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Articolo 21 - Editoriali
La Guerra del Terrorismo
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di Furio Colombo

da L'Unità

La stampa e la televisione degli Stati Uniti usano tre definizioni distinte per ciò che accade in Iraq. Chiamano â??resistenzaâ? lâ??insieme dei combattimenti e degli atti di guerra che contrappongono unità combattenti e danno luogo a battaglie che a volte richiedono anche ampi schieramenti di forze, assedi, bombardamenti aerei. Chiamano â??rebelâ? o â??insurgentsâ? i protagonisti di eventi violenti ma pur sempre con netta connotazione militare, come la lunga battaglia di Najaf. Nella stampa degli Stati Uniti non ho mai visto definire il leader religioso militare Moqtada Al Sadr un terrorista. Era ed è il capo di una rivolta armata che aveva per scopo il controllo esclusivo dei luoghi santi della sua religione da parte di credenti islamici e che si opponeva alla presenza in quei luoghi dei â??miscredentiâ?. Terroristi sono - di volta in volta - coloro che compiono atti di terrore, i kamikaze, i rapitori, coloro che minacciano ed eseguono delitti e stragi e le organizzano.
I confini non sono netti, ma sono molto utili a mantenere lâ??indipendenza della stampa americana. Infatti il governo di quel Paese usa, in tutte le sue comunicazioni sugli eventi militari, sugli attacchi portati e su quelli subiti, sulle battaglie in cui si conosce benissimo il nemico e la ragione, e su eventi tremendi realizzati da agenti senza volto per fini oscuri che a volte restano inspiegati per sempre, una sola definizione ripetuta allâ??infinito: â??War on terrorâ?, guerra al terrorismo. I media americani hanno accettato questa descrizione degli eventi per alcuni mesi dopo lâ??11 settembre, sullâ??onda dellâ??immensa emozione e del desiderio condiviso di restare uniti contro uno spaventoso nemico comune nei giorni di attacco. Poi si sono accorti che eventi troppo diversi venivano schiacciati in un unico contenitore per ragioni ideologiche ma anche propagandistiche della Casa Bianca. Ma câ??è stata anche una ragione pratica, dettata dallâ??esperienza di questi mesi tremendi: mentre è possibile descrivere le diverse vicende della guerra militare contro â??insurgentsâ? e â??rebelsâ?, non si riesce - nonostante la retorica della Casa Bianca - a indicare un solo episodio come colpo inferto al terrorismo e dunque come episodio della guerra al terrorismo. Ciò che il mondo testimonia ogni giorno è che, da un lato câ??è la guerra in Iraq, dallâ??altra la continuazione indisturbata del terrorismo che, da tremenda e sporadica, si è fatta tremenda e sistematica. Ecco perché i nostri colleghi americani, hanno deciso che è bene essere molto precisi con le parole. Se ciascun episodio è descritto con un poâ?? di precisione ci si accorge che sta vincendo il terrorismo. In altre parole â??The war on terrorâ? non è mai cominciata e non ha niente a che fare con i furiosi combattimenti nelle strade di Falluja o in quelle di Najaf, con la ribellione del triangolo sunnita o con la marcia degli sciiti. Le prigioni irachene gestite dagli americani si sono riempite di ribelli di tutti i tipi e - stando a quello che abbiamo saputo dopo Abu Ghraib, anche di innocenti, una quantità di persone, donne, bambini, adolescenti, presi a caso. Ma non si ha notizia, nome, indicazioni di organizzatori o esecutori del terrorismo.
Il terrorismo continua e fa la sua guerra mentre la forza del mondo va altrove o - come dice Arthur Schlesinger - mentre Bush sceglie â??lâ??optionalâ? di un attacco allâ??Iraq che non significa nulla nella lotta al terrorismo. Non câ??entra e non lo scalfisce.
