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Web 2.0, come ti scateno il quorum
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di Claudia Consolini

Web 2.0, come ti scateno il quorum

Il popolo è sovrano. Lo ha sancito il web 2.0, quella particolare evoluzione di Internet che, attraverso le applicazioni online come Facebook , Twitter, YouTube, blog e forum, ha messo il piede sull’acceleratore dell’interazione tra gli utenti della Rete, creando uno spazio virtuale di condivisione e scambio di idee ed ha spinto sociologi, massmediologi, politologi e  giornalisti a fare i conti con nuovi modelli di interpretazione dei meccanismi di formazione della opinione pubblica. Passaparola! E’ stato il mantra scandito sul “nuovo web” già in occasione delle recenti elezioni Amministrative che hanno visto il trionfo di Pisapia e De Magistris a Milano e Napoli, ma che ha raggiunto il suo apice con i quattro referendum popolari sulla gestione del ciclo idrico integrato, il nucleare e la giustizia.
Le opinioni sulla spinta determinante del contributo dei social network alla causa referendaria sono molteplici e contrastanti: c’è chi sostiene che se è stata raggiunta la soglia del quorum il merito è di Facebook e Twitter, c’è chi avverte che il rischio di un tam tam troppo emotivo, scandito dai click veloci per condividere files sulla rete, metta a riposo la ragione ed una riflessione più approfondita, c’è chi considera la rete un ottimo catalizzatore di energie, ma poi c’è la gente dietro che spinge per generare cambiamenti.

Già la gente, il popolo, i giovani, la cittadinanza attiva, l’Italia dei Movimenti: 28 milioni di persone si sono recati alle urne per difendere le frontiere della democrazia, per dare un segnale forte alla politica ed una scossa alla via tecnocratica, calata dall’alto dalle oligarchie, per risolvere le questioni che riguardano un intero Paese. Mobilitazione dal basso, dunque, con ogni mezzo: ben venga allora il web 2.0, ben vengano le tecnologie avanzate, ben venga la democrazia 2.0 quando c’è da difendere il futuro.
Ma il dibattito sulla Rete si è fatto rovente ed è fitto di nodi da sciogliere: Internet, dunque, come moltiplicatore di una comunicazione banalizzata e semplificata, oppure è il web che ha fatto la differenza e YouTube e Facebook hanno sconfitto la “cattiva maestra” televisione?

E’ utile ricordare, a proposito, tra le riflessioni sul merito di Internet e la velocità con cui è riuscito ad ibridare linguaggi, mezzi di comunicazione, idee e culture attraverso una fitta rete di scambi in tempo reale, lo studioso e massmediologo Marshall McLuhan. Il pensiero del teorico del “villaggio globale” è stato reinterpretato, con acume, dallo scrittore canadese Douglas Coupland nel suo saggio Marshall McLuhan, in cui rivendica la contaminazione tra cultura alta e cultura pop propria di McLuhan, ma ancor di più spinge ad una riflessione sul suo più intimo spirito antimoderno.

A dispetto di chi lo ha eletto a paladino delle nuove tecnologie e dei nuovi media, Coupland fa emergere uno studioso che si occupava, invece, con distacco degli “orrori” provocati dai media elettronici del presente mentre aveva uno sguardo fiducioso su un  futuro che, paradossalmente, sarebbe nato dall’apocalisse tecnologica. E questa fiducia nel futuro la traeva da una visione che profetizzava la nascita di una coscienza collettiva dell’umanità unificata dai media: McLuhan teorizzava infatti un ritorno all’oralità, al tribale, attraverso un cammino nel futuro, complice le tecnologie, che alla fine avrebbe potuto restituire all’umanità l’innocenza perduta.
Tra suggestioni quasi mistiche il suggerimento è, forse, quello di leggere questo successo, elettorale e referendario, tra le pieghe di un dibattito che si infittisce, come la spinta naturale e più genuinamente partecipativa dei cittadini che, insieme, anche attraverso una comunicazione virale e “tribale”, molto rapida ma efficace perché basata sul forte senso di appartenenza ( del resto il passaparola all’interno di una tribù è potente: il tamtam, infatti, è il mezzo di comunicazione tribale per antonomasia) ha riscoperto la forza di un istituto di democrazia diretta, quello del referendum, che non si verificava da ben diciassette anni.

Ed è emersa, soprattutto, una urgenza di rinnovamento, anche culturale, molto più ricca e complessa degli schemi semplificativi della rete: i 28 milioni di italiani che si sono recati alle urne non lo hanno fatto solo perché toccati dalle corde emotive sulla scia di tragedie come quella di Fukushima, come qualcuno ha voluto far credere, bensì con il loro voto hanno lanciato, con forza, un messaggio per affrontare i veri temi che riguardano la società nel suo complesso ed una crisi ormai sistemica, attraverso un cambio di rotta da parte di una politica stagnante che nuota nelle acque stagnanti dell’economia, con una crescita zero ed una disoccupazione dilagante.
Ma, probabilmente, in questa partita giocata non c’è nessun vero vincitore e nessun vinto: internet o la televisione, i cittadini o i partiti, ma una nuova e potente forza, la forza del cambiamento.
E come ha scritto Massimo Gramellini sulla Stampa, “ogni mutazione sociale ha bisogno di interpreti forti, interpreti che abbiano qualità non solo carismatiche ma anche di sostanza. Perché il vero talento da leader è quello di saper leggere e capire i bisogni profondi del Paese e dei cittadini, anziché inseguirli lungo la china demagogica dei sondaggi”. Passaparola!

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