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Articolo 21 - Editoriali
Baldoni: La porta sbagliata
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di Giuseppe D'Avanzo

da La Repubblica

Per liberare Enzo Baldoni, il governo italiano ha bussato, con idee sbagliate, alla porta sbagliata. Ha tragicamente sottovalutato la feroce determinazione dell´"Esercito islamico in Iraq". Non ha voluto comprendere la minaccia di morte rappresentata da quella formazione politico-militare. Si è fatto chiudere gli occhi dalla sua stessa ipocrisia che nega la guerra chiamandola «missione di pace», vittima delle approssimative informazioni dell´intelligence e del protagonismo di un uomo come Maurizio Scelli che, come commissario straordinario, danneggia la Croce Rossa e, come ambasciatore itinerante dell´Italia, confonde le idee propagandando un legame dell´Iraq con il nostro Paese che è soltanto un auspicio, nella migliore delle ipotesi.
Nella peggiore, una manipolazione che ha il fine politico di rassicurare un´opinione pubblica ostile alla presenza militare in Iraq (abbiamo un contingente armato secondo soltanto agli angloamericani).

«Ora sarà chiaro anche a voi - dice un funzionario del Dipartimento di Stato - il sentimento di odio che colpisce gli italiani, come noi americani. Ogni volta che ci sarà la possibilità di rapire un italiano, le dieci più pericolose formazioni combattenti irachene lo faranno. Lo sappiamo e lo diciamo da luglio. Si è aperta una nuova stagione dei sequestri. Avrà esiti rapidi e sempre cruenti. Al governo di Roma non sarà più concessa l´opportunità dei tempi lunghi che, per i sequestratori, ha rappresentato nel caso dei quattro body-guard un insuccesso politico». Gli uomini dell´Antiterrorismo di Cofer Black al Dipartimento di Stato hanno idee chiare sull´aggressione che minaccia l´Italia. Dicono: «L´obiettivo delle cellule combattenti è distruggere ogni possibilità di dialogo, di rinascita, di armonia in Iraq. Vogliono isolare gli Stati Uniti nel paese facendo terra bruciata intorno a loro, terrorizzando la popolazione civile, scoraggiando le imprese impegnate della ricostruzione, costringendo i nostri alleati a fare un passo indietro, a lasciarci soli. Su questo confine, oggi, il primo bersaglio è l´Italia. Questa è la strategia politica di Abu Musab al Zarqawi. Non tutte le formazioni combattenti irachene hanno contatti operativi con al Zarqawi né sappiamo dire quale potenziale operativo abbiano, ma tutte ne condividono l´obiettivo politico. Tra queste anche l´Esercito islamico dell´Iraq».
Quando il 24 agosto l´Esercito islamico "firmò" il sequestro di Enzo Baldoni e l´ultimatum al governo italiano, apparvero con sufficiente chiarezza i nessi tra il rapimento del free lance italiano e il sequestro di un autista filippino. Identico l´obiettivo. Costringere l´Italia, dopo le Filippine, a ritirare le truppe. Identica formazione politico-militare, l´Esercito islamico.

Quella sigla "parlava". Islamiti sunniti radicali, violentemente antisciiti (al punto da rapire un agente di Teheran colpevole di "lavorare" per Moqada Al Sadr), ideologicamente prossimi allo jihadismo wahabita di al Zarqawi e al progetto politico del suo gruppo, Tawhid Val Jihad, poco inclini alla trattativa, decisi fino alla ferocia nell´azione. Come dimostrava ampiamente l´immediata esecuzione dell´interprete di Baldoni, Ghareeb. Perché non preoccuparsi?

Purtroppo, queste informazioni, conoscenze e analisi tradotte nella lingua della politica italiana hanno mutato di segno colorandosi di un ambiguo e opportunistico ottimismo. Il sequestro di Enzo Baldoni è apparso (in buona e in cattiva fede) un affare di facile soluzione. Con colpevole presunzione, le burocrazie della sicurezza sostenevano di «avere i canali giusti per individuare il gruppo dei sequestratori», riservandosi due opzioni: trattativa o annientamento militare. Il governo, che non ha mai avvertito la tragicità della crisi, si è abbandonato a una inopportuna retorica politica («Resteremo in Iraq fino a che il governo di Allawi ce lo chiederà»), per il resto lasciando campo libero al commissario straordinario della Croce Rossa. Maurizio Scelli, tra una serata a Cortina e un meeting a Rimini, spiegava che gli uomini che tenevano prigioniero Enzo Baldoni erano «Ali Baba non riconducibili direttamente a una fazione politica». Insomma, predoni pezzenti che, per un fascio di dollari, avrebbero restituito presto Baldoni alla sua famiglia. Per giorni, Scelli non ha lasciato cadere la fiducia cucinando il suo ottimismo in ripetute dichiarazioni pubbliche (e purtroppo gonfiando anche le illusioni della famiglia e degli amici di Enzo). Mai contraddetto, anzi sostenuto, dalla Farnesina.

