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Articolo 21 - Editoriali
Povertà, l'Istat tiene il rapporto nel cassetto
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di Walter De Cesaris

da Liberazione
 
Il dossier viene presentato ogni estate. Quest'anno i poveri cancellati dalle statistiche
Che fine hanno fatto i poveri? Parliamo di quelli delle statistiche ufficiali che ogni anno l'Istat elabora sulla base del rapporto sulla povertà in Italia. Questo rapporto che ogni anno esce in estate, quest'anno è ancora chiuso nel cassetto. Un ritardo casuale o un regalo al governo per edulcorare la realtà del Paese?
Si parla di due distinte condizioni di povertà. La povertà relativa è individuata sulla base di una soglia convenzionale determinata annualmente rispetto alla media mensile pro capite dei consumi per le famiglie. La povertà assoluta, invece, è determinata attraverso un paniere di beni e servizi considerati essenziali per la sopravvivenza. Una famiglia che ha una spesa mensile inferiore o uguale a quelle soglie viene considerata in condizione di povertà relativa o assoluta. Fin qui la fredda oggettività delle statistiche. Poi viene la sostanza e ci si accorge, approfondendo solo un poco i dati, che questa oggettività può essere apparente e nascondere la realtà invece che descriverla, un gioco degli specchi. Lo scorso anno, a luglio del 2003, quando vennero diffusi i dati della povertà nel 2002, la notizia fu "la povertà diminuisce dell'1%". In realtà si parlava della povertà relativa e la diminuzione della sua incidenza (dal 13% al 12% della popolazione per un totale di più di 7 milioni di persone) era dovuta semplicemente al fatto che era diminuito il livello dei consumi e, quindi, la soglia della povertà relativa, al netto della variazione dei prezzi, era inferiore a quella dello scorso anno. Insomma, un paradosso: vi erano meno poveri relativi perché eravamo tutti più poveri. Magia della comunicazione: questa notizia, che spiegata nel merito avrebbe dovuto determinare una grande preoccupazione sull'andamento dell'economia e sulla condizione sociale del Paese, si era rovesciata nel suo contrario!
Ma la magia dei numeri non finisce qui. Anche per la povertà assoluta, la realtà viene deformata per far apparire una condizione sociale edulcorata. Come abbiamo dimostrato in maniera incontrovertibile, sulla base di un approfondito studio elaborato del sindacato Usi/RdB-Ricerca, il dato sulla povertà assoluta viene sottostimato attraverso due semplici operazioni.

Primo: il paniere dei beni e servizi individuati come indispensabili per la sopravvivenza di una famiglia viene aggiornato annualmente con la variazione dell'indice generale dell'aumento dei prezzi ma, come ben si sa, i prezzi dei beni di prima necessità in questi anni sono aumentati ben di più della media dell'inflazione, basti pensare alle spese per l'alimentazione e quelle per gli affitti.
Secondo: dal paniere della povertà assoluta vengono escluse le spese per la sanità, l'istruzione e i servizi socio assistenziali, nella presunzione che esista un sistema di protezione che garantisca la gratuità di questi servizi alle famiglie più povere. Ipotesi, questa, che non ha fondamento. Insomma, anche per la povertà assoluta, attraverso queste operazioni di maquillage statistico, per il 2002, il dato è stato sottostimato per quasi 300mila famiglie e quasi un milione di persone.
Intanto, mentre ancora si nascondono i dati veri sulla povertà, si continuano a seminare cifre che, nella loro apparente oggettività, distorcono la realtà in maniera stridente. Si afferma che l'inflazione rimane ferma, malgrado l'aumento dei prodotti petroliferi e che le retribuzioni crescono più di quanto aumentino i prezzi. Anche qui l'effetto annuncio prende il sopravvento sulla realtà. Basta infatti leggere il documento dell'Istat che segnala l'andamento delle retribuzioni per rendersene conto.
Si parla, per esempio, del contratto delle aziende del settore minerario. Si legge che il contratto ha previsto l'aumento dei giorni di ferie in base all'anzianità di servizio e siccome l'aumento delle ferie si traduce in corrispondente riduzione su base annua dell'orario di lavoro, ciò ha la conseguenza di determinare una crescita dell'indice della retribuzione oraria. Magia dei numeri nuovamente: prendi lo stesso stipendio ma, per la statistica, la tua retribuzione è cresciuta.
Nella realtà, sulla dinamica retributiva, se si passa dai minimi tabellari alle retribuzioni di fatto, tutti i dati riconoscono che la diminuzione del potere di acquisto è stata drammatica: nel solo 2003, un operaio ha avuto una perdita del potere di oltre il 9% e un impiegato di oltre il 13%. Insomma, c'è un Paese legale, quello rappresentato dalla propaganda del governo e dalle statistiche ufficiali, che fa a cazzotti con il Paese reale. E per far combaciare i due si sono inventate ardite definizioni, come quella dell'"inflazione percepita", ovvero di un aumento dei prezzi psicologico, nella testa della gente e non nei portafogli. Ma la realtà è differente e parla di un impoverimento di massa drammatico.

Ormai, gli studi, non solo quelli delle associazioni dei consumatori, sono univoci e concordanti. L'ultimo, quello dell'Osservatorio del Nord Ovest, afferma testualmente: «L'inflazione reale in Italia è compresa fra il doppio e il triplo di quella ufficiale, dunque tra il 5 e l'8%». In un anno è salito di oltre il 15% il credito per i consumi, una persona su tre dichiara di avere contratto un finanziamento e, detratti i mutui per l'acquisto di casa e l'indebitamento a breve (le carte di credito), una famiglia su cinque ha un debito con una finanziaria. Cosa vuol dire questo se non che le persone non riescono ad arrivare alla fine del mese?
Ma questa Italia non è tutta in nero, c'è una fascia di arricchimento speculativo. Nel mentre sono usciti quei dati drammatici sull'indebitamento, un'altra inchiesta ha dimostrato che sono cresciuti di oltre il 13% coloro che hanno un conto in banca superiore a un milione di euro. E' la conseguenza della politica del governo delle destre: delle sanatorie a favore delle rendite speculative. Disuguaglianze di massa che saranno acuite dalla manovra economica. Chi può credere che una finanziaria tra 50mila e 70mila miliardi delle vecchie lire, non colpirà prioritariamente il sistema delle tutele e delle garanzie sociali e non si abbatterà come un maglio su una condizione sociale già di assoluta precarietà?
Il programma delle opposizioni non può che partire da qui e da una politica di redistribuzione del reddito a partire dall'incremento di salari, stipendi e pensioni.

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