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Articolo 21 - Editoriali
Quella Milano controcorrente
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di Curzio Maltese

da La Repubblica

Enzo Baldoni è il dodicesimo ostaggio massacrato in Iraq, il secondo italiano, la millesima vittima dell´Occidente in guerra eppure non assomiglia a nessuno degli altri. Non era in Iraq per fare la guerra o per fare soldi e neppure per inseguire la gloria effimera d´uno scoop. Hanno scritto che è stato rapito a Najaf mentre cercava d´intervistare Al Sadr, come altre decine di reporter occidentali. Non è vero. S´era fermato qualche giorno in più per portare un ferito all´ospedale d´Emergency. Una verità troppo umana per esser raccontata dai media. Meglio aggrapparsi al cliché dell´inviato dilettante in cerca del colpo di successo. Il successo Baldoni l´aveva già avuto come pubblicitario di genio, ultimo di cento mestieri, da fotografo di nera a Sesto San Giovanni a traduttore di fumetti americani.
Era un uomo ricco di talento e di ironia. Uno strano tipo di italiano, forse il migliore ma anche il più difficile da rendere con la povera retorica dell´informazione nostrana improntata al melodramma.
La figura di Baldoni non appartiene alla fauna da sceneggiato televisivo che ci viene descritta nei caritatevoli reportage dal fronte: il povero carabiniere, la body guard con famiglia a carico, il buon missionario, l´intrepido giornalista, il coraggioso volontario. La sua storia non offre spunti al piagnisteo da salotto televisivo e infatti è stata subito rimossa, già la sera dopo, nell´urgenza delle maratone olimpiche. Baldoni rappresentava qualcosa di ormai inconcepibile nel canovaccio nazionale, un individuo: uno libero di coniugare a modo suo la frequentazione con i luoghi comuni della Milano da bere, pubblicità e moda, con l´impegno sociale e la volontà di testimoniare le tragedie del mondo. Una persona in missione in Iraq non per la patria, il partito, l´ideologia, l´azienda o la famiglia ma per se stesso, per cercare di capire «cosa spinge altre persone a imbracciare un mitra». «Voglia di capire» e basta. Non c´è nulla che l´Italia contemporanea abbia meno voglia di capire.
Una destra fondamentalista l´ha etichettato «uno di sinistra», anzi un «no global», come tutto quello che i miseri strumenti culturali non le consentono di decifrare. Nella stupida ossessione dell´appartenenza a tutti i costi, la definizione suona comunque sbagliata. Baldoni era semmai vicino al mondo di una Milano democratica, assai minoritaria e pure molto attiva. Quella Milano che raccoglie sotto l´etichetta di "società civile" una piccola galassia di esperienze diverse. Ex sessantottini e rari borghesi liberali, vecchi militanti di partito delusi e ragazzi nati dopo il crollo di tutte le ideologie. Individui appunto, spesso critici, ingenui rompiballe sgraditi a destra ma anche a sinistra. Un mondo sospeso tra la nostalgia dell´impegno politico da anni Settanta e una modernissima visione del mondo globale, isolato in patria ma con impensabili legami e contatti con ogni angolo del pianeta.
Il modo migliore per definire Baldoni è «uomo di pace», secondo le parole della figlia, sincere e pulite come la sua faccia. Naturalmente per i fanatici assassini non ha fatto alcuna differenza che il prigioniero fosse lì per fare la guerra o raccontarne il dolore. Nella stessa logica da delinquenti politici, un pezzo di destra non si è vergognato di deridere il «compagno Enzo», donchisciottesca vittima dei propri ideali. Il nemico, per entrambi, non è un essere umano. La morte di Enzo Baldoni potrà servire a quelli come lui, pieni di dubbi e di voglia capire, che per fortuna non sono così pochi. Per comprendere che in questa guerra del fanatismo (orientale e occidentale) contro la ragione e la civiltà nessuno può chiamarsi fuori, inventarsi un´isola felice, fingere che non lo riguardi.

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