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9 anni in Iraq, da raccontare con vero spirito da "servizio pubblico"
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di Duilio Giammaria

9 anni in Iraq, da raccontare con vero spirito da "servizio pubblico"

La fine dell’avventura americana in Iraq, chiude in modo netto l’epoca dell’unilatelarismo e dell’egemonia monocratica.
Le certezze con cui gli Stati Uniti si sono lanciati in questa guerra sono cadute come quinte teatrali davanti ad una realtà ben più complessa di quanto gli analisti repubblicani di Washington avessero immaginato. Nell’elezione stessa di Obama il programma di un definitivo ritiro ha giocato un ruolo non trascurabile indicando quanto l’opinione pubblica americana, al di là del “main stream” mediatico favorevole all’intervento, avesse maturato la convinzione che l’intervento armato non rappresentasse gli interessi del popolo americano.

La crisi di un modello di intelligence ancora poco indagato, su quanto in buona o in cattiva fede, è comunque emerso chiaro.
Il dopo Iraq era già iniziato quando la commissione d’inchiesta inglese, con vera attuazione dei principi democratici dell’accountability, della verifica delle responsabilità, aveva indagato Blair e il suo inner circle.

Poco prima, le certezze nella buona fede, del processo decisionale della Casa Bianca avevano mostrato la loro fragilità con l’Affaire di Valerie Plame, agente della Cia, e di suo marito Joseph Wilson inviato in Niger alla ricerca del traffico di uranio. La loro sincerità sul fatto che il Yellow Cake all’uranio (uno dei pretesti della guerra), non fosse mai esistito, costò ad entrambi la gogna mediatica di alcuni media americani abituati a farsi portavoce delle veline di Washington. Quella vicenda, iniziata con il Sismi, che inviò l’informativa alla Cia sul traffico di uranio, indica quanto la vicenda irakena meriterebbe oggi di essere rivista.
Lo stesso Marco Pannella ha sempre sostenuto che la trattativa era possibile, ed era in corso ancora pochi giorni prima dell’attacco.

L’avventura militare americana ha risucchiato l’esercito italiano in una vicenda il cui il prezzo di sangue, basti pensare ai caduti di Nassirya, è stata grande. Molti di noi, hanno visto la morte in faccia. Abbiamo avuto giornalisti e cooperanti rapiti. Un ufficiale dell’intelligence italiano ucciso da “fuoco amico”, insomma il nostro paese nel suo piccolo ha pagato il suo pedaggio a questa guerra.

Questo non per dare o darsi delle medaglie ma per ricordare a tutti noi, di quanto è costato essere  stati risucchiati nel maelstrom irakeno.
Come sempre la storia appare più chiara quando si è lontani, anche nel tempo.

La BBC dedicò alla guerra in Jugoslavia una serie televisiva “Death of a Nation” che venduta in tutto il mondo, è ancora oggi il modello di una riscrittura televisiva della storia recente e di quanto sia utile per tutti rileggere gli avvenimenti storici,
anche recenti.

Sarebbe utile raccontare, con vero spirito di servizio “al pubblico”, questi nove anni in Iraq, conclusi con il ritiro del contingente americano? Forse basterebbe un solido lavoro di reportage per andare a rivedere oggi la situazione in Iraq per ritornare su una vicenda prima che l’oblio del tempo cancelli le tracce di quanto la storia possa insegnarci a non ripetere gli stessi errori.
A suivre…


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