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L’amnistia che si nega e l’impunità che si tutela. TBC in carcere, interessa a qualcuno?
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di Valter Vecellio

L’amnistia che si nega e l’impunità che si tutela. TBC in carcere, interessa a qualcuno? Una scarna notizia di agenzia, che non risulta abbia colpito l’attenzione di nessuno, eppure qualche riflessione la merita. Siamo in Toscana. Una donna di 52 anni viene arrestata. La ricercavano, pensate un po’, da ben 25 anni. Latitante, non sappiamo a che punto della classifica che periodicamente viene diffusa, ma comunque, “pericolosa”. Le contestano mezzo codice penale: una quantità di rapine con complici, associazione per delinquere, porto abusivo d'arma, furto, favoreggiamento di evasione…Un bel tipino, insomma. Arrestata, dopo appena mezz’ora la rilasciano con tante scuse. Che cos’è accaduto? Errore, omonimia? No, la ricercata è proprio lei. E allora? Allora la caccia alla “pericolosa latitante” si trasforma in una beffa, perché i reati contestati risultano tutti prescritti. Estinti.
   Caso limite? Neppure per sogno. Sono circa 150mila i procedimenti che ogni anno vanno in fumo per scadenza dei termini. Una sorta di impunità anche per reati gravi, come l'omicidio colposo. Così la giustizia soffoca sommersa dai fascicoli, al punto che molti procuratori rinunciano ai giudizi. Le cifre sono eloquenti:
   2008: oltre centocinquantamila procedimenti archiviati per prescrizione;
   2009: altri 143mila;
   2010: circa 170mila;
   Per quest’anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mila prescrizioni.

   Ogni giorno sono almeno 410 i processi prescritti, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d'appello. Intanto i reati scadono, e anche per quelli gravi come ricettazione, truffa, omicidio colposo c'è la concreta possibilità di farla franca.
   Naturalmente tutti i fieri avversari del provvedimento di amnistia, su questo osservano un rigoroso, quanto unanime silenzio.
   Non mancano poi, le notizie inquietanti.
   Ha fatto, e continua a fare, scalpore la notizia dei casi di TBC tra i neonati del Gemelli di Roma. Nessuno sembra invece aver raccolto l’allarme lanciato dal segretario della UIL Penitenziari Eugenio Sarno: “ Ancora un caso di TBC alla Casa Circondariale di Verona, dopo i quattro casi registratisi nel maggio scorso. Da alcuni giorni, infatti, un detenuto  di origine nigeriana è ricoverato in ospedale per aver contratto la TBC”.
   Vediamo meglio di che cosa si tratta. “ Purtroppo,  dopo il rumore dei quattro casi di maggio, nulla di sostanziale e strutturale è stato fatto in tema di prevenzione sanitaria. Non si registrano interventi di profilassi, e tanto meno al personale”, sostiene Sarno, “è stata fornita la prevista dotazione individuale di protezione. Niente mascherine, niente guanti in lattice, niente occhialini protettivi. Ci si arrabatta e ci si arrangia con guanti per uso alimentare ben consci della loro inadeguatezza”.

   I ministri della Sanità e della Giustizia, insomma, sono colpevolmente inerti, indifferenti, assenti. Come rimarca la UIL Penitenziari “le competenti Autorità hanno sottovalutato i rischi sanitari che possono derivare dalle attuali condizioni di sovraffollamento”. Ma lasciamo parlare ancora Sarno: “Al di là di un apprezzato, ma inefficace, dinamismo dell’Amministrazione Comunale e di un superficiale interesse della Prefettura di Verona,  sostanzialmente le condizioni di alto rischio sanitario nel carcere scaligero restano tutte inalterate. Forse non si è ben compreso cosa può generare dal punto di vista sanitario, e dell’ordine pubblico, la presenza di circa 930 detenuti (molti dei quali di provenienza extra europea)  a fronte di una capienza massima di 580. L’impossibilità di poter garantire, attraverso una puntuale manutenzione,  ambienti salubri e puliti  aumenta in modo esponenziale i rischi sanitari e l’insorgenza di malattie infettive e contagiose come la scabbia, di cui pure a Verona si sono registrati alcuni casi. Occorre, quindi, sostenere con finanziamenti adeguati l’attività di prevenzione sanitaria all’interno del carcere e provvedere a restituire decoro e pulizia agli ambienti. Su questo necessario piano di interventi l’Amministrazione Comunale, l’Ente Provincia, l’ASL e l’Amministrazione Penitenziaria  dovrebbero esperire ogni utile tentativo per definire un sinergico percorso di investimenti. Almeno questo è il nostro auspicio, al netto delle responsabilità individuali e amministrative che pure si appalesano con nettezza”.
   E’ da credere che quello di Verona non sia un caso isolato. E’ da credere che il problema possa riguardare anche altri istituti penitenziari, molti altri detenuti e non solo loro, ma l’intera comunità penitenziaria. Come sia, ecco subito un secondo caso, questa volta è un detenuto di 35 anni, italiano, recluso nel carcere di Caltanissetta, attualmente  ricoverato in ospedale per meningite. A seguito di tale ricovero, effettuato con modalità d’urgenza martedì scorso, a tutto il personale penitenziario è stata prescritta terapia preventiva.

   Nessun allarmismo, certo. Ma nascondere la testa sotto la sabbia non è la migliore delle politiche. “Le competenti Autorità hanno sottovalutato i rischi sanitari che possono derivare dalle attuali condizioni di sovraffollamento”, dice Sarno. C’è bisogno di aggiungere altro? Sì: che forse è giunta l’ora che i vertici dell’Amministrazione e il neo-Ministro Palma valutino l’opportunità di convocare una conferenza dei servizi per individuare le risposte necessarie all’allarme sanitario che si promana dalle prigioni italiane. Il degrado, l’insalubrità, il sovrappopolamento delle strutture penitenziarie e persino l’impossibilità di garantire l’approvvigionamento di generi per la pulizia costituiscono l’humus ideale per lo sviluppo di malattie infettive.
   In mezzo a questo sfacelo, finalmente, una buona notizia. Siamo in Puglia, carcere di Turi, vicino Bari. I detenuti di quel carcere da lunedì scorso non ritirano i pasti per protestare “contro le condizioni di vita nell’istituto a causa del sovraffollamento e hanno deciso di devolvere le loro razioni di cibo all’associazione “Incontra”, affinché siano donate ai senza fissa dimora della città di Bari.
   "Un gesto – scrive l’associazione – che stabilisce un ponte fra due drammatiche miserie della nostra società, diverse ma che, avendo in comune proprio l'anomalia delle loro condizioni abitative, rivolgono un richiamo forte alle nostre coscienze affinché in ogni luogo si abbia cura almeno della dignità delle persone. Certo, commuove sempre che siano i 'deboli' a tendersi la mano, ma questo potrebbe anche farci riflettere sull’autenticità della ‘forza' di noi altri e sull'uso che facciamo dei nostri privilegi". "Gli amici del carcere di Turi – conclude l’associazione – pur portando il fardello delle proprie colpe, hanno ottenuto che la loro protesta diventasse risorsa preziosa per qualcun altro, prima ancora che per loro stessi".

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