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I "confinati" di Mineo: business dell'accoglienza e diritti negati
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di Natya Migliori

I "confinati" di Mineo: business dell'accoglienza e diritti negati “Penso si possa dire che l'unica, vera questione, qui, sia il passaggio imminente della gestione del CARA.” Ha riassunto così ieri mattina le proprie impressioni sul “Villaggio della Solidarietà” di Mineo l'onorevole di FLI Fabio Granata, dopo una breve visita in occasione della giornata di mobilitazione nazionale contro la chiusura dei CIE all'informazione.
Davanti al cancello dell'ex “Residence degli Aranci” (Pizzarotti S.p.A), fino a poco tempo fa occupato dai Marines della Base di Sigonella, insieme a Granata, il senatore Fabio Giambrone e il deputato Ignazio Messina, entrambi di IdV, i rappresentanti della Rete Antirazzista Catanese, pochi giornalisti, qualche sindacalista e nessun politico locale. Assente anche la cittadinanza catanese.
Circa una cinquantina invece gli ospiti del Centro, fiduciosi forse di sentire parole concrete dopo mesi di vana attesa.
"Abbiamo visitato gli alloggi - prosegue il senatore Giambrone - le cucine, le strutture sanitarie e i locali adibiti alle attività per i minori. Il lavoro della Croce Rossa ci sembra oggettivamente presentabile. Tuttavia sappiamo che i problemi ci sono. La struttura di Mineo costa diciassette mila euro al giorno, soprattutto a causa delle lungaggini burocratiche che tengono bloccati i richiedenti asilo per un tempo di gran lunga superiore al necessario. Ridurre i tempi, significherebbe ridurre i costi. In tal senso chiederemo al ministro Maroni un ulteriore potenziamento delle Commissioni Territoriali."

"Ciò che maggiormente ci preoccupa tuttavia -conclude Ignazio Messina- è che la Croce Rossa andrà via in agosto e, ad oggi, non è ancora chiaro a chi verrà affidata la gestione del CARA e secondo quali modalità. Non ci sono infatti i tempi tecnici per una gara d'appalto e dovremmo capire al più presto se una trattativa privata possa essere competitiva e conveniente."

Un quadro, nel complesso,  confortante. Che cozza però con quanto sostenuto da chi, da sempre, reclama la chiusura del CARA.

"In realtà -spiega Alfonso Di Stefano, rappresentante della Rete Antirazzista Catanese- il problema non è solo a chi affidare la gestione del Residence. Ci troviamo davanti all'ennesimo lager italiano in cui i migranti vengono praticamente rinchiusi. Nonostante le nostre rimostranze, però, non solo il “Villaggio della Solidarietà” non viene chiuso, ma sembra palese che ci sia tutto l'interesse a mantenerlo aperto. Ad oggi, gli ospiti al Centro sono 1900 e per ognuno di loro la struttura riceve cinquanta euro al giorno. I primi di aprile, ventuno sindaci della locride si sono offerti di ospitarli  alla cifra più modica di venticinque euro al giorno. Ma il ministro Maroni ha addirittura ignorato l'istanza."

"Alle origini dell’intera operazione di riconversione dell’ex villaggio USA nel mega-centro di accoglienza per richiedenti asilo -scrive il giornalista ed attivista Antonio Mazzeo in Mineo. Il diritto alla fuga per salvarsi la vita-  c’è la ferma intenzione di continuare a spremere milioni di euro all’anno da una struttura che rischiava di restare per sempre abbandonata.
Quando alla Pizzarotti fu comunicata l’intenzione di Washington di non rinnovare il contratto d’affitto che sarebbe scaduto il 31 marzo 2011, i manager della società si affannarono ad individuare nuovi possibili locatari del villaggio. L’ultima spiaggia fu quella di proporre l’affitto direttamente alle famiglie dei militari USA: 900 euro al mese a villetta,  160 metri quadri di superficie più giardino.  Saldi di fine stagione: quasi la metà di quanto il Dipartimento della difesa versava alla Pizzarotti, 8 milioni e mezzo di dollari all’anno più le spese per la gestione dei servizi all’interno del villaggio. Fallito anche questo tentativo ci avrebbero pensato le rivolte per la libertà e il pane in nord Africa a fornire l’occasione per riaprire i cancelli del residence e consentire al governo di stiparvi oltre duemila tra richiedenti asilo, residenti da tempo in Italia, ed immigrati dell’ultima ora. La portata finanziaria dell’affaire è top secret, ma è possibile spingersi in una stima di massima. Se venisse applicato il canone concordato con gli americani, per i dieci mesi dal decreto di “requisizione” (2 marzo 2011) del Commissario straordinario per l’emergenza immigrazione, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, il governo dovrebbe dare alla Pizzarotti non meno di 5 milioni e 500 mila euro. La legge parla chiaro: anche nel caso di espropri e requisizioni per pubblica utilità gli indennizzi non possono essere inferiori ai valori di mercato. Il dottor Caruso ha ammesso che nei piani del governo e dei proprietari, c’è l’intenzione di sottoscrivere un contratto d’affitto per non meno di cinque anni. In questo modo verrebbero ad essere trasferiti altri 30 milioni di euro dalle casse dello stato al privato."

"Il business del CARA è insomma enorme -continua Di Stefano- e ci sono chiari segnali che tenda ad allargarsi. A pochi chilometri da qui, la Cooperativa sociale catanese “Il Solco” sta per avviare un Centro Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Ma che senso ha se a Mineo esiste il CARA? C'è inoltre l'alto rischio che il business attorno al Centro possa far gola alla mafia. È già successo ad aprile scorso, quando l’attività di money transfer è stata affidata per un breve periodo ad un congiunto del boss Di Dio. Com'è potuto accadere? Chi controlla ed impedisce le infiltrazioni mafiose nella gestione dei servizi per i migranti?"

