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Pietà l’è morta e forse da molto
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di Stefano Galieni

Pietà l’è morta e forse da molto

Nel dibattito al Senato che ieri ha visto divenire legge effettiva dello Stato le modifiche proposte dal ministro Maroni per “adeguarsi” alle normative europee, nessuno nella maggioranza è stato capace di spendere una parola, una sola per l’ennesima tragedia consumatasi di fronte a Lampedusa. Per chi governa queste 25 morti sono poca cosa rispetto ad una gestione fallimentare e oppressiva del sistema di accoglienza in Italia, un sistema che fa acqua da tutte le parti, che genera dolore, rabbia che esplode in rivolta, insicurezza, paura, subalternità e anche misero business. Intanto va chiarito un elemento che svela l’ipocrisia del testo approvato in senato: la “direttiva rimpatri” del 2008 è un testo che offre le coordinate di massima su cui i singoli stati debbono orientarsi, le modalità con cui lo fanno restano scelta esclusiva dei governi e dei parlamenti nazionali, l’Italia ha fatto la scelta più drastica. Ha recepito di fatto solo gli aspetti più nettamente repressivi della direttiva, omettendo percorsi alternativi.

Come raccontavano, dai banchi dell’ opposizione la senatrice Adamo e il senatore Vita, al termine di una votazione conclusasi con 151 voti favorevoli e 129 contrari, durante le varie audizioni che ci sono state in commissione, prima del passaggio in aula, dirigenti di polizia, operatori del settore, esperti in materia, confermavano che il trattenimento nei Cie fino a 18 mesi è inutile, che o l’identificazione di una persona irregolarmente presente avviene nei primi  due mesi o è impossibile. Ma, va detto la maggioranza ha operato una banale operazione di mercato, il voto compatto del Pdl a queste normative molto richieste dalla Lega Nord, in cambio di un voto favorevole di questi al “processo lungo”, agli interessi del dominus. Nel resto d’Europa, si sta praticando una politica che favorisce in maniera premiale il rimpatrio volontario assistito, poca o nessuna reclusione insomma in cambio dell’aiuto a costruirsi un progetto di vita nel proprio paese e senza subire vincoli ostativi in caso di reingresso.

Ma il resto d’Europa crea anche – seppur fra differenze e difficoltà – neo cittadini, in Italia si continua a far divenire “stranieri in casa” persone nate o cresciute qui, a ostacolare i progetti di inserimento stabile utilizzando i mezzi della burocrazia e del precariato strutturale, si producono stranieri insomma, l’anticamera per produrre clandestini. E i Centri di identificazione ed espulsione sono ormai la punta dell’iceberg di questa maniera malsana di gestire un cambiamento strutturale della società, impedire l’accesso agli operatori dell’informazione in queste strutture, renderli “non luoghi di non vita”autorizza a pensare il peggio, aumenta la percezione di uno spazio in cui la parola “diritto” non ha valore.

E molti dei parlamentari che il 25 luglio, grazie all’appello lanciato da alcuni operatori dell’informazione e che ha permesso, con il sostegno di forze politiche, associative e sindacali, la nascita del coordinamento “LasciateCIEntrare”, hanno potuto toccare con mano come quelli che potevano essere dubbi si sono confermate drammatiche certezze. Il coordinamento, ancora in fieri ma consapevole della necessità di mantenere viva l’attenzione su un tema altrimenti riservato ad addetti ai lavori, ha provato a convocare una manifestazione presidio ieri a due passi dal senato, col timore derivante dal fatto che mobilitarsi il 2 agosto sarebbe stato difficile. Ma la scommessa è stata vinta.

Alcune centinaia di persone si sono radunate a discutere, ad intervenire e a ragionare, partendo anche dal presupposto che non è da questo governo che potranno giungere soluzioni positive ma che un discorso pubblico sull’immigrazione, capace di tenere conto di soggettività diverse e di una complessità di approcci straordinaria, anche in quanto a ricchezza e competenza, è urgente oggi. Alcuni risultati si sono intanto strappati in parlamento sotto forma di Ordini del giorno che il governo si è impegnato a recepire. Intanto la revoca della circolare 1305 che inibisce l’accesso ad ogni centro per migranti, di persone diverse dai parlamentari e dai funzionari di alcune e limitate organizzazioni umanitarie. Maroni ha dichiarato che si farà e che la circolare era dovuta unicamente ad uno stato di emergenza, vedremo in futuro. Il governo si è anche impegnato a fornire di un trattamento di favore i nuclei familiari e i minori e a operare una verifica semestrale sullo stato dei centri per eventualmente ritornare sui propri passi. Ordini del giorno non certo impegnativi, fuori la realtà parla d’altro. Racconta di come stanno esplodendo i Centri accoglienza per richiedenti asilo (Cara) – le rivolte sono iniziate a Mineo, sono proseguite a Trapani e ora si vanno espandendo a Bari e Crotone. Sono rivolte disperate, frutto del fatto che i richiedenti asilo aspettano ormai da oltre 7 mesi che la loro richiesta venga esaminata e nel frattempo la loro vita è sospesa. Sanno che per molti di loro arriverà un diniego, anche se arrivano dalla Liba, dove si continua a bombardare, sanno che verranno assaliti da avvocati pronti a produrre un ricorso a prezzo degli ultimi soldi rimasti in tasca, a fronte del fatto che chi è partito ha rischiato la vita e si è già indebitato fino all’osso. E la stessa rabbia cova nei Cie, già la scorsa settimana, quando la legge era ancora soltanto un decreto, a Milano, nella struttura di Via Corelli, c’è stato chi ha tentato il suicidio dopo essersi visto prorogato di altri 2 mesi, dopo sei trascorsi, il trattenimento. La scelta del governo è quella di alimentare queste vere e proprie polveriere, minacciano di esplodere e già c’è chi le derubrica a mere questioni di ordine pubblico. Proprio per questo “LasciateCIEntrare” non andrà in vacanza. Chi sta costruendo questo spazio aperto vorrebbe che non soltanto i soliti giornalisti, i soliti parlamentari, le solite associazioni si esponessero, ma che ci sia una assunzione collettiva di responsabilità, unico argine al crollo di spazi ormai limitati di democrazia.


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