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Articolo 21 - Editoriali
Berlusconi e Calvino
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di Furio Colombo

da L'Unità

In ogni cultura, in ogni tradizione si trova il racconto dell’uomo piccolo e vanaglorioso che, per un certo tempo, riesce a persuadere alcuni di essere grande e temibile, finché si scopre che dietro un paravento o il presunto vestito regale o la finta statura, non c’è niente. La storia, nella versione americana, finisce con queste parole, diventate proverbio: «Puoi ingannare pochi per molto tempo, puoi ingannare molti per poco tempo. Ma non puoi darla a bere a tutti per sempre».
Berlusconi ci sta provando. Dalle macerie di un ex Paese prospero e solvibile (chi potrebbe dare un’altra definizione dell’Italia consegnata agli elettori dai governi dell’Ulivo?) si abbandona ancora a monologhi sul taglio delle tasse, continua ad attribuirsi il merito di avere restituito grandezza e reputazione al Paese, parla di promesse mantenute, di elezioni che non potrà non vincere. E tiene d’occhio due strade: o una nuova presidenza del Consiglio con poteri dittatoriali; o con un po’ di fortuna sua e di jella per gli italiani il Quirinale.
Abbiamo detto e dimostrato molte volte - fiancheggiati da pochi giornali e pochi colleghi italiani, ma da tutta la stampa del mondo - che quel che sta avvenendo in Italia non sarebbe possibile senza la totale mobilitazione della televisione pubblica e privata del Paese al servizio di una sola persona, senza un fortissimo vento di intimidazione che ha in parte sradicato, piegato o distratto la stampa libera. Qualcuno, nella scorta di Berlusconi, pensa però, che una simile mobilitazione non basti. Ci vogliono “argomenti culturali”. Ã? arduo, quando si parla di Berlusconi, introdurre argomenti culturali. Ma c’è chi si offre, e offre la propria reputazione. Infatti lo sforzo di issare Berlusconi sul palcoscenico della storia è molto grande, persino se tutti i mezzi della televisione e buona parte dei giornali sono a disposizione. Berlusconi è un uomo irascibile, vendicativo. Ã? capace di dire «faccia di merda» a una signora che gli dice il suo dissenso. E per quanto si diano da fare a diffondere il suo sorriso di venditore, il suo volto ritoccato, la sua ricchezza non proprio tutta accumulata alla luce del sole, ormai sanno tutti che ha gettato nel dissesto economico il Paese, lo ha svergognato in Europa, lo ha coinvolto in una guerra brutale e inutile.
Nel frattempo alcune sue grandi bugie cominciano ad apparire come cartelloni strappati che non sono stati rimossi in tempo. C’è stato forse chi ha creduto davvero che Berlusconi sia “sceso in campo” per liberare l’Italia, che era appena stata di Forlani e di Craxi, dal comunismo. Può darsi che qualcuno abbia creduto che Berlusconi aveva lasciato la sua comoda poltrona al vertice della sua azienda per sradicare la malerba comunista da quei gangli dello Stato che avevano disseminato il Paese di bombe e di stragi fasciste. Può darsi che abbiano creduto che l’operoso imprenditore si stava dando da fare per ridare finalmente libertà e benessere al Paese che Prodi aveva appena portato tra i soci fondatori della moneta unica.
Il problema è che - come diceva quella signora definita «faccia di merda» dal nostro presidente del Consiglio (voi immaginate la reazione della stampa francese, che è libera, se una simile frase fosse stata pronunciata da Chirac?)- molti pensano, anche fra chi lo ha votato, che il “libertador” del comunismo debba andarsene a casa.
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Ã? qui che si riconoscono, e che lui, il libertador, certamente riconoscerà, i veri amici. Occorre andare in soccorso del vincitore che forse non sarà più vincitore la prossima volta. E in quel caso molti santuari di cultura e di storia inventata potrebbero adottare qualche variazione di rito, di culto, di officiante. Occorre dunque mobilitare subito articoli di fondo e note di prima pagina, in uno sforzo culturalmente immane che ricorda il momento cruciale in cui i portatori della santa statua in processione si accordano a occhiate per issare e trasportare a spalla l’immagine miracolosa ma pesantissima.
