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Eternit, i diritti di chi è stato esposto non da lavoratore
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di redazione

Eternit, i diritti di chi è stato esposto non da lavoratore

Si avvia alla pausa estiva il processo Eternit che si sta celebrando a Torino e che vede interessata anche la comunità di Cavagnolo. Lunedì 11 luglio l’ Avv. Patrizia Bugnano, Senatore Idv, che assiste con altri colleghi coloro che da anni abitano nel territorio comunale o in zone limitrofe, quindi vicino allo stabilimento Saca Eternit, ha rassegnato al Collegio presieduto dal Dott. Casalbore, le sue conclusioni.

Per questi cittadini che non hanno contratto alcuna patologia riconducibile all’esposizione all’amianto, gli avvocati hanno chiesto ed ottenuto all’inizio del processo di costituirsi parte civile per l’ esposizione extralavorativa al rischio indotto dalla inalazione di fibre di amianto, la dispersione delle quali nell'ambiente di vita si ritiene direttamente riconducibile alla responsabilità degli imputati nel processo.

I legali hanno sostenuto l’esistenza di una condizione di pericolo – protrattasi per decenni - non limitabile ai soggetti che hanno subito lesioni fisiche, ma estesa a tutti quei soggetti che, in ragione del rapporto di parentela con i lavoratori esposti, in ragione della ridotta distanza delle loro abitazioni dagli stabilimenti produttivi Eternit o per altri motivi sono stati indotti, in conseguenza del comportamento degli imputati, all’inalazione di fibre di amianto potenzialmente cancerogene.

L’istruttoria del processo ha evidenziato svariate fonti di inquinamento esterno, cioè di modalità in cui le fibre di amianto sono state perse nell’ambiente, come Il trasporto della materia prima in sacchi, l'affidamento di lavori di rammendo dei sacchi rotti ai familiari dei lavoratori, il trasporto di materiali su camion scoperti attraverso tutta il paese, l’inadeguatezza degli impianti di ventilazione dello stabilimento che di fatto buttavano l’amianto nell’ambiente circostante, gli indumenti da lavoro non sottoposti ad alcun tipo di pulizia da parte dell’azienda, gli scarichi nel fiume Po degli scarti di produzione. Vi sono poi due aspetti che sono stati particolarmente evidenziati dagli avvocati quali fonte di inquinamento, l’ abbandono degli stabilimenti e l’ uso improprio dell’amianto.

I testimoni ascoltati hanno riferito chiaramente che quando Eternit ha chiuso lo stabilimento non ha preso alcun provvedimento bensì ha chiuso con tonnellate di amianto abbandonato dentro lo stabilimento e nessun tipo di informazione è stata fornita alla popolazione circa la pericolosità dell’amianto lasciato loro in eredità. Per quanto riguarda poi quella che forse è la forma più importante di veicolazione dell’amianto dallo stabilimento verso l’esterno, l’uso improprio, è emersa anche a Cavagnolo la prassi di cedere pezzi di scarto a privati o ai lavoratori, attività che non era svolta abusivamente, di nascosto o in modo occulto rispetto all’insaputa dei dirigenti dell’Eternit, bensì nella loro piena consapevolezza. Gli Avvocati hanno infine evidenziato come non vi fosse alcuna conoscenza della pericolosità delle fibre di amianto da parte dei cittadini e nessuna informazione da parte dell’azienda.

Questa situazione, secondo i legali, giustifica un risarcimento dei danni non patrimoniali in quanto la norma che si ritiene violata dagli imputati, l’art. 434 codice penale – disastro doloso - tutela l’integrità fisica dei cittadini dell’area coinvolta nel rischio. La sofferenza d’animo di quanti direttamente o indirettamente hanno subito le conseguenze dei fatti di reato oggetto delle contestazioni rivolte agli attuali imputati risulta assolutamente evidente nel caso di Eternit; una condizione di sofferenza individuale e collettiva ancora oggi non superata in chi risiede da decenni nelle aree colpite.

Forse mai come in questo caso, risulta evidente il danno che hanno patito e che continuano a patire i colleghi di lavoro dei deceduti e gli abitanti delle aree colpite dalle conseguenza del comportamento delittuoso degli imputati, mai come in questo caso l’angoscia, il dolore e la paura sono evidentemente stati un id quod plerumque accidit; il terrore e il dolore per le morti che si susseguono da anni si sono mescolati in ciascuno, la consapevolezza di vivere una condizione di pericolo per la salute, via via sempre più accentuata in relazione alla progressiva informazione circa i tempi e le dimensioni dei danni da amianto non può oggi essere considerata come frutto del caso ma deve essere considerata come un effetto diretto del comportamento degli imputati.

Una voce di danno dotata di autonomia ontologica e concettuale rispetto agli altri pregiudizi legata alla condizione propria di tutte le persone fisiche che si sono trovate, loro malgrado, in relazione con luoghi altamente inquinati in ragione dell'attività lavorativa svolta e/o della loro residenza e/o frequentazione abituale. Un disastro ambientale ed un pericolo per la salute collettiva di eccezionale gravità che desta tuttora un esteso senso di allarme tra la popolazione ed è certamente non riparabile con normali opere di bonifica.

La Corte di Cassazione a sezioni unite in occasione del disastro ambientale determinatosi in conseguenza del notissimo caso Seveso aveva deciso che: “In caso di compromissione dell'ambiente a seguito di disastro colposo (art. 449 c.p.), il danno morale soggettivo lamentato dai soggetti che si trovano in una particolare situazione (in quanto abitano e/o lavorano in detto ambiente) e che provino in concreto di avere subito un turbamento psichico (sofferenze e patemi d'animo) di natura transitoria a causa dell'esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita, è risarcibile autonomamente anche in mancanza di una lesione all'integrità psico-fisica (danno biologico) o di altro evento produttivo di danno patrimoniale, trattandosi di reato plurioffensivo che comporta, oltre all'offesa all'ambiente ed alla pubblica incolumità, anche l'offesa ai singoli, pregiudicati nella loro sfera individuale" Cass. sez. Unite n. 2515 del 21/2/2002.

Per la quantificazione di questo profilo di danno si è ritenuto di arrivare ad una richiesta predeterminata uguale per tutte le posizioni, quantificata, in considerazione della particolare gravità ed odiosità delle condotte ascritte agli imputati, nella misura di € 10.000,00 per ciascun anno di avvenuta esposizione. Si tratta di una quantificazione di tipo equitativo: ora spetta al Tribunale pronunciarsi innanzitutto sul riconoscimento della voce di danno e poi sulla sua quantificazione. La decisione è prevista per la fine dell’anno. Il caso Eternit ha evidenziato la necessità di arrivare ad una rapida approvazione di una legge che riconosca che per soggetto esposto all’amianto si intende non solo il lavoratore ma anche il cittadino che per situazioni abitative, familiari o ambientali sia in contatto diretto o indiretto con l’amianto. La Commissione Lavoro del Senato sta esaminando alcuni disegni di legge in questa direzione, fra cui uno a mia prima firma, e quindi l’auspicio è che al più presto si arrivi ad un testo condiviso.


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