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''Se il cronista e' sgradito al boss che lo minaccia, ripubblichiamo gli articoli''
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di Giulia Fresca

''Se il cronista e' sgradito al boss che lo minaccia, ripubblichiamo gli articoli''

Non è la prima volta e non sarà di certo l’ultima che un cronista divenga oggetto di minacce da parte di un esponente della ‘ndrangheta. Lavorare in Calabria e riportare, ad onor di cronaca, ciò che avviene nel mondo delle indagini contro l’antistato significa mettere a rischio, quotidianamente, non solo la propria vita ma anche quella dei familiari. E così, per l’ennesima volta, il cronista sgradito diviene destinatario delle minacce e questa volta, Leone Soriano, ritenuto dagli investigatori il capo dell'omonima cosca della 'ndrangheta di Filandari, nel vibonese, ha potuto scriverle in una lettera inviata dal carcere di Cosenza dove si trova detenuto. Destinatario è il giornalista Nicola Lopreiato, capo servizio della Gazzetta del Sud a Vibo Valentia. «Invece di rompere ogni giorno con la cosca Soriano, che non esiste e non è mai esistita - è scritto nella lettera - pensa di più alla tua famiglia che è meglio per tutti». «So che finirò in tribunale anche per questa lettera - ha scritto ancora Soriano - ma devi finirla di rompermi i .... Mi hai fatto passare per un morto di fame ma non lo sono. Ho vinto due milioni di euro al gratta e vinci ma non ti dico in che banca sono». Nella lettera, composta da due pagine, Soriano se la prende anche con esponenti delle forze dell'ordine ed ex amministratori comunali di Filandari.

I FATTI. Era il 24 novembre scorso quando dieci persone sono state sottoposte a fermo di indiziato di delitto, dai Carabinieri del Comando Provinciale di Vibo Valentia. Le persone raggiunte dal provvedimento emesso dalla Dda di Catanzaro, sono presunti esponenti del clan mafioso dei Soriano di Filandari in provincia di Vibo Valentia e sono accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento, minaccia, incendio, detenzione e porto abusivo di armi e di esplosivi, aggravati dalle modalità mafiose, commessi ai danni di numerosi imprenditori ed anche di alcuni giornalisti, in un arco temporale compreso tra il 2007 e la data odierna. Pesanti intimidazioni compiute tra gli altri ad Angela Napoli di Fli e ancora più pesanti a quattro carabinieri che prestavano servizio nella zona di Filandari; ad uno fu bruciata la vettura, ad altri due spararono colpi di pistola contro l’abitazione e l’automobile e ad un altro fu recapitata una lettera a casa. L'operazione del novembre 2011, conclude un’indagine avviata nel 2010 dalla Compagnia di Vibo Valentia, che ha permesso di disarticolare la suddetta associazione di tipo mafioso.

Gli indiziati, secondo l’accusa, facevano parte della cosca Soriano, commettendo estorsioni, danneggiamenti, al fine di acquisire il controllo, anche indiretto, o la gestione, di attività economiche, in particolare di attività imprenditoriali nel campo dell’edilizia e del movimento terra e simili. La cosca imponeva, inoltre, prestazioni e forniture in regime di monopolio, specie nel campo dell’edilizia e del movimento terra. Il gruppo, inoltre avrebbe avuto disponibilità di armi ed esplosivi.

Tra le persone sottoposte a fermo c’erano Leone Soriano, 45 anni; Carmelo Soriano di 49; Carmelo Giuseppe Soriano di 20; Francesco Parrotta, di 28; Giuseppe Soriano, di 20; Antonio Carà di 18; Graziella D’Ambrosio di 41; Graziella Silipigni di 40; Gaetano Soriano di 47; Fabio Buttafuoco, di 22. Soriano e Gaetano Leone, sono indicati come organizzatori; Buttafuoco, Carà, Parrotta sarebbero esecutori. Gli altri sarebbero stati esecutori e soggetti di raccordo tra i dirigenti e gli esecutori. E tra le persone fermate dai Carabinieri nell’ambito dell’operazione «Ragno» figurano due donne: Graziella Silipigni, moglie di Roberto Soriano, scomparso per lupara bianca, e Graziella D’Ambrosio, moglie di Gaetano Soriano. Secondo gli inquirenti, quando i mariti erano in carcere o erano assenti per altre ragioni, erano loro a sostituirli ed a fare le loro veci. Ecco che a scrivere di queste azioni, i giornalisti calabresi continuano a trovarsi in condizioni di pericolo costante e tra i destinatari di telefonate e lettere intimidatorie ci sarebbero la deputata di Fli Angela Napoli, un giornalista di Calabria Ora, Pietro Comito, uno della Gazzetta del Sud, Nicola Lopreiato che ha ricevuto il rinnovato “invito” a tacere.

Mentre il Comitato di redazione della Gazzetta del Sud, in una nota, esprime «la più totale vicinanza al collega Nicola Lopreiato, per le vili minacce delle quali è stato fatto oggetto in una lettera inviata dal carcere di Cosenza da parte di Leone Soriano- ribadisce come -i toni della lettera e l'inquietante riferimento alla famiglia, tratti distintivi del linguaggio della 'ndrangheta, non spaventano un collega che dell'onestà intellettuale ha fatto una bandiera della propria professione in un contesto difficile come quello calabrese, ma devono mettere in guardia sui rischi che a certe latitudini comporta semplicemente fare il proprio mestiere di cronista senza omissioni o fiancheggiamenti». Anche il Presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti esprime solidarietà al giornalista «ben consapevole di quanto sia difficile fare informazione su questo territorio». Ma le parole non bastano più in una terra come la Calabria dove a denunciare sono sempre i soliti e sempre di meno. In Italia sono stati oltre 250 i giornalisti vittime di minacce e gravi abusi, la maggior parte concentrati in poche regioni del mezzogiorno d’Italia.

Il portavoce di Articolo21, Giuseppe Giulietti, in virtù di questo ennesimo episodio che ha colpito un cronista con l’aggravante che la lettera di minacce è partita direttamente dall’interno del carcere dove Soriano è detenuto, ha proposto di ripubblicare tutti gli articoli sgraditi al boss. Con questo contributo si accoglie l’invito ricordando i motivi che hanno portato al suo arresto, ma soprattutto si pone l’accento a non dimenticare che la Calabria è terra di trincea che non riconosce, né piange, i suoi eroi.


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