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Ecco il senso di ciò che accade in questi giorni, il senso dello stare insieme, opposizione e governo. Noi tutti, senza alcuna distinzione, siamo di fronte alla guerra del terrorismo, capace di incarnazioni diverse e di immensi colpi a tradimento, nel senso che il terrorismo, senza avere bisogno di una centrale, ha trovato un modo maledetto di esprimere la sua tremenda furia vendicativa. Ã? sempre un grande errore spostare il discorso sul motivo della vendetta. La sua modalità esecrabile e vile di esecuzione esclude lâ??utilità del percorso causa-effetto. Ma il saperlo ci dice che lungo il percorso in cui si forma il terrorismo, non passano eserciti. E non lasciano il segno sul terrorismo le punizioni esemplari come lâ??Iraq. Ma ecco la strategia disgraziatamente prescelta: i terroristi, gli sgozzatori, i martiri suicidi e i rapitori di ostaggi inermi sono pochi, (pochi rispetto alle masse del mondo, nelle rispettive aree di appartenenza). Ma si è deciso di credere che siano un esercito vasto e compatto. Sono estranei per forza ai popoli e culture da cui provengono o dicono di provenire. Perché per forza? Lo sono per ragioni statistiche, valide per tutta lâ??umanità. Una comunità in cui prevalgono quasi solo efferati assassini bisogna inventarsela, e infatti câ??è chi si è inventato lâ??Islam come cultura assassina, e afferma di battersi per i valori superiori dellâ??Occidente fingendo, come il presidente del Senato Pera, di dimenticare che la Shoah è Occidente, matrice cristiana inclusa.
A chi ha proclamato che la barbarie nazista è identica a quella della scuola n. 1 di Beslan, va ricordato che al tempo della civiltà bionda, ariana, cristiana e nazista, i piccoli della scuola che fossero riusciti a fuggire sarebbero caduti nelle mani di altri nazisti che li avrebbero scrupolosamente eliminati a uno a uno. Questo non toglie nulla allâ??orrore di Beslan. Ma ci dice che abbiamo bisogno di altri occhi e altre parole. Ditemi voi: se ci fosse stata una trattativa possibile, qualunque trattativa, per salvare i 400 innocenti (200 bambini) di Beslan, che avesse potuto scongiurare quelle morti, avreste trattato? La mia risposta è un sì appassionato.
Lo spaesamento di tempo e di immagini ci sta conducendo a un percorso rovinoso. Questo non è il nazismo perché non possiede un potente e rispettato Stato nazione. Queste non sono le Brigate Rosse perché le Br erano un cancro domestico dedicato al ben conosciuto vicino di casa, al più indifeso fra simboli ferocemente e stupidamente inventati nel giro di pochi chilometri. La fermezza, in quel caso, voleva dire: nessuno sia complice perché ci sono degli assassini sotto casa e nientâ??altro con loro o per loro.
Questo male è immensamente diverso, immensamente pericoloso, ma non ha la base, la forza, le armi, lo Stato del nazismo. Né ha la capacità insinuante e in grado di infiltrarsi nei partiti, nello Stato, nella vita quotidiana delle Brigate Rosse. Questo è un male a chiazze di delirio e di orrore che si nascondono bene nel caos della guerra che non finisce e anzi fa sempre più vittime. E diventa più coerente e collegato e pericoloso solo se uomini stupidi gli buttano addosso lâ??intera civiltà islamica, dichiarandola tutta infetta, nemica, terroristica, privandola in tal modo del suo legittimo desiderio di unirsi alla difesa comune.
Fermezza, qui, ha tutto un altro senso. Vuol dire impegnarsi a termine immediato sulle vittime da salvare, a medio termine per spegnere gli incendi del mondo, a lungo termine per agganciare fra loro le diverse culture.
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E allora che cosa faremo insieme, opposizione e governo, dopo il rapimento delle due coraggiose ragazze di Baghdad e dei loro due colleghi iracheni? Prima di tutto lo ringraziamo e diamo atto al governo di aver formulato lâ??invito. Vorremmo battere rispettosamente un dito sulla spalla di autorevoli commentatori che pensosamente hanno ancora una volta ammonito lâ??opposizione (loro compito esclusivo) dicendo: «Ah, se lo aveste fatto prima», per far notare un dettaglio: prima non câ??era (mai) stato nessun invito. Gli inviti di questo genere li può fare solo chi sta al potere. Altrimenti sono preghiere. Ce ne sono state, mai ascoltate. Al punto da far approvare, alla Camera e al Senato, importanti riforme costituzionali o economiche che riguardano tutti con lâ??espediente del voto di fiducia, che elimina e vieta ogni discussione, ogni tentativo di prendere parte. Constatiamo che il cambiamento - ovvero lâ??invito rivolto alla opposizione di condividere le tristi notizie e offrire il simbolo dellâ??immagine unita - avviene in un momento estremamente pericoloso, in cui è certamente avvenuto un fatto nuovo (il terrorismo ha aperto la caccia ai pacifisti), un momento in cui è necessario e urgente far sapere che non ci saranno due gradi di risposte o giudizi divisi.
