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Saviano, Zuccotti Park, New York-Italia
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di Valter Vecellio

Saviano, Zuccotti Park, New York-Italia

Un amico che vive a New York, Stefano Vaccara, titolare di una rubrica su “America Oggi”, il quotidiano di lingua italiana diffuso in tutta la costa atlantica degli Stati Uniti, erede del glorioso “Progresso italo-americano”, mi invia il suo resoconto della partecipazione di Roberto Saviano a una manifestazione a Zuccotti Park, il luogo simbolo di quelli che un po’ sbrigativamente vengono definiti “indignati” americani. Non mi sembra che i giornali italiani, che pure a New York hanno una folta presenza di corrispondenti e collaboratori, si siano accorti del “fatto”; ed eccezioni ci saranno certamente state; ma appunto l’eccezione, come si suol dire della regola è la conferma.    

Vaccara “cattura” alcuni brani dell’intervento di Saviano: “E’ un onore esser qui, sono venuto per tentare di sentirmi meno solo”, dice a un certo punto. Solo, la solitudine. Certo, è possibile, probabile che quelle frasi derivino anche dal tipo di vita che Saviano è costretto a vivere: alla Salman Rusdhie: perché anche sul suo capo pende una fatwa, emessa dalla camorra; aggravata dalle molte incomprensioni – chiamiamole così – di quanti dovrebbero stringersi al suo fianco, e invece assistono indifferenti, inerti; quando non si producono in vere e proprie volgari e meschine insinuazioni. “Qui per tentare di sentirmi meno solo…”; e può essere  arbitraria concatenazione di pensieri, ma automatico è pensare a Giovanni Falcone: anche lui amava ogni tanto rifugiarsi negli Stati Uniti; e passeggiare a New York per le strade come chiunque, sentendosi finalmente un po’ libero: meno costretto dalla “gabbia” costituita dalla scorta, dai ferrei doveri che per la sua incolumità questa imponeva.

Poi Saviano va alla carne del problema, affronta la questione: la protesta non è un qualcosa anti-sistema, ma è di difesa di un sistema che si vede aggredito, colpito, ferito. E parla di quello che più conosce, che ha studiato e analizzato: “La mafia vince perché le banche hanno abbattuto le loro difese…Vi siete mai chiesti qual è l’economia che non conosce crisi? L’economia criminale…il PIL delle mafie globali ha toccato i mille miliardi di dollari, più dei bilanci di 150 stati dell'Onu...Quindi state agendo affinché le mafie non conquistino l’economia legale e impongano i loro codici di comportamento…”.

L’intervento, insomma, di chi ama e crede nella legge, nel diritto, nella legalità. Di vede solo nel rispetto della legge, del diritto e della legalità la possibilità di sconfiggere il crimine organizzato: negli Stati Uniti, in Italia, ovunque. “Le mafie attraverso il narcotraffico, il racket, l’usura, producono un flusso di denaro che reinvestono nell’economia legale…”.

E ancora: “L'Italia vi riguarda. Se crolla l'Italia crolla l'Europa, se crolla l’Europa gli USA non sono più sicuri”, sillaba Saviano, che poi, con l’amarezza del credente che si sente tradito da chi ha beneficiato della sua fiducia quasi singhiozza: “L’Italia è un paese in cui ci si sforza di non premiare il merito, di non investire su talento, sembra impossibile pensare di realizzarsi se non emigrando. Guardando l'Italia rischiate di vedere il vostro futuro”. E tuttavia, con l’amarezza anche la voglia di essere, nonostante tutto, ottimisti: “Ma chi in Italia resiste vi sta guardando e spero sappia scegliere come state facendo voi”. C’è dunque una resistenza; e i resistenti hanno una possibilità di scegliere. Qui sembra di sentire i discorsi della “nuova frontiera” di John F.Kennedy, quando esortava a non chiedere cosa il Paese poteva fare per noi piuttosto domandarsi ognuno cosa poteva fare per il Paese. I diritti, dice Saviano, vanno conquistati, bisogna saperseli meritare: “Non esiste un mondo migliore, ma esiste la possibilità di migliorare questo mondo!”.

Dite che dice cose semplici, Saviano? E’ vero: dice cose semplici. Ma sono le cose più semplici quelle che spesso è più difficile comunicare. Chi ha letto “Gomorra”, avrà, chiuso il libro, pensato che in fondo raccontava cose “semplici”; ma quelle cose “semplici” sono state una rivoluzione, il racconto di misfatti e crimini che prima erano racchiusi nei faldoni dei processi, nei verbali della polizia e dei carabinieri. Saviano ha reso quella materia qualcosa di cui tutti hanno preso consapevolezza, coscienza; ed è questo che non gli viene perdonato. Così come ha fatto con “Vieni via con me”, parlando per la prima volta in televisione della storia di Piero e Mina Welby, di Luca Coscioni, di Eluana Englaro; della realtà del terremoto a L’Aquila, dei rifiuti e dei veleni tossici, della tentacolare potenza della ‘ndrangheta calabrese…Ha raccontato in modo molto “semplice” come stanno le cose, le ha mostrate nella loro nudità, e ci aiuta così a non subirle. Si dovrebbe riflettere sul fatto che quella televisione, così “povera”, senza effetti speciali, con una scenografia essenziale, fatta di “cose” e di “parola”, è stato l’evento televisivo dell’anno, più seguito delle partite di Champions League e dei reality show.

Con la sua “semplicità”, Saviano fa opinione; quel tipo di opinione che aiuta a pensare, a riflettere, da contrapporre a quelle dominanti, e consente così di “contarsi”, così come diceva Seneca, per gli schiavi”. Per scoprire, magari, una volta fatta la conta, che si può essere isolati, ma non soli. Anche in Italia a saperle cercare, le Zuccotti Park non mancano.


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