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Con l'articolo 18 liberta' e dignita' dei lavoratori sono i totem in discussione
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di Domenico D'Amati

Con l'articolo 18 liberta' e dignita' dei lavoratori sono i totem in discussione

Quando si dice che l’articolo 18 va discusso perché non è un totem, non si può dimenticare che questa norma non a caso è stata collocata dal legislatore del 1970 nella prima parte dello Statuto, quella intitolata alla “libertà e dignità del lavoratore”. Chi viene licenziato arbitrariamente non subisce soltanto un pregiudizio economico, ma una lesione di elementari diritti umani.
Si deve allora avere l’onestà intellettuale di ammettere che i totem in discussione sono quelli previsti dall’articolo 41 della Costituzione (a suo tempo definito da Berlusconi norma comunista) secondo cui l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Il tema di fondo del dibattito è se sia giusto monetizzare questi valori. Un tema essenzialmente politico, prima che economico.
Secondo la logica dei riformisti l’articolo 18 va ridiscusso per porre termine alla ritenuta esistenza di una grave disparità di trattamento tra gli “iperprotetti” che hanno la tutela reintegratoria contro i licenziamenti e i precari, in vario modo etichettati con contratti fittizi, condannati ad una perenne instabilità.
Il ragionamento è semplicistico: poiché gli imprenditori non assumono a tempo indeterminato per timore dell’articolo 18, occorre escludere l’applicabilità di questa norma ai nuovi assunti e nel contempo istituire un modello unico di contratto di lavoro che ponga termine alle varie forme di precariato.
Ma questa logica non funziona, in primo luogo perché gli imprenditori scorretti che ricorrono a contratti fittizi per nascondere l’esistenza di rapporti di lavoro subordinato, lo fanno per eludere la normativa fiscale e previdenziale. In secondo luogo va rilevato che il contratto unico già esiste ed è quello di lavoro subordinato a tempo indeterminato che, anche per normativa dell’Unione Europea, è il tipo normale di assunzione .
Per la legge i precari assunti con contratti fittizi devono essere ritenuti a tutti gli effetti lavoratori subordinati a tempo indeterminato, con diritto alla tutela prevista dall’articolo 18.
Se i servizi ispettivi del Ministero del Lavoro e i Tribunali fossero posti in condizioni di funzionare normalmente, il problema della disparità di trattamento fra precari e assunti a tempo indeterminato sarebbe prontamente risolto.
Ci si illude invece di porre rimedio a questa situazione di illegalità diffusa istituendo una categoria di lavoratori a tempo indeterminato che rimarrebbero precari in quanto sarebbero esposti al rischio di licenziamenti arbitrari, perché non tutelati dall’articolo 18.
Questa norma peraltro non crea affatto una categoria di iperprotetti, perché anche nelle aziende dove si applica, ogni lavoratore può essere licenziato per le più varie ragioni (modifiche organizzative, inadempienze, malattie prolungate, inidoneità fisica, etc.). Per non parlare dei licenziamenti collettivi che sono ampiamente consentiti in casi di ristrutturazioni e di crisi.
Non c’è argomento razionale che possa giustificare l’attentato all’articolo 18, una norma di civiltà che i lavoratori di tutto il mondo ci invidiano.
Basti pensare che gli Stati Uniti, paese dove si può licenziare senza motivo, la disoccupazione si calcola con percentuali a due cifre. Il problema è politico. Si vogliono recuperare nelle fabbriche posizioni di potere e di controllo sulla società civile.


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