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Mafia... padana
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di Nicola Tranfaglia

Mafia... padana Parlare  di mafia padana significa oggi in Italia evocare un fenomeno come quello  della ‘ndrangheta calabrese che, dall’Aspromonte e dalla piana di Gioia Tauro, è partita per il nord e proprio nelle regioni settentrionali, come la Lombardia, il Piemonte, il Veneto e la Liguria, ha piazzato i suoi avamposti fino a diventare l’associazione mafiosa più forte non solo nel nostro paese, nelle regioni più prospere e ricche della penisola, ma anche nelle due Americhe e in Europa, dalla Germania e l’Olanda alla Francia e all’Inghilterra. I fattori che hanno reso possibile un simile risultato sono  noti: la  sottovalutazione della sua crescente  pericolosità da parte delle classi dirigenti e di governo italiane, la struttura familista della ‘ndrangheta che ha reso più difficile la diffusione dei collaboratori di giustizia, l’organizzazione a rete che ha reso possibile l’assoluto  segreto da parte dei capi delle famiglie, pur favorendo un coordinamento effettivo nei vari continenti.
Ma non c’è dubbio che è quella che è stata a lungo la capitale morale del paese e che attraversa oggi un’incoraggiante ripresa politico-culturale ad essere divenuta negli ultimi decenni la capitale della ndrangheta, anche se i frequenti fatti di sangue che si sono registrati anche nell’ultima estate a Roma mostrano che persiste una lotta accanita tra le due città nella contesa di un triste primato criminale.
Il fatto è che essere la capitale dell’associazione mafiosa più forte oggi nel mondo comporta conseguenze precise che vale la pena ricordare. Da una parte, la diffusione senza limiti del traffico degli stupefacenti e, in particolare, della cocaina di provenienza  americana nella metropoli milanese. Dall’altra, la presenza e l’attività di decine di società legate alla mafia in settori importanti dell’economia lombarda e italiana. Mi riferisco al settore centrale delle costruzioni edilizie, come a quello dell’alimentazione, le pizzerie, i bar e i ristoranti che, negli ultimi anni, si sono enormemente diffusi nella città e che sono divenuti inevitabilmente il terreno privilegiato dei traffici di droga e del gioco d’azzardo clandestino che punteggiano i week-end e le notti del centro come della periferia di Milano.
L’altro aspetto, complementare di una simile situazione, è il diffondersi di una illegalità di massa che ha caratterizzato con maggior forza   negli ultimi decenni il nostro paese e che è conseguenza, in un certo senso necessaria, del dominio mafioso che dalle terre depresse dell’estremo Sud ha raggiunto e conquistato le ricche città del Nord.
Del resto, non c’è da stupirsi del baratro in cui è precipitato il nostro paese con un ceto politico di governo che affonda le radici del suo successo economico e politico nella collaborazione organica con le associazioni mafiose -ieri Cosa Nostra, oggi la ‘ndrangheta -(che ha un leader come Umberto Bossi, ormai azzoppato e preso dalla difficoltà di fermare la rivolta della base, senza nessuna vera possibilità, al di là degli slogan roboanti,  di staccarsi da Berlusconi o di far la secessione).
Un ceto di governo  che vuole imporre ad ogni costo un’assurda legge-bavaglio nel timore che le intercettazioni telefoniche delle procure rendano sempre più intollerabile   la permanenza al potere di un leader politico, già  screditato in tutto il mondo?     
     

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