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Articolo 21 - Editoriali
Chi le voleva morte
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di Antonio Padellaro

da L'Unità

Sicuramente le voleva morte chi ha scritto il nome di Simona Torretta e Simona Pari nella lista di cui parla Maurizio Scelli (Croce Rossa), elenco stilato dallâ??intelligence americana e finito nelle mani dei terroristi iracheni. Anche se appare difficile che le indagini della Procura di Roma abbiano uno sviluppo, questa faccenda delle spie è la prima versione dei fatti che abbia un senso logico. Quando le due italiane furono sequestrate, tutti si chiesero perché proprio loro. Trattandosi di operatrici umanitarie di unâ??organizzazione apertamente schierata contro la guerra non si capiva la ragione del dispiegamento di tutto quellâ??apparato militare (fuoristrada, tute mimetiche, armi automatiche), con il comandante che procede allâ??identificazione leggendo i nomi delle due Simone da un foglio scritto da altri. Più che un rapimento, oggi, quella scena ci appare come lâ??esecuzione di un arresto da parte di una sorta di controspionaggio. Ma se una «lista americana» esiste, una domanda sorge spontanea: le due ragazze sono effettivamente spie dei servizi italiani? Semplice la risposta: visto che a quei signori con barbe e mitra non mancava il tempo e il modo per scoprirlo, un niente e le ragazze non sarebbero mai più tornate a casa. E allora se quella lista câ??é, e loro non sono spie, chi le voleva morte? E per quale motivo?
Invece, non è difficile capire cosa muova il linciaggio organizzato contro Simona e Simona appena hanno messo piede in Italia. Qui dobbiamo distinguere vari livelli di odio. Che due ventinovenni, a un certo punto della loro vita abbiano deciso di occuparsi di vecchi e bambini iracheni può dare fastidio a quella società del cazzeggio che mai nella vita vorrebbe incrociare un vecchio iracheno sporco e affamato (magari il bambino sporco sì, ma con una bella adozione a distanza di sicurezza). Un mondo in fondo divertente che ritrovandosi intorno a qualche tavolo del Pastasciuttaro o nella tribuna Monte Mario, ogni tanto prorompe nel grido: «Aho,â??ste Simone che palle». Il simpatico clima da «aridatece le bodyguards (Agliana-Stefio-Cupertino erano meno articolati)», ben tratteggiato da Maria Laura Rodotà sulla «Stampa» di ieri, con il titolo programmatico: «Simone adesso basta». Tutte brave persone, per carità, che mai avrebbero desiderato la morte delle due ragazze (ma che non fossero mai esistite, forse sì). Sempre meglio dei sermoni impartiti non si sa bene dallâ??alto di quale magistero morale. Bacchettatori a borderò, impegnati a predicare misura, a deprecare lâ??eccesso di festeggiamenti per le liberate e il mancato ringraziamento a questo o a quello; a misurare a spanne quanta ideologia, quanto pacifismo, quanto sinistrismo sopravviva nelle sciagurate. In fondo, per questi neodomenicani in todâ??s, assai meglio le due avrebbero fatto a non salvarsi, ad accettare la gabbia e il martirio, piuttosto che ritornare sorridenti mostrando, orrore, quel pesante Corano grondante lacrime e sangue. E poi, quella frase maldestra e rivelatrice: condanniamo il terrorismo, non la resistenza. Gratta, gratta e sotto il pacifista spunta il terrorista. Parlano proprio come quellâ??altro che lâ??estate scorsa dichiarava: «I kamikaze sono tutti terroristi ma altri combattenti non lo sono. Non sopportano di essere occupati. Né io né nessun altro vorremmo essere al loro posto». Chi era questo mascalzone? George W. Bush nellâ??intervista a «Paris Match». Il più moderato è «Libero». Gli bastano le punizioni corporali. La redazione deve essere a Monaco, sopra una famosa birreria. Ogni tanto il direttore scende a farsi un boccale e a sentire quel che si dice in giro. Quando ritorna sostituisce la punteggiatura con sberle e calci nel sedere. Anche lui, lo sappiamo, non farebbe male a una mosca, ma davanti alle due Simone esce dai gangheri. Le imbecilli vogliono tornare in Iraq? «Se però finiranno di nuovo ostaggio di qualche banda, faremo il tifo per i banditi». Eh sì, il vecchio Adolf non aveva tutti i torti.
Infine, le preferivano morte, metaforicamente sâ??intende, gli allegri cantori del dio degli eserciti e dello scontro di civiltà. Pensate al loro sbriciolato castello di certezze. Prima, la linea dellâ??intransigenza. Con i tagliagole non si tratta. Niente riscatti. Il nostro ministro degli Esteri Frattini è uno tosto a differenza del suo molle collega francese Michel Barnier che per riavere i due giornalisti sâ??inginocchia in moschea e davanti alle belve di Hamas. Le preghiere interreligiose non salveranno mai nessuno. Le ragazze sono state uccise, sgozzate, stuprate, vendute ci hanno assicurato, ma il pacifismo moralmente ambiguo, pigro, accidioso, distratto questo non lo ammetterà mai. Tanto che il vicepremier italiano Fini propone di dichiarargli guerra (al pacifismo). E invece le ragazze tornano perché câ??è stato qualcosa di inaudito. Câ??è stata la trattativa. Il riscatto. Frattini che prega in moschea. Il dialogo interreligioso che riprende. Quando Giuliano Ferrara scrive: «Ci diranno che siamo lo specchio del nostro nemico, ma preferiamo ospitare lâ??opinione del dottor Zawahiri alla parola tiepida e infeconda, né sì né no», ci spiega con funesta onestà che la parabola dellâ??ostaggio liberato nutre la paura e il cedimento dellâ??Occidente. Perciò odiano le ragazze ritornate. Come biasimarle se vogliono tornare a Baghdad?
apadellaro@unita.it

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