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Articolo 21 - Editoriali
Occhi bambini
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di Mariuccia Ciotta

da Il Manifesto

� il 3 settembre quando le teste di cuoio di Putin compiono il blitz nella scuola di Beslan. � l'11 settembre quando corpi volanti cadono giù dalle Twin Towers e restano fotogrammi incancellabili. Le facce devastate che guardano in su, deformate dall'orrore. Lo stesso sguardo torna adesso e si posa sulle foto indicibili trasmesse on line e dalle tv globali. I corpi del bambini insanguinati, piccoli batuffoli di carne riversi tra le braccia dei soccorritori sono «bottino» di guerra.
Non la guerra dell'occidente contro l'islam, ma di una ferocia unica che attraversa il mondo e lo fa finire. Le istantanee degli scolaretti, fermo-immagine urlante, i pugni chiusi, al primo giorno di scuola, mitragliati dal fuoco incrociato di terroristi e miliziani, sono come noi, dalla nostra parte.
Se si può concepire il bambino-scudo, preso in ostaggio da uomini e donne imbottiti di bombe, tetre figure dell'apocalisse, in nome dell'identità nazionale, che cosa vale più l'indipendenza della Cecenia?
E in cosa si distingue il presidente della Russia che in nome della fermezza, per quel non cedere al nemico, ordina il massacro?
Dove possiamo trovare la «civiltà» tra questi integralisti di fede diversa, pronti a controllare e a dominare a qualsiasi costo?
Altrove c'è la civiltà, si riconosce in America, e non ha la faccia di Bush, e in Russia non assomiglia a Putin, l'uomo altrettanto forte, liquidatore di bambini.
Dovrebbero difenderci, i presidenti, da ogni settembre nero, contro le forze dei suicidi e degli assassini. Contro i terroristi di tutti i paesi, che hanno interiorizzato la strage come liberazione. Ed eccoli lì i rappresentanti degli stati civili a rallegrarsi per l'operazione condotta da Putin. Ha vinto la linea della fermezza.
Da quale parte possiamo rivolgere lo sguardo per salvarci da queste immagini?
Solo guardandole, fissando negli occhi quei bambini nudi, disperati, increduli, improvvisamente consapevoli dell'assenza di pietà e di giustizia. Sono i soli che ci assomigliano.

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