Se gli interessi economici a Mineo oltrepassano i cancelli del CARA, i Diritti Umani sembrano invece restare al di qua delle barricate.

"Per diversi mesi -è ancora Di Stefano- i ragazzi sono rimasti chiusi qui senza che nessuna Commissione Territoriale venisse ad intervistarli per ottenere la Protezione Internazionale. Di recente i lavori sono stati incrementati e siamo arrivati ad analizzare circa sessanta o settanta casi alla settimana. Ma è un numero ancora insufficiente. Tra l'altro, non si rispetta nemmeno l'ordine cronologico delle domande e chi è appena arrivato viene spesso intervistato prima di qualcun altro che aspetta invano da quattro mesi."

"Non siamo ancora stati interrogati dalle commissioni -mi racconta John, algerino, 27 anni- e siamo chiusi al Centro dal mese di marzo. Non possiamo spostarci perché i mezzi pubblici costano, non possiamo vedere la tv perché è in italiano. Ogni giorno è uguale all'altro e ci sembra di impazzire. Siamo fuggiti dai nostri paesi in guerra e ci sembra di essere finiti in carcere. Non è un buon posto, questo. Niente va bene. Dovreste entrare e vedere con i vostri occhi, voi giornalisti, perché non lo fate?"

Le condizioni all'interno del “Villaggio della solidarietà” sembrano confermate da un recente rapporto di Medici Senza Frontiere, secondo cui sarebbero sette i casi di tentato suicidio all'interno della struttura.

"l migranti -ha dichiarato Francesca Zuccaro, capo missione Msf Italia- passano dalla guerra al limbo. Il problema è che non viene tenuto conto delle situazioni più fragili a livello psicologico. Il sistema prevede che i richiedenti asilo vengano stipati in centri di accoglienza come Mineo, privi di qualsiasi forma di assistenza, per un tempo indefinito, visto che le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato sono lentissime."

"Non abbiamo neanche la possibilità di lavare i nostri vestiti -aggiunge Idris, 25 anni, Costa D'Avorio- e il cibo è scadente. Stiamo male quasi ogni giorno e qualcuno è addirittura finito in ospedale. Per curarci ci danno delle pillole di paracetamolo, ma non ci fanno sentire meglio: è il cibo il problema. E poi non possiamo chiamare le nostre famiglie perché le carte telefoniche non ci vengono fornite ogni giorno."

"La Croce Rossa -chiarisce Di Stefano- ha messo a disposizione all'interno una sorta di Call Center ma solo per due ore al giorno. Basta fare due conti con il pallottoliere per capire che, per ciascuno dei quasi due mila ragazzi, la media è di tre minuti alla settimana. Cosa si può dire alla famiglia in così poco tempo?"

Irrisolto rimane inoltre il caso dei quarantasette minori non accompagnati, illecitamente trattenuti al Centro fino a qualche giorno fa. Oggi, secondo quanto dichiarato dagli onorevoli, ne sarebbero rimasti solo diciannove, tutti di età compresa fra i sedici e i diciassette anni compiuti. Dove sono gli altri?
"Io ho sedici anni -mi confida uno di loro- ma qualche giorno fa il membro dell'UNHCR che mi ha intervistato ha scritto sul rapporto che ne ho diciotto. Forse ha sbagliato. Ma io penso che lo abbia scritto perché da solo qui dentro non potrei starci..."

“I minorenni rimasti all'interno della struttura -afferma l'onorevole Giambrone- sembra comunque stiano bene. Erano tra l'altro impegnati con una lezione di lingua italiana."

"In quattro mesi -mi racconta Abdul, afgano, 17 anni- sono state solo tre le lezioni di italiano. Non c'è nessuna regolarità e sappiamo solo dire “buongiorno” e “come stai”. Ammesso che ci diano il permesso di soggiorno, dove potremo mai andare senza conoscere una parola della lingua del posto?"

"Io ho ottenuto il permesso per tre anni -conclude amaramente Ibrahim, anche lui afgano- ma non posso andarmene perché non parlo l'italiano. Le poche parole che conosco le ho imparate ad Ancona, non a Mineo. E non sono certamente sufficienti per poter trovare un lavoro e poter comunicare con la gente. Sono sposato ed ho un bambino, nel mio paese. Come posso sperare di far venire la mia famiglia se non riesco a lavorare? Rimarrò a Mineo per il momento. Perché ho paura di uscire."

La nostra discussione viene interrotta da qualcuno che chiama aiuto. Un ragazzo è a terra, trema, stringe le mani al petto. Viene tempestivamente portato all'interno dall'ambulanza della Croce Rossa.

"E' il cibo", dice qualcuno. Altri si guardano sottecchi. Molti abbassano lo sguardo e la voce.
Uno di loro sussurra che avrebbero voluto manifestare anche loro, la stessa mattina.
"I poliziotti ce lo hanno impedito -sostiene- e quel ragazzo è stato colpito al petto da uno di loro."

"Sembrerebbe -afferma Alfonso Di Stefano- non essere la prima volta purtroppo. A giugno, uno di loro ha denunciato formalmente le forze dell'ordine per aver subito la frattura di un polso."

Gli onorevoli vanno via, promettendo di discutere il “caso Mineo” in Parlamento.
"Qui è in gioco la dignità di ognuno di loro", conclude Giambrone.
E non possiamo che trovarci d'accordo.

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