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Articolo 21 - Editoriali
In morte di un reporter
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di Anonimo veneziano

Per chi vive nella società mediatica dellâ??Occidente, â??fare la guerraâ? significa guardarla alla televisione. Questa condizione modifica non solo il rapporto dei cittadini con il fenomeno politico e sociale della guerra, ma anche lâ??intera struttura sociale dei rapporti. In quanto evento mediatico, il conflitto in Iraq, ha azzerato anche tale logica, inaugurando una nuova rappresentazione del mondo: allâ??aumento dellâ??esposizione giornalistica del fenomeno bellico, corrisponde una minora capacità, da parte dello spettatore, di stabilire una presa sulla realtà, e dunque una minore possibilità di decidere e di agire da parte del cittadino. In pillole. Alla â??visibilità totaleâ?, offerta dal medium televisivo, corrisponde, anche se in modo apparentemente paradossale, la cecità e lâ??impotenza dello â??spettatore totaleâ?.

Lo stesso spettatore globale che ieri adesso fa i conti con la morte in diretta televisiva di Amazen Al Tomaizi, giornalista palestinese dellâ??emittente di Dubai, al Arabiya. Impressionante la dinamica dei fatti e la scena trasmessa: â??Muoio, sto morendoâ? ha gridato in diretta, il giornalista colpito da un nugolo di schegge. Un cameraman della Reuters, Seif Fuad, che filmava la scena, è rimasto ferito. Sulla sua telecamera, schizzi di sangue. Poi una nuvola di fumo, le urla, il vuoto. La morte.
Una dimensione del dolore che trita quelle residue resistenze di speranza davanti alla guerra in Iraq e al sua epilogo. Sullo sfondo, una triste (e spesso cinica) contabilità dei morti, aggiornata quotidianamente. Un bilancio, dove alla prima colonna, spiccano le â??vittime occidentaliâ?. Nellâ??altra, più in basso (a volte invisibile) i morti iracheni. Siano militari, ribelli o civili, poco importa.

Come Amazen Al Tomaizi, 24 anni, inviato di esperienza, nonostante lâ??età: cresciuto tra i campi profughi palestinesi, con lâ??idea del conflitto e della morte che cresce di pari passo al corpo. Eppure, le versioni ufficiali sullâ??accaduto, riferiscono già il solito bollettino: â??Deprecabile erroreâ?, â??tragica fatalitàâ?, â??effetti collateraliâ?. Il risultato finale non cambia: morti su morti. Ogni giorno. Come una maledizione. Donne. Uomini. Anziani. Bambini. E giornalisti. Americani, europei, asiatici, arabi. Ci diranno ancora una volta che è il prezzo della â??guerraâ? e della â??lotta al terroreâ?. Certo. Ci rifileranno il solito polpettone mediatico del capo-operazioni a stelle e strisce, impettito nella sua divisa rigonfia di medaglia e mostrine, che nel corso di un affollato briefing, sosterrà la tesi â??dellâ??inevitabile incidente durante unâ??operazione militare non pianificata ma accidentaleâ?. Certo.

Ma quello che in pochi ricordano, è il monito di un inviato di guerra anomalo del passato, lo scrittore John Steinbeck. Che nel 1943 (non oggi) scriveva: â??La prossima guerra, se saremo tanto stupidi da lasciare che scoppi, sarà lâ??ultima in assoluto. Non resterà nessuno a ricordareâ?.

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