaugurazione della prima e sinora unica linea (nel 2006), migliaia di torinesi  andarono avanti ed indietro su quel treno sotterraneo per ore,orgogliosi di averla costruita in poco tempo,bella ,senza infortuni mortali sul lavoro e,soprattutto, senza un appalto, neanche il più piccolo, avvelenato da tangenti o malavita. “Abbiamo le mani pulite” ha detto, anche lui con orgoglio, il sindaco uscente, Sergio Chiamparino consegnando al neo eletto Piero Fassino il “testimone” della guida della città. Anche questa è la ‘torinesità’ che fa del voto amministrativo del 15 e 16 maggio, un altro test lanciato verso il futuro: nella città che vide nel 1983 il primo scandalo tangenti d’Italia, anticipatore di tangentopoli di 10 anni, hanno saputo costruire stadi e palazzi per lo sport, piste da bob e trampolini (in montagna), case e palazzi nelle aree industriali dimesse con appalti di milioni e milioni di Euro, senza uno scaldaletto o una mazzetta. Ed in silenzio. Amministrata da trent’anni di giunte di sinistra e centro sinistra, ha saputo far nascere, crescere,studiare, piangere e divertire, generazioni di persone: e qui dove sono nati il Cinema e la Radiotelevisione,la Telecom e la pubblicità,i Libri ed il cibo buona,pulito e giusto, la Fiat ha fatto lavorare ma ha   licenziato e messo in cassa integrazione migliaia di persone. Qui  i suicidi di pensionati prematori usciti dalla fabbrica erano fra i più alti d’Italia, qui a Torino l’immigrazione dal Magreb è arrivata per prima,prendendo il posto degli italiani a Porta Palazzo e scontrandosi con la lingua ed i costumi di una generazione del Sud Italia che aveva appena fatto in tempo ad integrarsi; qui nella città della aristocrazia operaia  e del Cottolengo, di Don Bosco e Gramsci, di Agnelli e don Ciotti, Piero Fassino è nato e vissuto, perfetto rappresentante di un modo di vivere  e pensare alla torinese che ha toccato le corde di una rappresentanza politica che  chiede sicurezza e cambiamento insieme; che premia il passato buon governo  ma anche i progetti concreti di amministrazione, guardando il futuro. 
Una Torino che ha visto e fatto nascere l’Italia,non poteva e non può accettare la Lega della secessione e della divisione, i Borghezio ed i Bossi che offendono il tricolore; che infatti paga questi atteggiamenti perdendo voti (dal 10 % delle regionali al 7% di queste ultime amministrative): perché ai torinesi puoi far paura con lo spauracchio delle moschee e dell’immigrazione di colore, ma non  puoi convincere una città per metà meridionale trapiantata ed integrata, che le scuole multietniche sono sbagliate, quando i propri figli hanno studiato e sono diventati medici oppure operai,mischia il proprio dialetto con il piemontese. E tutti e due oggi espongono il tricolore ,chi pensando a Cavour, chi a Garibaldi, ma tutti per tenere uniti Nord e Sud ,dell’Italia e del Mondo.
Torino, per questo suo passato, antico e recente, non è mai stata berlusconiana; perché di quell’apparenza e rappresentazione con poca sostanza (mista a evasione  dal fisco e dai problemi) è esattamente l’opposto. Qui si  fanno i conti con la concretezza della materia,del lavoro, dei Faussone (l’operaio de “La chiave a stella” di Primo Levi) e dei Pininfarina; cioè fonderia e bellezza,lastre di acciaio fuso e piegato,  insieme alla tecnologia avanzata ed al buongusto delle linee e delle architetture. Non piace ai torinesi quell’alzare la voce  ed offendere, quel mettere sullo stesso piano i magistrati e le BR, in questa città che sanguina ancora per le vittime del terrorismo che ha dovuto vedere sui marciapiedi , caduti sotto il piombo di quegli anni, avvocati e magistrati, poliziotti e dirigenti industriali, giovani inermi e giornalisti. Non piace ai torinesi la rappresentazione di una realtà virtuale ed inesistente, i cieli blu e la crisi che non esiste, quando invece la disoccupazione colpisce duro ed i salari vengono tagliati, così come i posti di lavoro; qui dove si inghiottono bocconi amari a Mirafiori ed alla Bertone pur di mantenere un posto di lavoro. Ed infatti in queste elezioni il PDL perde, precipita al 18,28%,un vero crollo che lo rende minimale in consiglio comunale. Là dove invece il PD entra con un 34,5% di voti,trascinando anche i Moderati,che arrivano ad un 9,06% e Sinistra e Libertà al 5,65% (mentre l’IDV si ferma ad un 4,76%, frutto di quel gridare, troppo e mediatico,  di un radicamento sul territorio ancora poco sviluppato); un insieme di formazioni diverse  per storia, età ,convinzioni anche, ma unite nel portare avanti un percorso di politica concreta e solidale .
Torinese: perché,come scrive Cesare Martinetti sulla Stampa di Torino, “Piero Fassino ha un rapporto con la politica come l’operaio Faussone l’aveva con il suo lavoro nel romanzo di Primo Levi: umile, manuale, totale, definitivo”.
 Anche questa è torinesità, anche questo spiega perché, al di là di tutto, Torino abbia scelto Fassino per  la continuirà e l’innovazione :  in questa città l’incontro tra generazioni passava per forza, negli anni scorsi, nel passaggio di consegne tra persone, sul lavoro e nella cultura.
