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Articolo 21 - Editoriali
Uno, due.. cento Cattaneo
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di Stefano Munafò*

*editorialista .com
La Rai diventerà sempre più il fantasma di unâ??impresa

Non è solo una mia idea fissa. Ma la Rai di oggi può essere soprattutto raccontata attraverso i paradossi. E questo, è l'ennesimo. Considerato l'andazzo delle cose, sarebbe a questo punto opportuno che il dg  Flavio Cattaneo  sopravvivesse a se stesso e alla durata dell'attuale Cda monocolore. Sarebbe opportuno (anche se non auspicabile), solo per un motivo. Perché così potremmo misurare l'esito di alcuni gesti imprenditoriale e imputarli direttamente alla responsabilità dell'autore principale, prima che, dal sistema politico, venga "gratificato" altrove.
Alludo, prima di tutto, a quello che probabilmente sarà il mancato decollo Rai nel sistema digitale. Ma anche alle conseguenze di un ingresso quantomeno facilone e avventuroso in Borsa, senza neppure fare in tempo a separare gli introiti da canone da quelli da pubblicità. Alludo alle difficoltà dei bilanci futuri che ci saranno, se si vorrà investire su nuovi contenuti. Sfori nei bilanci e aumenti dei costi diventeranno infatti inevitabili anche per un sistema digitale di nicchia. A meno che non si voglia, come sempre, ricorrere ad ulteriori aumenti del canone. Questa volta, col nuovo paradosso degli abbonati costretti a sovvenzionare gli azionisti e i dividendi (semmai ci saranno) di Borsa. Alludo, ancora all'elefantiasi burocratica e ministeriale che sarà dilagante, non appena tutte le caselle, le deleghe e le funzioni di decine e decine di nomine del maggio scorso, andranno a regime. Altro che struttura più agile ed efficiente. La Rai è sulla via di una grande ministerializzazione.

Ora, nonostante la portata di questi problemi, il dg brianzolo ha ritenuto opportuno di aprire un ulteriore fronte sul terreno delicato della fiction. Una serie di misure che .com e l'insieme della stampa hanno giustamente definite come una sorta di commissariamento di Agostino Saccà, attuale direttore di Rai-Fiction. I giornali ne hanno dato soprattutto una versione riconducibile a un conflitto tra persone. E ' evidente che in Rai  si sia aperto uno scontro dentro l'attuale gruppo dirigente. Un conflitto aspro e sordo che vede contrapposti dirigenti del Polo a dirigenti del Polo. Una parte della Rai di destra, che non si riconosce più nel dg, perché tanti avvenimenti lo fanno apparire con le sembianze di un "visitor", estraneo al pianeta Rai, al patriottismo d'azienda e alle consuetudini aziendali, che non sono tutte da buttare. E una parte di dirigenti "new-entries", con vari acquisiti e affiliati che spalleggiano Cattaneo nel suo disdegno tutto brianzolo, e a volte con tratteggi provinciali, della mentalità camaleontica e un po' cinica del vecchio partito Rai. Insomma, per mettere Saccà sotto controllo, si imbrigliano in lacci e lacciuoli tutti i procedimenti della fiction.
Ma c'è anche un aspetto più grave. Accanto alle restrizioni sui contratti, la tempistica assurda, le modalità e le informative obbligate, nei processi della fiction (tutte richieste che appesantiscono e ritardano oltre misura ogni decisione, polverizzando le varie responsabilità. Pensate, che solo di tanto in tanto, il Cda avrà modo di sindacare tutti questi atti dovuti), accanto a tutto questo spicca una perla, come dire, di carattere editoriale. Dall'alto del possesso esclusivo di alcune delle virtù teologali, il Cda (non si sa se su ispirazione di Cattaneo) ha sancito che nella produzione di fiction, i formati brevi non possono superare il limite del 30% del budget e che il restante 70% debba essere destinato alla lunga serialità.

Ora i formati della fiction non sono solo entità numeriche astratte e percentuali. Dipendono anche dalla bontà delle idee e delle proposte esterne, dalle caratteristiche degli autori, dalle tradizioni specialistiche, dalle carenze o dall'inventiva dei produttori e dell'industria esterna e da quello che si definisce il mercato. Oltre che ovviamente, dalle capacità dei network nel recepire, nel selezionare e nel trasformare in linee editoriali più o meno coerenti e incisive questo pluralismo di proposte e di progetti. Un magma, se volete, di idee di racconto e di possibilità economiche, come in una grande casa editrice.

Certo, il mercato può anche essere indirizzato. Ma senza velleitarismi astratti, che sottovalutino le sue caratteristiche e le sue potenzialità reali. In Italia, è stato solo negli ultimi cinque o sei anni (il tutto è partito, con il Posto al sole di Giovanni Minoli), che si è tentato nella fiction un ricorso sistematico ma graduale ai seriali lunghi, che non appartenevano alla nostra tradizione (parlo delle serie di almeno 26 episodi per volta). Questi seriali lunghi richiedono infatti un particolare know-how e particolari requisiti ai soggettisti, agli sceneggiatori, ai tecnici e persino particolari dimensioni di solidità e possibilità di investimento alle varie case di produzione esterne.
La dimensione artigianale (o da industria allo stato nascente, come quella italiana) mentre garantisce ricchezza di inventiva e di originalità nei racconti brevi, non è in grado di assicurare una scala industriale stabile, continuativa e di livello nei processi di standardizzazione industriale (ed anche estetica), che sono invece il presupposto necessario per la lunga serialità. Insomma realizzare Dallas o Beautiful, o più modestamente Medico in famiglia o Distretto di polizia, può essere molto, molto più difficile che fare una miniserie su Padre  Pio . E non è un caso, che sia Mediaset che Rai, abbiano fallito nella realizzazione di alcuni seriali lunghi.

