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Il 15 le tende, oggi Bankitalia
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di redazione

Il 15 le tende, oggi Bankitalia Fervono i preparativi per la manifestazione nazionale che sabato vedrà sfilare per la capitale migliaia di persone giunte da tutta Italia per la giornata di mobilitazione internazionale degli “indignati”, mobilitazione estesa a macchia d'olio e che vedrà coinvolte ben 210 città sparse tra l'Europa e il Mediterraneo. Diverse le parole d'ordine, e le vertenze che verranno portate in piazza, unico un denominatore il rifiuto di pagare un debito contratto da altri, soprattutto se questo debito comporta pesanti tagli e compressione dei diritti. L'appuntamento del 15 è stato lungamente preparato nell'arco di assemblee nazionali e  regionali, non ultima quella del 1° ottobre, mentre la mobilitazione prende il via ufficiale già da oggi con l'iniziativa “Occupiamo Bankitalia”.
Manifestazioni si sono svolte già questa mattina in diverse città: Napoli, Trento e Bologna dove si sono verificati tafferugli e alcuni manifestanti sono rimasti feriti.
Oggi pomeriggio invece l'appuntamento è davanti a Palazzo Koch a Roma. L'intento quello di rispedire al mittente la lettera firmata da Draghi e Trichet e consegnare a Napolitano una missiva di diverso tenore... ( testo sottostante)
 Solo un primo passo verso quella che in molti vogliono sia una mobilitazione permanente che vada ben oltre il 15 ottobre tanto che qualcuno propone, con lo slogan “Yes we camp” di non tornare a casa il 15 ma di accamparsi in piazza, stile indignados spagnoli.
Intanto il piano per la pubblica sicurezza va avanti di buon grado e si alza progressivamente il livello di allarme. Dal generico allarme “no global” ai più temuti “black bloc” la notizia rimbalza sui media, puntualmente smentita dagli organizzatori del corteo riuniti nel Coordinamento del 15 ottobre.

Caro Presidente Napolitano,

nel nostro paese non si fa altro che parlare di giovani. Lei lo ha fatto spesso. Ultimamente lo ha fatto anche il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, a breve presidente della Banca centrale europea.

La questione generazionale è semplice: c’è una generazione esclusa dai diritti e dal benessere, che oggi campa grazie al welfare familiare, e sulla quale si sta scaricando tutto il peso della crisi. La questione non si risolve togliendo i diritti a chi li aveva conquistati, i genitori, ma riconoscendo diritti a chi non li ha, i figli, e per far questo ci vogliono risorse, altrimenti le parole girano a vuoto.

Ora ci chiediamo, e chiediamo anche a Lei Presidente, come è possibile invertire la tendenza e promuovere delle politiche pubbliche a sostegno delle giovani generazioni prendendo sul serio le letterine estive di Trichet e Draghi? Come è possibile farlo se il pareggio di bilancio diventa regola aurea, da inserire, addirittura, all’interno della carta costituzionale di cui Lei è garante?

Caro Presidente, garantire e difendere la Costituzione oggi, vuol dire rifiutarsi di pagare il debito, così come consigliano diversi premi Nobel per l’economia; vuol dire partire dai ventisette milioni di italiani che hanno votato ai referendum contro le privatizzazioni e in difesa dell’acqua bene comune; vuol dire partire dalle mobilitazioni giovanili e studentesche che da diversi anni, inascoltate e respinte, hanno preteso di cambiare dal basso la scuola e l’università, chiedendo risorse e democrazia; vuol dire partire dalla domanda diffusa nel Paese di un nuovo sistema di garanzie, che tenga conto delle differenze generazionali, ma che, soprattutto, non metta le generazioni l’una contro l’altra: così, in primo luogo, si tiene unita l’Italia!

Sarebbe un atto di semplice giustizia fare in modo che non siano sempre gli stessi a pagare questa crisi. Siano, piuttosto, coloro che l’hanno prodotta a pagare, attraverso una tassazione delle rendite finanziarie, delle transazioni, dei patrimoni mobiliari e immobiliari. Le risorse ci sono, si trovano nel mondo della finanza che sta cancellando la democrazia: è lì che vanno reperite per distribuirle equamente.

Con troppa solerzia, caro Presidente, l’abbiamo vista affidarsi alle indicazioni di Trichet e Draghi. Questo non significa unire l’Italia e neanche sostenere le giovani generazioni. Bisognerebbe avere il coraggio, dopo il disastro del ventennio berlusconiano e della seconda Repubblica, di costruirne una terza di Repubblica, fondata sui beni comuni e non sugli interessi privati. È giunto il momento di scegliere da che parte stare, dalla parte della rendita o da quella della vita. La invitiamo a riflettere, perché questa generazione tradita non si arrenderà alla rassegnazione, ma da Tunisi a New York ha imparato ad alzare la testa.

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