Nessuno è mai pesato sulle spalle di operatori della cultura revisionista contemporanea come Berlusconi, un uomo che ha inventato tutto non solo di sé e dell’origine della sua ricchezza, ma anche della storia del suo Paese. La prova è che l’unica volta che ha tentato di rifilare ai colleghi primi ministri, durante un incontro europeo, la storia della liberazione dell’Italia dal comunismo, ha incontrato un tale imbarazzato silenzio che - fuori dal Paese, nei luoghi in cui non controlla stampa e televisione - non ci ha più provato. E ha preferito tentare con le barzellette.
In Italia è diverso. In Italia lui può contare su intellettuali come Galli Della Loggia e Angelo Panebianco, pronti a sacrificare il loro prestigio (e a correre il rischio di essere tradotti all’estero, come noi traduciamo le vignette del New York Times) per sostenere che, per cinquanta anni, l’Italia di Scelba, di Rumor, di Tambroni, di Segni, dei moti di Genova e di Reggio Emilia, di Tanassi, del caso Cirillo, di Ciancimino, l’Italia insanguinata di Portella della Ginestra e del generale Dalla Chiesa, di Peppino Impastato e di Don Puglisi, di Falcone e di Borsellino, l’Italia che viaggia nel buio delle stragi di Stato, da Piazza Fontana a Brescia, a Bologna, all’Italicus, a Ustica, ai Georgofili, l’Italia della P2 che controlla il Corriere della Sera e infiltra i vertici dei Servizi e delle Forze Armate, tutta questa Italia è nelle grinfie dei comunisti, che siedono egemoni dovunque si fa cultura, e si forma la mente, la moralità, il punto di vista, il giudizio, la scala di valori, la televisione spettacolo e la televisione telegiornali, dunque il comportamento degli italiani.
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Le circostanze immediate del concitato intervento di Ernesto Galli Della Loggia e Angelo Panebianco sul loro giornale sono note. Il Corriere della Sera aveva pubblicato, ad opera di Paolo di Stefano, una parte delle lettere di Calvino a Elsa De Giorgi, storia privata, storia d’amore, storia mondana e romanzesca tutt’altro che certa e certificata, come provano, nel merito di quella storia, i diversi e importanti interventi di Alberto Asor Rosa e di Alberto Arbasino.
La pattuglia di frontiera Galli Della Loggia-Panebianco veglia sui confini inventati del mondo inventato da Berlusconi. Quei confini disegnano un Paese dominato dalla cultura, dalla egemonia e persino dalle avventure private dei comunisti.
Perché qualcuno, che esiste nel mondo della cultura, deve dire, così a sproposito, simili sciocchezze con gli argomenti di un incattivimento infantile? Diciamo subito che il loro intervento non è a sproposito. Non nel campo che essi hanno fatto proprio. Come potrebbe Berlusconi apparire il “libertador” se l’Italia non fosse stata per cinquant’anni sotto il tallone dei comunisti? «Quando devi servire un padrone, lo devi servire», ammonisce Bob Dylan, «o tutto o niente» (“You have to serve somebody”, 1971). E non è una sciocchezza. L’incredibile, comica invenzione di Berlusconi vincitore del comunismo (con dieci anni di ritardo sulla storia) sta stingendo. Nonostante il presidio ferreo del TG 1 non si riesce più a render Berlusconi rispettabile agli occhi della maggior parte degli italiani. L’unica speranza, per la continuazione delle falsità e delle superstizioni è ripetere. I due difensori del regime si prestano. E così si compie l’evento più imbarazzante, mischiare il nome di Calvino, uno dei tre o quattro autori contemporanei italiani più cari e più amati nel mondo, con il nome di Berlusconi, che da noi fa paura, perché tiene il piede sul tubo delle informazioni e dunque della libertà, ma nel mondo è un personaggio che si muove tra disprezzo e ridicolo. Tocca a Eugenio Scalfari, uno degli amici più cari e dei conoscitori più intimi di Calvino, una delle voci più autorevoli e credibili dell’Italia contemporanea, far notare la saga penosa del comunismo egemone che sarebbe la vera spiegazione del carteggio Calvino-De Giorgi. Scalfari fa notare l’incongruenza e il ridicolo e chiude il caso, riducendolo alla sciocchezza politica di cui abbiamo appena parlato. Lo fa per chi ha la dignità di capire.
