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Articolo 21 - Editoriali
Ottobre, la Marcia sulla Rai di Berlusconi
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di Vittorio Emiliani

da L'Unità

Ieri il presidente-proprietario della Rai (tramite il Tesoro) e, da più lunga data, di Mediaset, Silvio Berlusconi, ha ribadito che un 20 per cento dell'azienda radiotelevisiva pubblica verrà messo sul mercato. Poiché la legge Gasparri prevede che nessun acquirente possa detenere più dell'1 per cento di questa azioni arrivando al 2 col patto di sindacato, si tratterà di una privatizzazione molto barocca, anomala e sostanzialmente fittizia. Che probabilmente, latitando compratori, determinerà una secca riduzione di valore della Rai. Procedura comunque unica in Europa dove, quando si è privatizzato, si è messa sul mercato - è il caso soprattutto di France 1- una intera rete rafforzando però quelle rimaste (integralmente) in mano pubblica sia sul piano delle garanzie istituzionali che sul piano del canone. Privatizzazione, dicevo, del tutto anomala la nostra, destinata ad aggravare la crisi di identità della Rai e a creare al suo interno il più grande marasma gestionale. Nel senso che già oggi esiste una sempre più palese schizofrenia fra logica di servizio pubblico e logica commerciale. La prima, in teoria, dovrebbe essere tuttora prevalente per il tipo di proprietà e per il fatto che il canone - nonostante sia il più basso e il più evaso d'Europa - ha fornito nel 2003 ancora il 55,2 per cento delle entrate contro il 38,8 della pubblicità (un 6 per cento è composto da â??altri ricaviâ?). La gestione Cattaneo invece ha impresso un carattere sempre più commerciale alle produzioni Rai, tanto che rintracciare trasmissioni di servizio pubblico, a parte Raitre e Radiotre, diventa sempre più arduo. Si pensi soltanto al disastro di Raidue aggrappata all'â?Isola dei famosiâ?.
Con la vendita del 20 per cento e con l'ingresso successivo di consiglieri in rappresentanza degli azionisti privati - i quali vorranno, giustamente dal loro punto di vista, realizzare dei profitti - si avrà un'azienda del tutto schizoide, un autentico ircocervo. Lo stesso presidente dell'Authority delle Comunicazioni, Enzo Cheli, avanza il timore che questo processo di dismissione â??possa incidere eccessivamente sulla qualità del servizio pubblico e sulla connotazione pluralistica che esso è tenuto a rispettareâ?. E sì che esse fanno già acqua da tutte le parti.
La Marcia sulla Rai di Silvio Berlusconi potrà però dirsi a buon punto già col prossimo ottobre: il nuovo Statuto dell'azienda e il piano di riorganizzazione (politica anzitutto) dell'emittente pubblica chiuderanno la partita a favore della maggioranza di governo e soprattutto del suo presidente. Eppure c'è molto silenzio attorno alla Rai da parte della grande stampa. C'è stato silenzio anche ai rami alti dell'Ulivo, malgrado si tratti di una questione capitale, affidata ai pochi, certamente valorosi, parlamentari della Commissione di Vigilanza, all'Associazione Articolo 21 e dintorni, all'Usigrai e a voci isolate. Giustamente Giuseppe Giulietti parla di una ormai prossima â??Repubblica Presidenziale a reti unificateâ?. Stavolta è definitivamente in gioco quanto rimane della autonomia delle reti, dei Tg e delle loro trasmissioni di inchiesta, di dibattito, di approfondimento.
I fatti : la Rai-Tv continua, da maggio, ad essere amministrata da un Consiglio di soli 4 componenti, senza più il presidente â??di garanziaâ? voluto dai presidenti delle Camere, con un consigliere anziano che funge da presidente senza averne in realtà i pieni poteri. Cosa mai successa sinora a Viale Mazzini (nel '96 a Letizia Moratti, dimissionaria dalla presidenza, subentrò per alcuni mesi, regolarmente eletto, Giuseppe Morello). Questo CdA acefalo e di un solo colore politico-culturale (quello del centrodestra) è stato sfiduciato prima dell'estate dalla maggioranza della Commissione di Vigilanza in base all'ordine del giorno presentato da un partito di governo, l'Udc. Ma è rimasto tranquillamente al proprio posto. Né accenna a voler lasciare il settimo piano del palazzo di Viale Mazzini. Dove intanto comanda il direttore generale Flavio Cattaneo.