Dunque è stato saggio il sottosegretario Letta a suggerire lâ??iniziativa al presidente del Consiglio. Ã? stato saggio tutto il centrosinistra ad accettare lâ??invito, primo evento del genere nellâ??era Berlusconi, e ha avuto ragione e coraggio Bertinotti nel mettere al primo posto il buon senso. Si deve tentare il tutto e per tutto per salvare la vita di Simona Torretta e Simona Pari. E occorre dire che alcune risposte di governo (tentare di fare uscire dalle prigioni irachene chi vi è illegalmente e ingiustamente detenuto, come risposta al primo messaggio finora ricevuto) appaiono segnate dal buon senso.
Come si vede, in una giungla di incertezze, contraddizioni, motivazioni che non si può sapere se siano disperate o false, se siano un messaggio cifrato o un pretesto, se siano di una organizzazione vera o di una sigla inventata, parlare di linea della fermezza ha senso solo se si intende dire che di là, in luoghi oscuri e finora non identificati, câ??è il terrorismo, e di qua ci sono occidentali e islamici vittime, insieme, dellâ??orrore portato da questo tipo di guerra. E che questa linea di sangue è invalicabile. Ma è sempre stato così, anche se le voci del buon senso sono costantemente coperte da chi urla la presunta superiorità dellâ??Occidente, da chi vuole spingere, attraverso guerre scriteriate e insulti odiosi, masse di donne e uomini del tutto uguali a noi, disorientati come noi, spaventati come noi, nelle braccia dei terroristi con cui hanno in comune la religione. Proprio come gli europei avevano in comune la religione con le Ss impegnate nello sterminio della Shoah.
Giungono nel momento sbagliato, e per le ragioni sbagliate, gli elogi di Bush allâ??Italia. Ci dà - davanti al mondo - una clamorosa pacca sulle spalle proclamandoci «lâ??alleato più determinato nella guerra al terrorismo». Tanti italiani che amano lâ??America e anche in questo terzo anniversario dellâ??11 settembre si identificano con il suo lutto, di una cosa sono certi: non câ??è nessuna guerra al terrorismo. Câ??è una guerra, motivata con ragioni che poi sono risultate false, contro lâ??Iraq, un Paese squassato che ancora non ha capito il perché della sua distruzione che non finisce. E câ??è, quasi indisturbata, la guerra del terrorismo contro tutti noi, islamici, cristiani, ebrei, meglio se donne o bambini, contro chiunque sia vittima facile o indifesa.
La guerra del terrorismo continua ad essere il più grande pericolo del mondo. Purtroppo, contro di essa si conosce solo la proclamazione della guerra preventiva, ovvero un colpire tremendo e a caso tentando di assegnare, di volta in volta, al terrorismo una patria da abbattere. Dopo la dottrina di Bush ora si aggiunge la altrettanto febbricitante dottrina di Putin che promette, come Bush, di colpire prima, dunque di colpire a caso, per mostrare potenza. Gettata nel vuoto, la potenza non eviterà il prossimo colpo mortale. Infatti con questa strategia assurda il nemico resta senza luogo, senza volto, libero di agire. Di esso si conoscono pochi nomi, molte invenzioni dei media, molte false piste inventate da internet e migliaia di morti. Protetto da guerre sbagliate e concitate retoriche del passato, per ora il terrorismo continua la sua guerra. Coloro che dovrebbero stanarlo e combatterlo hanno altro da fare, in Iraq o in Cecenia.

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