Ma sentite l’argomento di Panebianco che interviene in difesa del collega di schieramento: «Scalfari è arrivato persino a mettere in dubbio che sia mai esistita una egemonia culturale della sinistra in Italia, accusando Galli Della Loggia di essere l’unico a credere in una così bizzarra idea».
Notate l’uso della parola “sinistra” in luogo del mitico, onnipotente e, naturalmente, malefico Partito comunista italiano. Di quale sinistra starà parlando Panebianco? Deve essere la sinistra che ha mosso Adriano Olivetti e il vasto gruppo di intellettuali che ha saputo mobilitare intorno all’industria. Deve essere la sinistra di Mario Pannunzio che, con “Il Mondo”, ha generato buona parte del giornalismo italiano, fra cui Scalfari, fra cui chi scrive. Deve essere la sinistra di Arthur Schlesinger, che ha persuaso John Kennedy ad aprire la porta del governo italiano ai socialisti. Deve essere la sinistra di Allen Ginzberg e dei 500mila giovani americani che per far finire la guerra nel Vietnam si sono messi in testa di far levitare il Pentagono. Deve essere la sinistra del presidente Alfonsin in Argentina dopo la strage fascista dei desaparecidos. Deve essere la sinistra che ha liberato senza violenza il Brasile dalla dittatura militare. Deve essere la sinistra che ha cacciato Pinochet dopo il suo cumulo di torturati e di morti. Deve essere la sinistra di Jimmy Carter, che ha proposto al mondo il concetto dei diritti umani, che adesso è il grande nemico della Lega e del governo italiano. Deve essere la sinistra di Bill Clinton, dichiarato “comunista” dai neo conservatori per avere tentato di garantire cure mediche ai 40 milioni di americani che ne sono esclusi. Deve essere la sinistra del senatore americano Byrd e del senatore Ted Kennedy che hanno definito “oscena e immorale” la guerra in Iraq. Deve essere la sinistra di Amartya Sen, il Nobel indiano che ha studiato le carestie e la fame per sradicarle, la sinistra di Joseph Stiglitz, il Nobel americano, che equipara il pericolo del capitalismo disonesto e predone al pericolo del terrorismo, la sinistra del docente di Princeton e opinionista del New York Times Paul Krugman che considera il presidente americano George Bush un fuorilegge pericoloso. Certo per Panebianco è un bel problema. Perché questa è una sinistra attiva, infaticabile, diffusa nel mondo. Ã? una sinistra incompatibile col mondo finto e pericoloso di Berlusconi. Ma, insieme con Scalfari, ammettiamo che persino questa sinistra non ha niente a che fare con il carteggio d’amore Calvino-De Giorgi, anche se ha molto a che fare con una speranza di ritorno alla civiltà.
Ma la spiegazione è tutta nello sforzo tremendo che si sono assunti Galli Della Loggia, Panebianco, e l’autore anonimo di un ultimo villano corsivo in pagine di cultura non proprio colto ma dedicato, come insulto, a Scalfari. Il problema è che devono portare in processione l’immagine di un bizzarro leader che ha bisogno di un paesaggio finto per sembrare più alto. Difficile dire perché due persone come Galli Della Loggia e Panebianco lo facciano. Infatti si può essere di destra, o conservatore, o nemico della sinistra, senza inventare il passato a immagine e somiglianza di un leader fallito.

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