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Referendum, rivoluzione incruenta
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di Federico Orlando

Referendum, rivoluzione incruenta

Nessuno s’è accorto che un mese prima dei referendum abrogativi di giugno se n’era svolto uno consultivo nell’Isola sul “No alle centrali”,  definito  “oggettivamente indipendentista” dagli ultimi  sardisti. Così s’è deciso di fingere niente: all’alta scuola del Tg1, che non dà notizia del voto del capo dello Stato per non evocare la fuga del premier in villa,  la stampa scritta e quella audiovisiva hanno nascosto la consultazione sarda negli angoletti degli annunci mortuari o delle rettifiche. Altrimenti  si sarebbe visto che già c'era stata una piccola ribellione al ”sistema berlusconiano” prima di Torino, Bologna e Salerno, prima di Milano, Napoli e Novara, prima dei referendum del 12-13 giugno. La rivoluzione incruenta degli italiani.
La gente sa, anche se non ha letto trattati, che negli arcana imperii della politica il referendum è un giocattolo per mantenere il gioco amore-odio tra popolo e governanti nei limiti di un antagonismo tollerabile, senza forconi e ghigliottine. Il problema s'era posto nei primi giorni della Rivoluzione: quando il deputato-prete Sieyes scrisse il giuramento di Pallacorda, che definì la “sovranità nazionale”, il popolo come suo rappresentante, i deputati come suoi delegati. Sono passati due secoli dal giuramento e dalla nascita della democrazia delegata; e la sovranità nazionale continua a generare costituzioni e parlamenti rappresentativi. A gonfiarle le vele è stato il vento del liberalismo continentale, Benjamin Constant, che vide la “libertà dei moderni” diversa da quella dei diecimila ateniesi di Pericle: libertà di scegliere i “delegati” a fare in parlamento, senza vincoli di mandato, le leggi per conto della nazione. Perciò Berlusconi stramaledice la Costituzione, figlia della cultura francese, che tutela i deputati e non consente al capo dell' esecutivo di farne, come nell'assolutismo, pezze da piedi o da bunga bunga. Mi spiace che l'amico Parisi, inventore delle primarie, veda il referendum, cioè la democrazia “diretta” che piaceva a Rousseau, alternativa alla democrazia “delegata”, che piaceva a Rousseau. Da sola, essa non ci avrebbe portato alla libertà. E' stata la “doppia scheda”' - come la chiama Pannella - di democrazia rappresentativa e di democrazia diretta,  immessa nella nostra Carta,  a costituire la riserva, la valvola di sfogo antigiacobina del nostro sistema: che resta molto più Constant che Rousseau. Senza quell'immissione, il sistema rappresentativo sarebbe appassito su se stesso; e la democrazia diretta non avrebbe avuto argini e sarebbe finita nell'elogio della ghigliottina, quello di St Joust, non quello liberale di Gobetti contro il fascismo. Quel mix  della nostra Costituzione ci ha consentito lunedì sera di ribaltare alcune leggi e il sistema politico che le aveva espresse, e di farlo con gioia : le feste in piazza, gli innumerevoli abbracci con  turisti stranieri ai semafori: “Bravi italiani, vi siete svegliati”, ricordando forse la copertina dell'Economist “Quest’uomo ha fottuto un intero paese”. Gli italiani gli avevano presentato il conto, senza barricate e ghigliottine.
Ho vissuto da testimone quel che ricordava ieri il collega Mario Lavia, il referendum che ogni vent'anni rovescia la legge simbolo di un regime e il regime stesso. Ho frequentato i due forni della democrazia, partiti e comitati referendari, democrazia delegata e democrazia diretta. Non c'è nessuna schizofrenia. Il meccanismo è perfetto, a condizione che nessuno voglia sabotarlo: come invece spesso è accaduto, a danno del referendum.  Il risultato del funzionamento è quello che avete letto: col referendum il popolo legifera, imponendo al parlamento di “riscrivere la legge abrogata sotto dettatura del popolo”; e rimuove una casta politica. Così fu nel '74 a quando, con Pannella, Fortuna, Baslini, Jemolo, Scoppola  (e con lui altri “cattolici del No”) difendemmo il divorzio contro l'abrogazione chiestane dall'integralismo cattolico e democristiano di Fanfani. Così fu nel 1991-93, quando coi due referendum elettorali di Mario Segni abbattemmo la proporzionale, allora ritenuta causa prima della corruzione partitocratica, e il leader che incautamente ne aveva assunto la difesa, Craxi. Oggi saldiamo i conti col sultanato populista. Dice il falso  La Russa (e spiace lo dica proprio nell'ospitale diretta del Tg3) che “ha vinto solo la Cassazione”, riammettendo il referendum sul nucleare. Hanno vinto i nuovi protagonisti della società italiana: per prime le donne del 13 febbraio, ancora una volta è stata Eva a destare lo spirito torpido di Adamo . Con loro gli studenti dei licei e delle università, gli operai delle fabbriche a rischio, i senza contratto, gli inoccupati, i precari, i giovani della “nuova” politica che parla col web, i giornalisti che non si sono venduti al ras, i partiti che col popolo del web hanno interloquito e anche lavorato insieme. E questa non è una Nazione? A credere che abbiano vinto la Cassazione e la Consulta, odiate garanti della legalità e della costituzionalità delle leggi, è rimasta solo la trimurti Berlusconi-Bossi-Minzolini, sonoramente sgarrettata dagli italiani.
Quante rivoluzioni cruente ha risparmiato questo bilanciamento tra parlamento e referendum, tra volontà della nazione e volontà generale, tra democrazia delegata e democrazia diretta? Se i politici e i giornalisti avessero tempo di parlarne coi cittadini, la Politica ne uscirebbe con una faccia presentabile. Come quella che si cominciò a tratteggiarle qualche millennio fa.           

 

Dopo la valanga dei sì- di Fernando Cancedda  / Non è  più tempo di azzeccagargli- di Ottavio  Olita / Quattro “sì” liberatori e contro i compromessi e le compromissioni - di Valter Vecellio / E' scattato l'antifurto della partecipazione - di Massimo Marnetto*  / Batti quorum - di Michele Orezzi* / Referendum: la Rivoluzione gentile che descrive una nuova Italia possibile - di Giorgio Santelli  / Da Bocca della Verità, cronaca di un giorno di festa- di Bruna Iacopino /  Un voto straordinario- di Nicola Tranfaglia 


 


 


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