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Articolo 21 - Editoriali
Le Banche, i politici e la legge dimenticata
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di Giulio Anselmi

da La Repubblica

IL CIRCO mediatico-economico rimette in scena il risparmio tradito. Merito dell'udienza preliminare del processo Parmalat dedicata alle costituzioni di parte civile, lo strumento procedurale con cui molti cittadini beffati dai titoli della società di Tanzi sperano di recuperare qualche briciola del loro denaro. E merito anche del presidente della Camera Casini che, venerdì scorso, ha condannato senza mezzi termini la vicenda del disegno di legge, impostato in fretta e furia sull'onda dell'indignazione popolare per impedire nuovi colossali raggiri, e poi rimasto impantanato in Parlamento: "Una storia che non fa onore alla politica e indebolisce la credibilità del Paese".
� francamente difficile dare torto alla gente che ieri protestava davanti al tribunale di Milano inalberando cartelli che gridavano rabbia. � passato quasi un anno da quando lo scandalo parmigiano accese i riflettori sull'ambiguità dei rapporti banca-impresa, sulle responsabilità degli intermediari, sull'inefficacia dei controlli interni ed esterni, sindaci, revisori, autorità di controllo. Ma il dibattito sulle regole si è ripetutamente incagliato, trasformandosi in uno scontro di potere tra i fautori della Banca d'Italia e i partigiani di Tremonti, in un regolamento di conti tra l'ex ministro e il governatore Fazio. Tra un emendamento e l'altro, di mediazione in mediazione, si sono persi di vista gli interessi del sistema e i diritti dei cittadini. Il disegno di legge governativo prevedeva tre grandi controllori, quello per il risparmio (attuale Consob potenziata), l'Antitrust e la Banca d'Italia ridimensionata, anche per il termine posto alla carica, attualmente a vita, del suo capo. Si parlò addirittura di introdurre un improbabile reato di "nocumento al risparmio". Ma i poteri di Fazio, protetto da un ampio partito trasversale, e le sanzioni per il falso in bilancio sono state lo scoglio contro cui la riforma si è arenata. Alla faccia di tanti proclami su trasparenza e concorrenza. A luglio la sensibilità della maggioranza (e di buona parte dell'opposizione) è andata in ferie: forse i masanielli del risparmio ritenevano che la demagogia con cui avevano risposto al furore dei 135mila truffati bastasse a fare giustizia e a riacquistare la fiducia dei mercati. La politica non ha l'esclusiva della distrazione. La nuova Confindustria di Montezemolo, dopo avere sottolineato l'urgenza della tutela dei risparmiatori fin dai giorni dell'insediamento, si è concentrata su un nuovo progetto per l'Italia, che deve riacquistare capacità di competere e saper guardare al futuro. Ma formulazioni come "spirito di squadra", "fare sistema", "nuovo patto sociale" acquistano credibilità e concretezza se i cittadini le sentono calare dal livello degli slogan a quello della loro realtà. Gli istituti di credito, cui la crisi della grande industria e la frenata dell'export dà un potere inusitato nella storia di un paese mai così bancocentrico, sembra che considerino la grande buriana alle spalle. Ma sbagliano. E anche nel sistema bancario italiano si avverte un profondo bisogno di rinnovamento. Non c'è da meravigliarsi che interessi contrastanti, politicamente rappresentati, si diano battaglia per ottenere norme più favorevoli; anche negli Usa ci si scontra sulla corporate governance e la Sec, la Consob americana, ben altrimenti incisiva della nostra, è stata messa sotto attacco dal governo Bush. Ma lascia attoniti che da noi l'unico tentativo di regolamentazione sia lasciato alla magistratura (salvo poi accusarla di indebite interferenze).
Come prima, più di prima le normative italiane (per esempio sull'informazione ai risparmiatori attraverso i prospetti) possono essere tranquillamente aggirate, le responsabilità degli amministratori blandamente punite: all'insegna dell'opacità e dell'indifferenza per gli interessi generali. Il ministro dell'Economia Siniscalco, sollecitato da Casini, non ha potuto far finta di nulla, ma ha dato assicurazioni assai blande: "Riprenderemo il discorso con l'obiettivo di concluderlo consensualmente in tempi ragionevoli". D'altra parte, che fretta c'è? La giustizia, come si dice, segue il suo corso. E le vittime di Parmalat - e poi di Cirio e delle obbligazioni argentine - in mancanza di class action (cause collettive) hanno cominciato a fare la fila, uno ad uno, con la propria azione per danni. Ieri erano cinquemila, domani chissà.

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