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Federico, Giuseppe, Michele, Stefano, vittime di tortura. Un reato che non esiste
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di Filippo Vendemmiati

Federico, Giuseppe, Michele, Stefano, vittime di tortura. Un reato che non esiste

Quattro donne coraggio sul palco, unite dalla stesso dolore: la perdita di un loro caro dopo un rapporto violento con le forze dell'ordine. Storie diverse, responsabilità in alcuni casi accertate, in altri soggette ancora ad indagini, come sempre difficili, dolorose, verità spesso nascoste. Patrizia Aldrovandi, Ilaria Cucchi, Domenica Ferrulli, Lucia Uva unite da un destino comune ma anche dalla stessa forza. A Ferrara ricordano il sesto anniversario della morte di Federico Aldrovandi, 25 settembre 2005, ucciso da quattro poliziotti, come hanno stabilito le sentenze di primo e secondo grado.
Domenica  è la figlia di Michele Ferrulli, 51 anni morto il 30 giugno scorso a Milano. Ubriaco e fermato dalla polizia per schiamazzi e deceduto per malore, prima versione ufficiale.  “Ubriaco e morto durante un normale controllo di polizia” lanciava il servizio il TG Uno nell’edizione serale delle 20.


Testimoni e alcuni video dicono tutt'altro: bastonato più volte a terra con le manette ai polsi e poi un improvvisato tentativo di rianimazione da parte degli stessi agenti. L’inchiesta è aperta, il caso non sarà archiviato. Il pm Gaetano Ruta ha acquisito formalmente dalla redazione di Mediaset il video originale della colluttazione. E il legale di parte civile Fabio Anselmo — lo stesso che ha seguito i casi di Cucchi, Aldrovandi e Uva - ha depositato in procura una memoria con le registrazioni audio di testimoni che riferiscono di presunte intimidazioni da parte di poliziotti
Domenica Ferrulli indossa una maglietta bianca, al centro la fotografia di Michele, il papà, mentre tiene in braccio il nipotino di pochi anni. "Tutto quello che è stato detto sul conto di mio padre non è vero. Non è morto da solo, non è morto per un infarto, non era malato. Molte cattiverie sono state dette sul suo conto, così pure che era un pregiudicato. Era un padre di famiglia, marito, nonno. Tutti coloro che hanno infangato il suo nome queste cose devono dire in faccia a me, perché lui oggi non può più rispondere. Ci sono i video che provano che lo stavano picchiando. C’è anche l’audio: persone che descrivono quello che vedono: lo stavano picchiando con colpi sulla nuca, nonostante chiedesse aiuto. Non si sono fermati. Come si può picchiare un uomo mentre chiede aiuto?"

"Anche quando si riesce a punire i responsabili, ed è tremendamente difficile- ricorda l'avvocato Fabio Anselmo- le pene sono lievi perché in Italia la tortura non è reato, nonostante sia previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite che per altro l'Italia ha ratificato nel 1988. Sono passati più di vent’anni, un vuoto legislativo che colloca l’Italia agli ultimi posti in Europa. Un buco nero che si ripresenta in tutti questi casi, dopo che già per i fatti di Bolzaneto al G8 di Genova, i pubblici ministeri contestarono agli imputati solo l’abuso d’ufficio, reato entrato in prescrizione nel 2009. In realtà la proposta di legge che introduce il reato di tortura era stata approvata alla Camera nel dicembre 2006 in base ad un accordo bipartisan e licenziata dalla commissione giustizia del senato nel luglio 2007."


"La definizione giuridica del reato di tortura, precisa l’avvocato Anselmo è questa: tortura è ogni episodio di violenza gratuita su persona fermata o arrestata nella disponibilità di un pubblico ufficiale, questo prevede il diritto internazionale. L’articolo 13 della costituzione è l’unico che esige una punizione, la prescrive il quarto comma: E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. Non solo il dettato non è stato applicato, ma sono anche fortemente sottovalutati gli effetti delle condotte violente e ingiustificate da parte di rappresentanti delle forze dell’ordine. Il contrario di quanto succede in Germania e in Francia, paesi nei quali le pene sono invece molto severe. Sia chiaro in tutti questi casi di cui mi occupo nessuno ha mai sostenuto che gli agenti volessero uccidere, ma fare del male sì. Questa è tortura perché c’è un nesso tra azione e morte, un decesso che non avviene per lesione diretta, ma per una serie di circostanze. Le indagini non sarebbero costrette a perdersi o a trovare giustificazioni di ordine psicologico”.


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