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Articolo 21 - Editoriali
Il massacro dei bambini di Beslan, una cronaca di menzogne
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di Sandro Orlando

Il rapporto di un Centro che monitorizza la stampa russa denuncia minacce e aggressioni ai giornalisti russi e stranieri, pur di impedire loro di raccontare verità non autorizzate sulla strage

da L'Unità

Da una parte câ??è la guerra mediatica, dallâ??altra la guerra ai media. Sono le due facce della stessa lotta al terrorismo, così come appare in punti diversi del pianeta. Lâ??ultima è la versione russa, emersa in tutta la sua drammaticità con i tragici fatti di Beslan, agli inizi di settembre. Certo si sapeva che con lâ??arrivo al Cremlino di Vladimir Putin, lâ??ex colonnello del Kgb cresciuto alla scuola di Andropov della «repressione preventiva» del dissenso, gli spazi di libertà dellâ??informazione si erano ristretti. Soprattutto nei media elettronici, cardine fondamentale di quellâ??«attività di contropaganda» volta a «prevenire le conseguenze negative della diffusione della dezinformatsija», come teorizzato in quel delirante documento chiamato «dottrina della sicurezza dellâ??informazione», che descrive una Russia accerchiata da cospiratori e nemici (sia interni che esterni) e da quattro anni ispira la linea del governo nei confronti di stampa e tivù.
Eppure a dispetto della rinazionalizzazione delle reti televisive un tempo controllate dagli oligarchi (Ort, Ntv, Tv-6), a dispetto della chiusura delle trasmissioni scomode (lâ??ultima vittima è stata «Svoboda Slova», «libertà di parola», un popolare talk show politico) e dei rischi crescenti della professione (in quattro anni sono stati assassinati 15 giornalisti), la macchina propagandistica del Cremlino non ha mai funzionato con tanta efficacia come a Beslan, come documenta un inquietante rapporto del Centro per il giornalismo in situazioni estreme (Cjes), una fondazione indipendente che monitorizza il settore dellâ??informazione in Russia. Un rapporto che denuncia i casi di giornalisti minacciati, aggrediti, arrestati, e persino narcotizzati o avvelenati, per impedire che raccontassero verità non autorizzate sul massacro dei bambini in Nord Ossezia, e che ha spinto nei giorni scorsi lâ??Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) a chiedere alle autorità di Mosca di aprire unâ??inchiesta. Eccone alcuni passaggi.
La cronaca delle menzogne. Non era successo né con la tragedia del Kursk né con lâ??assedio della Dubrovka: a Beslan semplicemente la censura è stata totale. Merito anche di quel «codice di autodisciplina nelle situazioni di crisi» che gli editori hanno adottato per evitare ulteriori rappresaglie governative (una legge antiterrorismo era già pronta in Parlamento) subito dopo il blitz nel teatro di Mosca. E così nei primi due giorni di settembre, tutte le reti nazionali hanno preferito dare un profilo basso alla vicenda di Beslan: con le aperture dei tiggì ancora occupate dallâ??attentato nella capitale, le notizie dallâ??Ossezia sono finite in fondo ai notiziari, tra i servizi di medicina e le curiosità gastronomiche. Nessuna diretta, nessuna immagine ravvicinata ha potuto gettare ombre sulla verità preconfezionata dalle autorità: «Ci sono 354 ostaggi, ma stanno tutti bene e stiamo trattando per liberarli». Le tivù pubbliche non hanno interrotto la loro programmazione nemmeno quando i reparti speciali hanno fatto irruzione nella scuola. Venerdì 3 settembre, allâ??ora di pranzo, mentre Cnn e Bbc trasmettevano in mondovisione le prime immagini della carneficina, il Primo Canale russo continuava a mandare in onda la telenovelas brasiliana «Donne appassionate»: stesso menù sulla seconda rete, «Rossija». Unica eccezione, Ntv, che interveniva con una diretta mezzâ??ora dopo la prima esplosione, limitandosi però a riprendere solo scene dallâ??esterno, per non contraddire la menzogna più grande: «Non ci sono morti, 200 ostaggi sono stati liberati, ne restano altri 100 allâ??interno». Una cautela che non è servita però risparmiare i vertici di Ntv (che fa capo al colosso petrolifero Gazprom) dalle purghe ordinate al Cremlino nelle settimane successive. Tra gli epurati anche il direttore del quotidiano «Izvestia», Raf Shakirov, che sabato 4 settembre ha rotto il muro di omertà dei suoi colleghi, pubblicando foto a tutta pagina delle vittime di Beslan.
