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Articolo 21 - Editoriali
Se gli elettori cambiano canale
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di Vincenzo Vita

Quanto conta davvero la televisione nella formazione dell'opinione pubblica e nella costruzione del consenso? La ricerca nell'ambito degli studi sulle comunicazioni di massa è da tempo arrivata alla conclusione (provvisoria) che la televisione non ha una ricaduta immediata sui comportamenti politici ed elettorali, mentre gli effetti del suo {rumore di fondo} si vedono nel medio-lungo periodo. Il {berlusconismo} è (è stato?) qualcosa di più e di diverso, di nuovo rispetto alle culture della destra classica. Si è intrecciato con le parzialità e i localismi senza storia che hanno toccato la stagione seguita alle grandi ideologie, si è contaminato con gli {spiriti animali} del liberismo sfrenato e della guerra. Soprattutto, però, si è giovato della televisione come fenomeno saliente della cultura di massa e si è presentato al pubblico come protagonista diretto della scena. Come notano Alberto Abruzzese e Vincenzo Susca in un recente volume (Tutto è Berlusconi, Milano 2004) {...con Berlusconi non è la politica che si mette in scena in televisione ma la televisione che si autopresenta in chiave politica attraverso se stessa, le sue logiche e i suoi linguaggi....}. 

Insomma, negli anni passati è successo qualcosa di profondo, non ascrivibile alla mera vicenda politica. Si sono squassati molti parametri di riferimento, i modelli tipici del consumo di una certa televisione commerciale hanno preso il sopravvento, l'appiattimento e l'omologazione culturali hanno dato alla situazione il sapore fittizio della normalità. Ora, tutto questo appare irrimediabilmente in crisi. Non solo per le sconfitte elettorali cui è andato incontro il partito televisivo, Forza Italia, di cui si celebra uno sfortunato decennale. Non basta. E quel modello, cresciuto vorticosamente grazie all'anomalia italiana _ conflitto di interessi, controllo da parte di un unico soggetto di oltre la metà del sistema mediale _ ad essere in crisi. E non si tratta di una semplice difficoltà transeunte, bensì dell'evidente reazione proprio di quella parte della società dei consumi, prima attratta dal sogno e poi delusa dal mancato conseguimento degli obiettivi promessi. E la politica mercificata che si rivolta contro chi aveva immaginato di interpretarne pulsioni e speranze. Come con la tv anche qui si usa lo zapping e si cambia canale.  Ovviamente, nulla è definito una volta per tutte e male, malissimo farebbe il centrosinistra a considerare chiusa la partita, supponendo di avere già in tasca le prossime scadenze elettorali. Servono alleanze stabili, larghe e programmi precisi, includendo pure il negletto tema della comunicazione tra i punti salienti di un progetto credibile per l'Italia. E augurabile che la sottovalutazione di tali fenomeni e gli errori degli anni passati, quelli che hanno contribuito a rendere più forte il {berlusconismo}, non vengano ripetuti.

A cominciare dalla questione serissima per la vita democratica del conflitto di interessi: da risolvere con una legge adeguata.  Pur senza dare nulla per acquisito, è utile cogliere le novità per evitare innanzitutto di immaginarsi ancora immersi in una fase invece calante. Ciò significa, ad esempio, che la televisione o i media in generale contano di meno e che si può prescindervi? No,naturalmente. Il modo di avvicinarsi alla comunicazione, di starci dentro non limitandosi a fruirla passivamente, questo sì è cambiato. Le generazioni più giovani guardano di meno la televisione generalista a favore dei canali specializzati in particolare musicali. E sono attratti dal computer. Dialogano con gli sms. Hanno un successo inaspettato e per certi versi insospettabile le letture pubbliche di poesie o i festival letterari. Non è un ritorno indietro, bensì un altro svolgimento della post-modernità, nel quale è indispensabile che si riaffermi la buona politica, quella tesa al governo della sfera pubblica. Attenzione, dunque, a non ripetere gli errori, passando dalla non comprensione dei vecchi media alla rimozione di quelli nuovi, quelli legati ai linguaggi digitali, espressivi del tempo reale e della globalità.  Torniamo all'attualità. Per uscire dal {berlusconismo} è fondamentale riaprire una discussione serrata sulle regole democratiche. Non per caso Berlusconi (questa volta in persona) ha persino invocato l'abolizione della legge sulla par condicio.  In tale quadro, proprio per i suoi effetti ancor più gravi del previsto, sarebbe importante porsi già ora il tema del superamento della legge Gasparri sull'emittenza che, raggiunto lo scopo del salvataggio di Retequattro, rischia di compromettere proprio i nuovi media, a partire dal {digitale}, ridotto da potenziale linguaggio del futuro a tampone della crisi della vecchia televisione. Come rischia di indebolire in maniera defitiva la Rai.

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