Ma a parte tutto questo, il pubblico televisivo italiano (e quello europeo) non tollera più di tanto "i racconti senza fine". Perché non sembra apprezzare le forme eccessive di ripetitività e di standardizzazione estetiche che li accompagnano. Questo vale, soprattutto per il prime-time, e riguarda anche (con alcune eccezioni) la serialità lunga americana (che infatti viene usata in particolare il pomeriggio o nelle reti minori). Anche se di gran lunga più attraente e meglio costruita (e costosa), rispetto alla nostra e a quella europea in genere.

Negli ultimi anni, la tv spagnola, e in particolare Telecinco, ha tentato di dare un privilegio assoluto ai seriali lunghi, per ragioni di costo. Ha conseguito così il primato della fiction europea meno costosa. Ma, inesorabilmente, la fiction spagnola (dopo l'esperienza eccezionale di Medico di famiglia), è cominciata a scomparire dal prime-time, perché rifiutata dal grande pubblico.

Quando a Mediaset,  Maurizio Carlotti , che proveniva dall'esperienza spagnola, cercò di serializzare al massimo tutta la fiction, naufragò nel suo intento (anche dopo il flop di "Giornalisti". Ma anche la Rai, nelle serie lunghe, ha subito flop preoccupanti). E i più accorti  Costanzo  e  Pace  furono subito contenti di ritornare alla "via italiana" aperta inizialmente dall'azienda pubblica: un mix sapiente di pochi seriali lunghi (da scegliere e avviare con grandissima cura, soprattutto nella fase della scrittura) e di formati brevi, "serie all'italiana" e miniserie in due puntate (che hanno fatto la gloria della fiction italiana sin dagli anni 60), attraverso le quali raccogliere il meglio dell'artigianato italiano e della lunga scuola del cinema, nella versione del neorealismo, della commedia e delle grandi rievocazioni storiche.

Insomma, i canoni estetici e i formati dipendono anche dal peso delle tradizioni, delle caratteristiche sedimentate dell'industria culturale esterna alla Rai. Il Cda e il dg difficilmente riusciranno a imporre una nuova estetica, con burocratiche delibere. Per quale ragione, poi, farlo? Si dice, per i costi. Ma con la sola eccezione della Spagna (e con i risutati negativi, sopra accennati) i costi medi della fiction italiana (e in particolare della Rai) sono già i più bassi d'Europa. Si consultino le ricerche preziose dell'Osservatorio italiano ed europeo sulla fiction e le analisi puntuali di Milly Buonanno.
Né si può trascurare che la fiction in questi anni ha svolto una essenziale funzione di supplenza nel prime-time della Rai, nei confronti della carenza di film competitivi e soprattutto della crisi del varietà della Rai. Settore in cui l'azienda (salvo alcune eccezioni) non è riuscita stabilmente a ottimizzare costi e ascolti, come invece è avvenuto a Mediaset. Non si spiegherebbero altrimenti, anche in questo periodo, i quattro giorni a settimana, che solo il prime time di Rai Uno affida alla fiction, senza valutare le collocazioni di Rai Due e di Rai Tre.

Il Cda della Rai può avere alcune buone ragioni nel difendere le sue prerogative, essenziali per la firma dei contratti. Ma la strada non è quella di andare verso il ministero, ma verso il mercato. E resta misteriosa la contraddizione delle lingue, mentre l'attuale dirigenza parla a pie' sospinto di privatizzazione e di ingresso in Borsa. Nella fiction italiana, la Rai aveva in questi anni realizzato un piccolo miracolo di proiezione verso l'industria.

Ora, questa Rai kafkiana, disegnata dalle architetture vetero-burocratiche di Cattaneo, non ne è più capace? E' allora preferibile che la fiction venga inglobata (secondo un vecchio progetto, a cui ironia della sorte, proprio Saccà come ex dg si era opposto) in Rai-Cinema, che ha le forme ottimali e gode delle procedure di una società autonoma. Una società in grado di rispondere con efficienza e responsabilità alle logiche e ai tempi del mercato esterno. Dove, in definitiva, fiction e cinema insieme, trovano origine. E nel cui contesto film e serie tv vengono sempre realizzate.
I nuovi tempi della "burocrazia celeste" dell'azienda pubblica rischiano infatti di affossare uno dei pochi settori della Rai intrecciato con l'industria esterna italiana. Non appena Mediaset, dopo l'avvio del digitale, ritornerà a dare spinta e privilegio all'investimento sui contenuti, statene certi, la Rai sarà surclassata in tutte le decisioni di mercato che contano. E, nel campo della fiction, le saranno sottratte (anche per via della velocità delle decisioni) le idee migliori, gli autori, gli sceneggiatori, i registi, i tecnici e le star di maggiore talento.

Il dg della Rai la pensa diversamente? Auguri.
Uno, due.. cento Cattaneo (tanti saranno all'incirca, tra poco, i dirigenti da lui nominati. Roba da farci un'azienda nuova di zecca, da un'altra parte) e la Rai è destinata a diventare un'impresa del "vorrei ma non posso". Un'azienda che ha accarezzato il sogno della Borsa. Ma era diventata troppo vecchia e sclerotica, per realizzarlo seriamente.

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