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Articolo 21 - Editoriali
La parola agli italiani
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di Lidia Ravera

da L'Unità

Faâ?? qualcosa di sinistra
Una volta, quando viaggiare era unâ??avventura, si usava dire: «Prima le donne e i bambini». Primi a imbarcarsi, primi ad avere diritto di essere salvati, in caso di naufragio. Era una cultura cavalleresca, che teneva la maggiore fragilità fisica per bene da salvaguardare, era una cultura della vita che privilegiava chi la da e chi lâ??ha ricevuta da poco, e non ha ancora avuto il tempo di farne di cattivo uso. Oggi, a Baghdad, in Russia, in Medioriente, prevale la cultura della morte. Le donne e i bambini sono da ammazzare per primi. Vittime privilegiate, perché la maggiore fragilità aumenta il valore della merce ostaggio. I bambini inteneriscono? Ok, messaggio ricevuto: andiamo a imbottire di tritolo una scuola elementare. Due ragazze altruiste, che interpretano, correndo a curare, la femminilità nel suo senso più alto (e più prossimo allâ??essere dismesso): ok, sequestriamo loro, farà più effetto. Sono pacifiste? Militano, a rischio delle loro vite, contro lâ??invasione americana, soccorrendo la popolazione? Meglio, prendiamole, sgozziamole con corredo audiovideo: faremo scoppiare così le contraddizioni in seno alla società occidentali.
Ã? la barbarie. Ã? lâ??orrore. Il coro dei commentatori gode di un'improvvisa unanimità. Civili contro incivili. Il disgusto per la violenza si stende con facilità sulle differenze. La pietà viene spennellata sui torti e sulle ragioni. Le vittime sono tutte uguali, si mormora con la benefica ipocrisia dei funerali. Ed è vero, le vittime sono tutte uguali nella umana compassione, ma questo non ci consente il lusso di eliminare le differenze. Un soldato volontario, un mercenario armato, sono una cosa. Un pacifista, una militante della Pietas, una volontaria dellâ??organizzazione umanitaria «Un ponte per Baghdad» non rappresentano la stessa parte in commedia, sono unâ??altra cosa. E questo non vuol dire «dividere il paese», vuol dire non fare il gioco dei terroristi che intendono cacciar fuori tutti quelli di pelle chiara, tutti figli del benessere, tutti gli occidentali. Il sottotesto è evidente: non vi vogliamo, neanche come amici del nostro popolo. Ã? alto il prezzo da pagare per noi, che siamo sempre stati contro la partecipazione italiana alla guerra di Bush. Ã? chiederci troppo chiederci di non fare «distinguo». Ci fa troppo male, vedere i più coraggiosi fra i pacifisti, quelli che sono andati laggiù invece di sedersi per terra davanti al Parlamento qui a Roma, colpiti nella loro carne, nella loro libertà. Verrebbe voglia di partire tutti, in massa, di immolarci, a migliaia, perché lâ??impotenza pesa come una coperta di piombo, pesa continuare a scrivere a scandire slogan, a marciare e a non essere ascoltati. Pesano i primi piani dei politici, che si dispiacciono del danno umano, ma ribadiscono, come se fosse una posizione inevitabile, che loro non tratteranno, che non si tratta. Trattiamo invece, trattate, porca miseria, non ci sono le vostre figlie dentro quel prevedibile antro, non ci sono i vostri amici, quelli dâ??accordo con voi, quelli dellâ??Usa-day e dellâ??esportazione di democrazia, ci sono due donne che erano a Baghdad per mettere un cerotto su una ferita enorme, per fare il poco che si può fare, per suturare lacerazioni volute da altri. Ã? troppo facile fare i duri quando a pagare non siamo noi. Ã? facile, e, soprattutto non funziona. Non aver trattato per la vita di Baldoni, ha forse impedito che altri cadessero? La spirale di odio, lâ??infezione terrorista, non si fa convincere dal fatto che il crimine precedente non ha fruttato, che il ricatto non è andato a buon fine. E allora, compagne e compagni, voi che, in questo momento, ne sono certa, sentite la mia stessa rabbia: facciamo qualcosa di saggio e di stupido insieme, che non lo so se è di sinistra, ma è giusto. Interroghiamo la popolazione italiana: quanti vogliono che il governo tratti con i terroristi? Quanti vogliono che le truppe siano ritirate come è giusto che sia, e subito, senza aspettare che vinca lâ??Ulivo alle elezioni del 2006, subito, per salvare due vite preziose, e tutte quelle che verranno dopo, perché finisca questo stillicidio. A continuare nella rigida posizione del rifiuto della trattativa, ci si espone soltanto ad altri lutti. Il terrorismo non si batte rifiutando di trattare, si batte togliendo il supporto di disperazione di massa che sostiene la mano degli assassini, si batte riducendo al minimo il dolore dei figli dellâ??altra metà del mondo. Il terrorismo lo combatte «Un ponte per Baghdad» assai più di George W. Bush, con il suo disprezzo per la vita, con la sua arroganza parolaia. Se in questo momento si potesse indire un referendum, io sono certa che la maggior parte degli italiani, indipendentemente dallo schieramento politico, risponderebbe: «Portiamo via le truppe armate da Baghdad. Mandiamo a casa i soldati, se restano soltanto quelli che vogliono aiutare i bambini per ristrutturare il sistema educativo far avere le protesi alle vittime dei bombardamenti americani perché possano di nuovo camminare... se restano soltanto loro, forse, saranno rispettati e ringraziati. E potranno lavorare. In pace. E per la pace.

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