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Donne contro la mafia
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di Rino Giacalone*

Donne contro la mafia

Aula bunker del Tribunale di Trapani. Diciannovesima udienza del processo per il delitto del sociologo - giornalista Mauro Rostagno, avvenuto a Trapani il 26 settembre del 1988. A poca distanza dalla cella dove è seduto, Vito Mazzara, il presunto killer del giornalista, c'è Chicca Roveri,  la compagna di Rostagno. Da una parte lei che prende appunti per tutta l'udienza e solo pochi metri più in là quello che le indagini individuano come esecutore del delitto Rostagno. Tutto intorno i periti nominati dalla Procura parlano e ragionano proprio sulle prove che incastrerebbero Vito Mazzara, il killer della mafia trapanese negli anni '80. Non è sola la Roveri, in aula con lei c’è l’avvocato Carmelo Miceli che la difende insieme al collega, Fausto Amati. Chicca Roveri segue l'udienza e prende appunti, sino a tarda sera, anche quando uno dei due avvocati deve lasciare l'aula per impegni. Anche quando, poco dopo è in partenza il suo aereo per Torino, la città in cui vive oggi, dove lavora. Dove ad attenderla, al termine di ogni udienza, ci sono la figlia Maddalena e il nipotino Pietro.

Anche ieri Chicca è rimasta a scrivere, prendere nota di quello che si dice, a guardare gli avvocati della difesa tentare di mettere in luce le carenze della perizia, le circostanze che potrebbero portare altrove il delitto, non la mafia, ma Saman, la pista interna, il cosiddetto “delitto tra amici”, troncone d’inchiesta già analizzato e archiviato. Eppure quella della pista interna è una storia che continua a ritornare dentro al processo, quasi più dei dati oggettivi che perizie e testimoni continuano a fornire.  Lo ha fatto ieri a udienza quasi conclusa l’avvocato Giuseppe Ingrassia, difensore del capo mandamento della mafia trapanese Vincenzo Virga, quando ha chiesto ai periti dove portasse una delle tre stradine al centro delle quali la Fiat Duna di Mauro Rostagno fu fermata dal fuoco dei sicari. “A Saman” -  rispondono i due periti per esclusione, “una verso un baglio senza uscita, un’altra verso l’aperta campagna”. E Chicca che di quella comunità resta oggi l’unica superstite fondatrice, ancora una volta ha alzato gli occhi come a dire di non poterne più.  

Chicca Roveri ad ogni udienza arriva con un borsone carico di carte e di cose personali, quello riempito per fare un viaggio veloce, andata e ritorno. Ha i lineamenti scavati ma è ancora facile scorgere in lei quella bella ragazza della quale Mauro Rostagno si innamorò. Quegli occhi, il suo parlare senza mai alzare la voce, placido anche quando è difficile essere calmi.  Il suo pranzo a Trapani, durante la sosta dibattimentale, quasi sempre è presso una rinomata tavola calda del porto, talvolta a poca distanza dagli “avversari” che però le usano i migliori riguardi, salvo poi sottovoce dire che "la verità del delitto di Mauro lei, Chicca, la conosce".  Si tratta del solito tema che torna a fare il gioco della mafia perché portare Cosa nostra fuori da questo processo, significa -  come hanno capito in molti -  portare via il sospetto della mafia dalle vicende trapanesi, da altri delitti, da affari,  commistioni. Dentro al dibattimento, invece, si trovano tutti questi fatti  e anche i molteplici depistaggi cui andarono incontro le indagini.

Chicca conosce questi retroscena e oramai non si sorprende più, nemmeno della doppiezza di certe persone. Non si scandalizza.  Lei con sua figlia Maddalena, la Kusum di Mauro, si alternano a seguire a Trapani quel dibattimento atteso 23 anni. Siedono sempre allo stesso posto, in quel banco appena dietro quello dei pm, vicinissimi alla gabbia dove Vito Mazzara puntualmente ad ogni udienza prende posto (Vincenzo Virga è al 41 bis e segue il dibattimento in video conferenza da Parma).

Da quando il processo ha avuto inizio Chicca e Maddalena hanno dovuto spesso mantere i nervi saldi. L'hanno fatto in queste diciannove udienze e  chissà quante volte dovranno farlo ancora. Nel frattempo l’attenzione generale verso il processo per il delitto Rostagno sembra essere scemata. Non c’è tanta gente in aula a seguire i dibattimenti, certamente non c’è pubblico, e questa non è una novità per i processi trapanesi anche quelli più “noti” . Come sta accadendo per Mauro Rostagno. In aula, dunque, si giocano due partite. Una contro gli assassini di Mauro Rostagno e l'altra contro l'indifferenza. Se mentre in aula si racconta della mafia trapanese e dei suoi affari, l’attenzione non tornerà quella delle prime udienze, potranno anche condannare i killer di Mauro ma la mafia, culturalmente, ne uscirà intatta. Mantenendo quel consenso che Rostagno le voleva togliere.

*da Liberainformazione


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