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L'Iran in fiamme e la nuova, pacifica, rivoluzione dei giovani dell'Onda verde
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di Ahmad Rafat

L'Iran in fiamme e la nuova, pacifica, rivoluzione dei giovani dell'Onda verde

Molti, tutti i realisti, davano qualche settimana fa per morta la rivolta popolare nella Repubblica Islamica. Le ragioni di questa analisi pessimista, o forse ottimista, erano diverse. Questo movimento non ha una leadership organizzata, sono giovani senza ideologia, il governo Ahmadinejad tiene saldamente in mano il potere, e i Pasdaran sono forti, erano le argomentazioni principali utilizzate da chi prevedeva la morte di quel vasto movimento popolare che ha preso il nome dell’Onda Verde. E’ vero che questo movimento per la sua composizione non omogenea non ha una leadership. Ed è proprio questa ricchezza delle idee presenti nell’Onda Verde a determinare la sua forza e la sua determinazione.
A Teheran e nelle maggiori città iraniane, al contrario della rivoluzione di 31 anni fa, non sono le masse che vengono trascinate nelle strade dai proclami dei leader, ma sono i leader, o presunti tali, a dover correre presso un popolo che con la sua determinazione vuole porre fine a 31 anni di regime islamico. Più volte in questi ultimi mesi la piazza ha costretto i personaggi di riferimento del movimento verde, quelli che per errore e semplificazioni vengono definiti leader dalla stampa occidentale, a correggere le loro posizioni. Mir Hossein Mussawi, l’uomo che secondo gli iraniani avrebbe sconfitto nelle elezioni presidenziali dello scorso 12 giugno Mahmoud Ahmadinejad, è stato costretto a correggere le proprie posizioni iniziali secondo le quali la Repubblica Islamica era intoccabile. Quello che agli occhi di molti sembrava una debolezza dell’Onda Verde, si è dimostrata la sua forza. Il fatto che l’Onda Verde non è ideologizzata si è dimostrata una carta vincente. Avere come denominatore comune di tutto il movimento il rispetto dei diritti umani, ha neutralizzato finora tutti i tentativi dell’attuale leadership della Repubblica Islamica di provocare divisioni e scissioni in seno all’Onda Verde, che continua per la sua strada, rafforzandosi giorno dopo giorno.  L’altro elemento che ha caratterizzato fino ad oggi questo vasto movimento di cittadini per una società civile governata dalle leggi, è la non violenza. Malgrado la forte repressione, i morti in piazza, gli arresti e le violenze nelle carceri, le centinaia di migliaia di persone che in questi ultimi mesi hanno manifestato per le strade del paese, non hanno commesso un solo gesto di violenza. “La nostra è una rivoluzione nuova, abbiamo sostituito il kalashinkov con il cellulare”, ha scritto sulla mia pagina di facebook uno dei giovani rivoltosi iraniani. Non è un caso che il provvedimento più frequente adottato dal governo di Ahmadinejad nelle giornate più tumultuose è stato quello di sospendere il servizio sms e di ridurre la velocità di internet. Le manifestazioni, i raduni e le proteste non sono convocate dalle organizzazioni politiche o dalle personalità dell’opposizione. Sono semplici cittadini che attraverso i network sociali e gli sms organizzano la protesta. Anche gli slogan di ogni singola manifestazione sono frutto di discussioni su facebook e sui siti internet. Un nuovo modo di far politica, che ha disarmato il potere stabilito, ed ha sorpreso gli esperti internazionali. Di fronte a quello che accade in Iran, i governi e le potenze occidentali non possono limitarsi a “condannare” la violenza contro i manifestanti, oppure ad “invitare al dialogo il governo e l’opposizione”. Non esiste più nessun margine per il dialogo tra gli iraniani e chi gli ha rubato l’esito delle ultime elezioni. Non esiste più nemmeno lo spazio, per il dialogo tra la comunità internazionale e il regime iraniano. Il tempo a disposizione del governo Ahmadinejad è scaduto e i tempi supplementari sono possibili solo con una repressione sanguinosa, con i carri armati che occupano il campo. E l’Occidente deve scendere dagli spalti, se non vuole rimanere spettatore di un nuovo massacro.


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