Quel che accadeva sul terreno, in realtà, non avrebbe dovuto sollecitare alcun fiducia perché i mediatori scelti erano sbagliati, perché gli interlocutori finali erano sbagliati, perché tutta l´iniziativa diplomatica e d´intelligence avviata dal governo si stava muovendo in un territorio sbagliato, come le persone sbagliate. Non con gli islamiti sunniti radicali, ma con gli sciiti. Cioè, con i loro avversari politici e religiosi.
Roma e Scelli e i nostri 007 hanno creduto di poter ottenere la liberazione di Enzo Baldoni ripercorrendo i canali utilizzati dagli americani per liberare Micah Garen, 36 anni, giornalista, rapito il 14 agosto con il suo interprete, Amir Doushi, e rilasciato il 22 agosto. Nella trattativa gli americani erano riusciti ad ottenere a Najaf la mediazione di uomini vicini a Moqtada al Sadr. I contatti avevano prodotto, alla fine, una dichiarazione pubblica di Sheik Aws al-Khafasji, capo dell´esercito del Mahdi (la forza armata di Moqtada al Sadr) a Nassiriya dove poi l´americano fu lasciato libero. Lo sceicco disse che «il lavoro giornalistico e i documentari archeologici di Garen dovevano essere apprezzati perché offrivano un servizio all´Iraq». Parole esplicite per i sequestratori che abbandonano l´iniziativa. Nello stesso modo si muove la diplomazia italiana. Invertendo, per così dire, la catena dei mediatori. I primi contatti con gli uomini di al Sadr e dell´esercito del Mahdi nascono a Nassiriya. Da qui si spostano a Najaf dove è stato sequestrato Enzo. Come nel caso di Garen, è utile raccontare lo spirito di pace e di amicizia verso gli iracheni che guidava la visita in Iraq di Baldoni. Viene convinto anche il ministro Frattini a fare la sua parte con un´intervista ad Al Jazeera mentre l´intelligence si preoccupa di diffondere la falsa notizia che Baldoni fosse addirittura il latore di una missiva segreta del Vaticano che si proponeva per dare tregua e soluzione alla battaglia di Najaf.

L´immagine del corpo senza vita di Enzo ha mostrato nella notte di giovedì quanto il tentativo italiano fosse fuori fuoco e irresponsabile l´ottimismo diffuso a piene mani dal governo e dal suo "portavoce" per le crisi irachene, Maurizio Scelli. Già nella notte, il governo, il "portavoce" e l´intelligence hanno voluto correre ai ripari per nascondere i catastrofici errori commessi. � stato «un improvviso precipitare della situazione in loco per un fatto imprevedibile a determinare la decisione dei sequestratori di uccidere Baldoni» riferiscono all´Ansa i servizi segreti. Qual è questo fatto imprevedibile? Giovedì notte, c´erano state le prime voci soffiate anonimamente dall´intelligence militare: un avventato tentativo di fuga di Baldoni. Ecco, la via di uscita scelta dal governo e dagli apparati per sfuggire alle proprie responsabilità. Come dire: le trattative erano a buon punto, la liberazione era vicina, ma Baldoni ne ha fatto una delle sue. Ha tentato la fuga. � stato raggiunto e, «in un improvviso precipitare della situazione in loco», è stato ucciso. Per tenere in piedi questa cabala, bisogna però inventarsi qualcos´altro. Ecco che cosa: nel video inviato ad Al Jazeera ci sono le immagini d´una colluttazione. Questa voce, diffusa nella notte, incredibilmente trova spazio anche se, nella sola immagine vista dal nostra ambasciatore a Doha, Baldoni è un corpo senza vita. Ne nasce un finto "giallo", un polverone sollevato con mestiere che non riesce a nascondere un fatto: con ogni probabilità nessuno poteva salvare Enzo Baldoni, ma c´è chi - governo, Scelli, intelligence - ha lasciato credere cinicamente che lo stava facendo con successo.

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