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Un Cristo zingaro e' nato a Natale
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di Antimo Lello Turri*

Un Cristo zingaro e' nato a Natale

Un incendio devastante partito probabilmente da una stufa difettosa. Pochi minuti e la vampa del fuoco divora tutto, ma tutto è una costruzione fatiscente dove sopravvivono undici delle famiglie Rom che popolano il campo di Al Karama a Borgo Montello, ad una pedata d'acceleratore da Roma. Al Karama in lingua araba vuol dire dignità, parola che diventa chimera ed utopia nel civilissimo agro pontino. Così civile che poco più di un anno fa due persone armate di pistola sono entrate nel campo Rom di Montello ed hanno sparato contro le finestre delle baracche che vi sorgono. Civile al punto che da anni si chiede di fronte alle passeggiate solidali di troppi notabili, che vengano installati i bagni e garantita acqua corrente a quelle persone.

Nulla di fatto. Eppure ci si ostina a non capire che poco più di un centinaio di Rom sono uno degli ultimi presidi di democrazia e civiltà a pochi passi da un'enorme discarica che per anni ha inghiottito i rifiuti tossici delle mafie, come confermato dalle dichiarazioni del pentito di camorra Carmine Schiavone. Con la loro presenza i nomadi di Al Karama impediscono che la discarica arrivi anche su quel lembo di terra. Le mafie e chi le sostiene ad una manciata di chilometri da Roma lo hanno capito molto bene. Come avevano afferrato che un anziano sacerdote, don Cesare Boschin, fosse un ostacolo contro l'avanzare di quei camion che di notte vomitavano bidoni metallici. Lo dovevano fermare e con lui quella gente, quasi tutti veneti e ferventi cattolici, non pericolosi sovversivi, che avevano il coraggio di affrontare con la denuncia i gruppi di fuoco autoctoni al servizio della camorra.

Per questo la notte del 30 marzo del 1995 quel prete anziano e malato venne massacrato, incaprettato, ridotto come uno straccio da buttare, accartocciato su un lettino di ferro, nella canonica della Chiesa del borgo. E allora ignoranza, paura e pregiudizio insulso individuano oggi il problema di questa terra nei Rom di Al Karama.

E alla notizia della quasi totale distruzione del campo nomadi c'è chi ha affermato: “Speriamo che l'incendio non sia accidentale, speriamo che qualcuno sia andato a dargli fuoco a quegli zingari di merda”. Nel frattempo giovani delle associazioni e non solo lanciano su facebook continui appelli per raccogliere vestiti e generi alimentari per quelle famiglie. Molti muovono l'indice sul mouse per fare clic su “mi piace” e la faccenda si ferma lì. Svariati altri rispondono e prendono contatto per portare i beni di cui ha   bisogno la popolazione Rom di Al Karama. Purtroppo c'è anche chi risponde: “Si portassero vestiti e cibo ai poveri italiani che non arrivano a fine mese”. Per fortuna ancora nessuno ha risposto di portare un panettone ai parenti  dei condannati per estorsione mafiosa che vivono tra la discarica e la parrocchia di don Boschin.

La notte di Natale ad Al Karama è nato un bambino e i suoi genitori abitavano proprio nella costruzione già fatiscente, ora devastata dalle fiamme. Un Cristo povero, nato al freddo riscaldato da una stufa elettrica, magari la stessa che ha provocato il corto circuito, che porta già la sua croce: è nato zingaro e conoscerà, oltre alla fame, il disprezzo e magari il carcere perché nessuno gli insegnerà un mestiere o gli darà lavoro se non per sfruttarlo.
Nel frattempo chi vuole la discarica anche sul terreno dove i Rom tirano avanti, si sfrega le mani bestialmente eccitato dall'odore dei soldi che già sente nell'aria. A sentire l'odore mortale di putrido e di tossico rimarranno gli abitanti del borgo, i cui nonni erano venuti a bonificare quelle terre paludose e a renderle fertili valli: rimarranno loro, lì da soli, impauriti da quei figuri oscuri che girano a bordo di mercedes che nessun contadino si potrà mai permettere.

Resteranno a fianco la monnezza mentre quei signori dalle belle macchine entreranno nelle case dei veneti con la scusa di un caffè e appoggeranno sul tavolo della cucina la pistola, con disinvoltura come si appoggiano le chiavi in uno svuota tasche. Così nessuno parlerà più di puzza, di morti di cancro, di fusti tossici e di preti incaprettati. Intanto a Latina è stato individuato il vero problema da affrontare, la questione centrale di un'intera collettività: da settimane infuria la discussione e il confronto su una proposta di referendum per ridare il nome di Littoria al capoluogo di provincia. Nei bar, nelle piazze, sulle bocche della gente e di tanti politici non si parla d'altro.

Meno male, perché quando si alza il volume della coscienza sociale e della corresponsabilità si rischia che le cose cambino. Meglio evitare.

*tratto da www.liberainformazione.org


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