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Articolo 21 - Editoriali
Sogno un Parlamento Trasparente
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di Gloria Buffo

da L'Unità

Destinare ogni mese un giorno di busta paga dei parlamentari a una finalità sociale da definire: questo «gesto» secondo Nando Dalla Chiesa potrebbe testimoniare che i deputati e i senatori «partecipano» al momento difficile in cui versa l’Italia. E parlare a quella parte dell’elettorato impoverito e scontento che guarda anche a noi, e non solo alle forze di governo, in modo freddo e talvolta rancoroso.
In tal modo, secondo il parlamentare della Margherita, si contribuirebbe anche a intaccare lo screditamento del ceto politico e parlamentare che si nutre di qualunquismo vecchio e nuovo e a rilegittimare, dopo Tangentopoli, gli stipendi degli eletti alla Camera e al Senato.
Nel frattempo Adriana Poli Bortone, europarlamentare e sindaco di Lecce, ha scritto a Silvio Berlusconi per proporre che chi siede nel Parlamento nazionale ed europeo, nel governo, nei vertici delle amministrazioni locali faccia la propria parte per il risanamento dei conti pubblici rinunciando al 10% della propria indennità.
Due proposte diverse che vengono da persone con storie infinitamente differenti. ricordare che la Poli Bortone ha scoperto l’austerità ma, per anni ha ricoperto due cariche con tutti i vantaggi che ciò comporta. O, peggio, che non si può coprire una politica governativa di privilegio per i più ricchi mentre si riducono il reddito, i servizi e le prospettive per tutti gli altri salvandosi la coscienza con un ritocco agli stipendi parlamentari. O, ancora, che le parti politiche che hanno votato leggi come il «lodo Schifani» e perseguito l’impunità a tutti i costi per i propri rappresentanti politici non se la possono cavare così facilmente. Il tributo - per usare le parole della parlamentare di An - dei politici alla cosa pubblica non può consistere nell’obolo di una casta di privilegiati che si vorrebbe mettere al di sopra delle leggi.
Proprio perché importante e delicato il tema del trattamento economico, ma anche dello status degli eletti, deve essere affrontato con rigore. Stiamo parlando della credibilità dei rappresentanti del popolo e quindi della democrazia. E per chi, come noi, non ha ceduto all’ideologia del populismo, anche del prestigio della politica.
Avendo a cuore la questione - e avendo proprio per questo presentato già l’anno scorso un progetto di legge su stipendi, rimborsi, incompatibilità e servizi per i parlamentari (che collega l’indennità all’inflazione concordata, riduce diaria e rimborsi, prevede un inquadramento unico per i collaboratori, mette un tetto alla pensione, impedisce il cumulo delle cariche) - interloquisco volentieri con Dalla Chiesa. E gli dico che la sua proposta riconosce i problemi ma, a mio avviso, rischia di risultare debole. Ci sono ormai tutte le ragioni perché l’intero centrosinistra faccia sua una riforma del trattamento dei parlamentari (mi riferisco anche ai conflitti di interesse e alle dotazioni in tema di servizi, non solo ai soldi) e più in generale degli eletti come tassello di una riforma democratica della politica. E anche - perché non dirlo? - come moltiplicatore di una strategia di riduzione delle disuguaglianze: è ovvio che la messa in discussione degli emolumenti stratosferici dei manager pubblici (vogliamo parlare anche dei privati?) così risulterebbe più forte... la partecipazione degli eletti al destino del Paese si esalterebbe così nei periodi di crisi come in quelli di crescita economica. Mentre la devoluzione a fini sociali da parte dei parlamentari di un giorno di paga al mese può suonare più compassionevole che autorevole - nonostante l’intenzione di Dalla Chiesa - una revisione dei criteri con cui si rimborsano i nostri rappresentanti centrerebbe meglio il bersaglio. Il riferimento ad esempio al criterio diffuso della inflazione e la fine di qualche privilegio sarebbero univocamente interpretati come una scelta di trasparenza ed efficienza. Proprio perché non si può abbassare la guardia verso l’antipolitica di chi inveisce contro Roma ladrona o accusa gli altri di non aver mai lavorato occorre accrescere il prestigio di chi sta in Parlamento per battersi con le armi della democrazia e della politica.
Per contrastare più efficacemente la pratica populistica e la concezione proprietaria della politica dobbiamo sapere che bisogna anche intaccare la convinzione, diffusa in una parte dell’elettorato, che i politici siano una «casta». E farlo da sinistra, credendo nelle regole e rimettendo al centro la questione della rappresentanza.
Quando e se si dovesse varare la sciagurata controriforma costituzionale voluta dalla destra, nel referendum popolare dovremo avere argomenti forti non solo contro la devolution ma anche a favore dell’importanza del Parlamento per replicare a chi urlerà che eleggere il premier direttamente e ridurre il numero dei parlamentari è un gioco che vale la candela.
So bene che la partita non si gioca solo o principalmente sugli emolumenti ai parlamentari: la forza del centrosinistra si misurerà nella capacità di riattivare e far valere un rapporto col mondo del lavoro, di redistribuire la ricchezza, di favorire uno sviluppo equilibrato... Ma perché il “dopo Tangentopoli” diventi definitivamente anche il “dopo Berlusconi” bisogna potenziare enormemente le risorse democratiche che stanno nella partecipazione. Si può e si deve riprendere a testa alta una stagione di riforme democratiche per riavvicinare governanti e governati. Ciò implica che si riconoscano i movimenti, si riformino i partiti, si punti a regole serie nell’informazione come nella rappresentanza sindacale. Ma anche si rivendichi apertamente la necessità del finanziamento pubblico alla politica e si accresca il prestigio e l’autorevolezza dei suoi rappresentanti, in Parlamento e fuori.

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