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Articolo 21 - Editoriali
La disastrosa bugia del "kamikaze" Aznar
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di Francesco Lener

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Lo insegnano i grandi statisti, lo predicano i guru del "crisis management": dire il falso può anche giovare. A chi sa farlo

L'unico vero kamikaze accertato tra le macerie della stazione di Atocha è stato il premier spagnolo Josè Maria Aznar. Quella che a prima vista può apparire una battutaccia noir riesce a cogliere nel segno più di mille commenti. L'estremo colpo di coda del governo di destra eletto a modello in Europa, mito e bandiera del padroncino italiota, Silvio Berlusconi, è consistito in un'applicazione insulsa, masochista e dissennata di una precisa tecnica teorizzata dai comunicatori di "crisis management": quella della bugia. Non sembri una filippica moralista: con le bugie, più o meno a fin di bene, i governi si nutrono, le grandi aziende prosperano, i fedifraghi sopravvivono. Ma le bugie vanno calibrate, proporzionate alla gravità della situazione, orchestrate in modo da trovare scappatoie e alibi in caso di "smascheramento".

Ci sono paesi, l'America puritana in testa, in cui l'inganno può essere letale, persino in casi del tutto personali e intimi: "chi mente alla propria consorte - si teorizza - può mentire alla patria intera". Al pueblo delle parti basse del vecchio continente, invece, questo tipo di dinamiche non può importar di meno: preferisce illudersi ciecamente se qualche scellerato promette di abbattere le tasse, e non se la prende troppo quando scopre che il miraggio è rimasto tale. Aznar deve aver contato su questo: "infinocchio per un paio di giorni gli elettori con la storiella dell'Eta, mi sorbetto critiche e polemiche dopo il voto, ma poi me ne resto alla guida del paese per un'altra legislatura".

Calcolo sbagliato, senor Aznar. Non si può giocare sulla vita di 200 persone per un tornaconto smaccatamente elettorale, non si può tirare tanto la corda sperando che il popolo bue se la beva senza imbizzarrirsi. Un problema di comunicazione, tanto per cambiare, ma anche un preoccupante crollo di buon senso.

E il paradosso è che l'attentato di giovedì avrebbe potuto giovare alla causa dei popolari spagnoli, consentendo loro di ottenere persino la maggioranza assoluta. Una provocazione? Assolutamente no. Da che mondo è mondo un paese attaccato dallo straniero reagisce stringendosi forte, sviluppando un orgoglio patriottico, dando fiducia ai falchi e non alle colombe, agli Ariel Sharon di turno, tanto per intendersi. Di fronte a un evento chiaramente in odor di Al Qaeda, invece, Aznar e il fido Mariano Rajoi hanno immediatamente gettato la scure sull'indipendentismo interno, spagnoli che uccidono spagnoli, dando messaggi sbagliati e incerti, per poi dover ammettere a denti stretti i propri errori la sera prima del voto. Assurdo.

Le improvvide accuse al neoleader iberico, Josè Luis Zapatero, da parte di alcuni esponenti della destra italiana, come Gustavo Selva e Ignazio La Russa, rivelano uno scenario ben diverso: le bombe di Madrid avrebbero potuto danneggiare, infatti, molto più le sinistre pacifiste, non a caso tacciate, dopo le elezioni spagnole, di fare il gioco di Osama Bin Laden, in quanto apparentemente più morbide nei confronti dell'Iraq di Saddam Hussein e meno intransigenti nella lotta al terrorismo internazionale. Per Aznar sarebbe stato ben più efficace, al contrario di quanto ha fatto, comunicare un messaggio di solidarietà ai parenti delle vittime, ma anche di fermezza verso chi dall'esterno minaccia l'integrità del paese, risvegliando un senso di orgoglio per il ruolo di "pacificatore attivo" che il governo spagnolo aveva deciso di rivestire con il sostegno all'intervento bellico anglo-americano. Tutto molto demagogico, volendo anche un po' falso, ma coerente, dignitoso e, soprattutto, vincente.

Certo, è facile pontificare a bocce ferme: la strategia mediatica anti-Eta dev'essere stata pianificata in un batter di ciglia, se è vero che un paio d'ore dopo il boom il governo aveva già annunciato i responsabili. Ma la tenace ostinazione nel negare l'evidenza, l'aver fatto trapelare la notizia della circolare inviata dal ministro degli Esteri, Ana Palacio, agli ambasciatori spagnoli per sostenere la tesi cara all'esecutivo e il patatrac finale, con gli arresti in mondovisione dei cinque presunti responsabili e le esplicite rivendicazioni di matrice islamica, hanno prodotto l'inevitabile sorpresona elettorale. «Aznar ha nascosto la verità», urlavano gli spagnoli nella grande manifestazione alla vigilia del voto. E questa di certo non è una bugia.

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