A 17 anni uno dei miei mentori di allora  era un  ferroviere (si chiamava Bianco, nome della provincia cuneese, ma torinese da 40 anni), ex partigiano, incontrato al Comitato di Quartiere di Santa Rita-Mirafiori. Bianco mi fece conoscere la cultura popolare: conosceva i canti popolari piemontesi (tutti, da far invidia a Liberovici..) così come la letteratura, dagli anni ‘30 a quella contemporanea, parlando di Pavese  e di Tomasi di Lampedusa, di Togliatti e Gramsci (era del Pci,ovviamente…),con lo stesso tono pacato ma culturalmente consapevole, con il quale parlava orgogliosamente del suo lavoro di macchinista,spiegando l’importanza della bassa ed alta tensione  nel funzionamento dei locomotori. Bianco era autodidatta in tutto, ma talmente profondo da sbalordire noi giovani “contestatori”. Così ho imparato cos’è la Cultura di massa, una seconda scuola, parallela al Liceo ed all’Università.
Piero Fassino, quando era responsabile del settore fabbriche del Pci, aveva come suo punto di riferimento dentro Mirafiori un operaio che si chiamava Cesare Cosi, vero esempio di “aristocrazia operaia”,uno di quelli che,come si diceva in Fiat quegli anni, “tagliava a metà le lampadine, a mano e senza farle rompere”; esperto di automatismo e robot in fabbrica (i famosi ‘Lam’) che aveva studiato ed imparato a far funzionare, perché così poteva contrattarne con l’azienda l’uso e quindi i ritmi delle isole e poi della catena di montaggio, pause di lavoro e aumento della velocità produttiva. Si studiava per fare la produzione senza perdere la propria identità , si riproponeva la catena di montaggio con studi di grafici e proiezioni,per ”non farsi mettere i piedi in testa dai capi” si diceva allora, ma anche per migliorare il prodotto, con orgoglio: perché alla fine “noi le auto le sappiamo fare, e meglio dei tedeschi e dei giapponesi”. Era il prototipo dell’operaio  duro,ideologico, autodidatta ;che non mollava mai, ma contrattualista e produttivista: intellettuale  che sapeva interpretare i testi ingegneristici e tradurli in “politica”,  quella stessa che rapportava l’uomo all’ideologia,i bisogni della pausa per andare al gabinetto con i robot alla catena ma anche con l’organizzazione dei cortei per il Vietnam ed il Cile; quella politica calata nella realtà  che quel tipo di operaio  insegnava poi ai dirigenti del partito. Come Piero Fassino , così come era successo a Vittorio Foa e Luciano Lama, Negarville e Novelli, insieme alla ostinazione ed alla pazienza.
Il modello della sinistra di quegli anni, del governo della città nella Sala Rossa del Comune come di Pecchioli e Minacci,  erano gli operai come  Cosi e forse i Bianco,così come il motto di Fassino era “usque  ad finem” (fino alla fine,in latino)  lo stesso della brigata partigiana Val Sangone comandata dal padre ,Eugenio Fassino, socialista ;di quelli amici di Nenni.  Proprio questa ostinazione di andare fino in fondo aveva fatto incontrare e scontrare negli anni Agnelli, Romiti con Lama ,Berlinguer e Fassino. Uno scontro ed incontro che dura ancora oggi: perché solo chi vive queste storie sin da giovani può capire cosa significa oggi difendere la Fiat , il lavoro, scontrandosi ma chiamando anche  Marchionne e la dirigenza  aziendale del Lingotto. Perché Torino è molto cambiata,ha visto finire un’altra epoca ed aprirsi un percorso pieno di incognite; ma proprio per questo tende ad aprire contraddizioni per poi cercare di unirsi invece che di dividere, a puntare sul reale invece che rifugiarsi  nell’avventura e nell’avventuriero.Per unire forse l’impossibile (l’operaio alla catena di Torino con la fusione internazionale della Fiat, l’economia di scala mondiale con il contratto di lavoro dei metalmeccanici, la Fiom con la Fim e Uilm) nella prospettiva di aprire una nuova fase : partendo dalla sua storia, dalla sua “torinesità” silenziosa e tenace,per continuare a trasformare la città tenendo non solo il cuore ma anche le braccia e le gambe Fiat  lungo il Po ed a Mirafiori. Mettendo insieme il futuro spaziale della Alenia con i motori del Centro di ricerche Fiat, l’Einaudi con il Politecnico, i diritti degli ex operai e delle famiglie delle vittime Thyssen con il nuovo terziario avanzato;la produzione dei film sotto la Mole con il rilancio della RAI, il tricolore e Palazzo Carignano con il Magreb e Porta Palazzo, la movida dei Murazzi ed il Balon con il bisogno di tranquillità dei torinesi; i Subsonica con la Lavazza, il dramma dei giovani che  vivono in casa perché non trovano un lavoro,l’emarginazione nel parco dello Stura con il Sermig ed il Gruppo Abele;il piacere del vino e del cibo con l’austerità della cupola del Guarino e la sacra  Sindone,il vescovo con l’ex comunista Fassino , che parla però in torinese al mercato rionale e guarda  Borgo San Paolo di Dante Di Nanni dalle finestre della casa della madre in Corso Mediterraneo.
Anche questa è Torino e la sua politica che premia il centro-sinistra che non ha mai perso, qui, il contatto con la gente ed i suoi bisogni; anche da qui la politica del futuro può ripartire alla conquista del Nord Italia e chiudere con il berlusconismo.

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