Danni collaterali. Diversi i casi di giornalisti aggrediti dalla popolazione locale, inferocita dalla rappresentazione distorta con cui i media russi andavano raccontando gli avvenimenti di quei giorni. Una troupe televisiva della rete Tnt è stata presa addirittura a colpi dâ??arma da fuoco e si è salvata dal probabile linciaggio solo grazie allâ??intervento dei militari. A irritare è stato soprattutto il gioco delle cifre, laddove era chiaro da subito che nella scuola câ??erano 1.220 persone, e non 354 come sostenuto fino allâ??ultimo. A farne le spese sono stati anche gli ostaggi, come ha scritto Yelena Milashina sulla «Novaya Gazeta», riportando la testimonianza di un sopravvissuto: innervositi dalle false notizie trasmesse in tivù, i terroristi hanno smesso dopo le prime 24 ore di dare cibo e acqua ai prigionieri, iniziando ad infliggere punizioni sadiche anche ai bambini più piccoli, come ad esempio con la costrizione a bere la propria urina. Un racconto confermato anche da altre interviste raccolte dallâ??associazione Memorial.
Arresti e strani incidenti. I giornalisti arrestati sono stati ancora di più, a cominciare dai reporter di testate russe come la stessa Elena Milashina, Anna Gorbatova e Oksana Semyonova (del quotidiano «Novye Izvestia»), Madina Shavlokhova («Moskovskiy Komsomolets») e Simon Ostrvskiy («Moscow Times»). Lâ??elenco è lungo, e le vessazioni non hanno risparmiato neanche i corrispondenti stranieri. Tre inviati della polacca «Gazeta Wyborcza», del londinese «Guardian» e di «Libération» sono stati ad esempio arrestati allâ??aeroporto di Mineralnye Vody il 2 settembre e interrogati per molte ore. Il 6 settembre, sempre nello stesso scalo, è stato arrestato il capo della redazione moscovita dellâ??emittente Al Arabia, che ha trascorso due giorni in prigione sulla base di un presunto ritrovamento di un proiettile nel suo bagaglio. Troupe televisive della Ard e Zdf e della Associated Press si sono viste invece sequestrare i loro filmati. Allâ??inviata della rete georgiana Rustavi-2, Nana Lezhava, è andata invece anche peggio: fermata con un pretesto il 4 di settembre da reparti militari, è stata trattenuta per quattro giorni in stato di narcosi con lâ??uso di sedativi e droghe, prima di essere rilasciata ed espulsa. Unâ??altra troupe televisiva dalla Georgia è stata espulsa il 7 settembre senza spiegazioni, per «esigenze di sicurezza». Mentre Andrei Babitski, il noto reporter di Radio Free Europe (già additato pubblicamente da Putin come «traditore») è stato trattenuto a Mosca con un espediente kafkiano: aggredito allâ??aeroporto da due sconosciuti mentre si imbarcava per lâ??Ossezia, è stato arrestato e condannato per vandalismo a 15 giorni di carcere. A fermare Anna Politkovskaia, lâ??inviata della «Novaya Gazeta» famosa anche in Italia per i suoi libri sulla guerra in Cecenia, è stato infine un tè avvelenato, servito nellâ??aereo che avrebbe dovuto portarla a Beslan. Un viaggio che si è concluso con un ricovero in ospedale e una lavanda gastrica. E il dubbio che la verità su quest'ennesima tragedia non verrà mai a galla. Anche perché la Duma sta già discutendo un nuovo progetto di legge sull'informazione. Putin lo ripete da anni: «C'è troppa libertà di stampa, non troppo poca».

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