Tutti insieme hanno elaborato e inviato alla Vigilanza il testo di un nuovo Statuto della Rai, che l'Udc per prima ha pesantemente criticato, e che contiene una clausola in base alla quale questo CdA acefalo, monocolore e sfiduciato, potrà surrogarsi da sé, rimanendo lì, ecco il punto, fino alle elezioni regionali di primavera. Regola in contrasto col Codice civile e con la stessa legge Gasparri la quale prevede che, avvenuta la fusione fra Rai Holding e Rai (e ormai ci siamo), sia eletto un nuovo CdA di 9 componenti, 7 scelti dalla Vigilanza e 2 dal Ministero dell'Economia (fra cui il presidente), convalidati dalla Vigilanza stessa. Soluzione che continuo a considerare sbagliata rispetto ad altre ben più garantiste e tale da vincolare ancor più la Rai ai partiti. Essa, tuttavia, è stata votata dalla stessa maggioranza di governo la quale invece ora briga (Udc a parte) per mantenere i quattro consiglieri attuali avvitati alle poltrone. Evidentemente perché di loro sa di potersi fidare, sul piano politico, in maniera assoluta e con loro vuole pertanto approdare alle elezioni 2005. Tutto il resto non conta proprio nulla.
Parallelamente viene avanti il piano di ristrutturazione dell'Azienda, che, presentato come un fatto organizzativo, pone in realtà in campo gli strumenti per normalizzare politicamente tutta la Rai, in primo luogo Raitre, Tg3 e loro trasmissioni. Sono state infatti smantellate le divisioni introdotte nel quadriennio Zaccaria-Celli, con le quali veniva data a ciascuna di esse e quindi alle reti una grande autonomia ideativa e gestionale responsabilizzando tutti sul versante della spesa e della compatibilità di costi e programmi. Adesso si costruisce una rigida piramide aziendale al cui vertice c'è il direttore generale (il CdA viene notevolmente indebolito) il quale ha sotto di sé alcune mega-direzioni, due soprattutto, le quali, a danno delle reti, accentrano tutti i poteri fondamentali. Sono la Direzione Risorse Umane e la Direzione Marketing Strategico. Affidate, guarda caso, a due dirigenti i quali - come Cattaneo e come tanti altri ormai - con la storia migliore della Rai, col suo Dna, non hanno nulla da spartire: essi vengono direttamente da casa Berlusconi. La prima è infatti tenuta da Alessio Gorla, già dirigente Rti, responsabile Mediaset per l'area del Sud America e organizzatore della â??discesa in campoâ? di Silvio Berlusconi nelle politiche del '94, fatto entrare in Rai nel 2002 dall'allora direttore generale Agostino Saccà e portato da Cattaneo ai palinsesti. La seconda è nelle mani fedeli di Deborah Bergamini già assistente personale di Berlusconi, assunta anch'essa da Saccà e protagonista, in due anni, di una folgorante carriera.
Il primo, cioè Gorla, potrà intromettersi nella programmazione di rete in base alla â??verifica delle risorse equivalentiâ? indicando soluzioni diverse da quelle pensate dal direttore di rete al quale restano peraltro tutte le responsabilità editoriali (se il programma va male), civili, penali, ecc. La seconda, Bergamini, potrà chiedere quando crede una â??verifica della coerenza delle linee editorialiâ?, cioè entrare ben dentro la qualità, la sostanza, la linea dei programmi. Il suo monitoraggio, spacciato per tecnico, sarà anch'esso soprattutto politico.
Un vero e proprio â??golpeâ? aziendale e costituzionale (articolo 21, libertà di espressione) che unifica le reti Rai e le omogeneizza senza scampo sul piano politico. Come ha già fatto con Raiuno e Raidue, con Tg1 e Tg2, coi TGR e i Gr, con un Televideo sempre più scandaloso. Dov'è finito il pluralismo politico-culturale, informativo della Rai? Resta Raitre, restano alcuni altri brandelli, qua e là, in radio e in tv. Ancora per poco, se non ci si oppone più risolutamente, se non si costruisce anche per l'informazione e la cultura radiotelevisiva un futuro meno disastroso di questa enorme frana senza fine.
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