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Articolo 21 - Editoriali
Lâ??Isola degli Imbrogli
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di Maurizio Chierici


da L'Unità

Lâ??operazione lavacervello sta dando buoni risultati. Dieci anni di lotta all'ultima pattumiera - Rai che insegue Mediaset nel niente - hanno plastificato l'attenzione dei telespettatori. Guardano, ma non pensano. Sono come bosniaci, tunisini e albanesi degli anni Novanta. Cercano metaforicamente di attraversare il mare per allungare le mani sui quiz che regalano soldi. Alle volte non sono neanche indovinelli: ti pago se fai lo scemo da Bonolis o nel Grande Fratello. Nel suo «buongiorno» Massimo Granellini si amareggiava sulla «Stampa» perché tre prime visioni di film di lusso («Ti presento ai miei» con De Niro, «A beautiful mind», emozione di un grande matematico schizofrenico e il colossale «Pearl Harbour») hanno messo assieme 4 milioni di spettatori, umiliati dagli ascolti delle piccole Las Vegas distribuite nei canali concorrenti. Ma la notizia di ieri è che «L'isola dei famosi» si è mangiata da sola tutti i film, più ogni fratello berlusconiano e una piccola Slovenia-Italia. Neanche il pallone riesce a stare a galla. Otto milioni di italiani incantati nei momenti di punta; cinque milioni quando l'attenzione si rilassa. Possibile ?
Guardare per credere. Litigiosi, lamentosi come prevede ogni «Isola dei famosi», russa, colombiana o argentina. Copioni calibrati da inventori anglosassoni. Cambiano solo lingua e facce, non i caratteri e neanche le malattie anche se una certa libertà viene concessa alle diarree o alle zanzare del set. Ma è pur sempre un reality show, non girato fra le cartapeste delle case Mediaset. Mangrovie e palme; dormire sotto le stelle e pescare ciò che serve per sopravvivere alla prova infernale. Il canale 112 di Sky li segue ogni giorno, per ore, con la tenacia di un salva vita. Senza contare il brivido della diretta di una Simona Ventura immersa nell'antologia delle peripezie affrontate dal primo minuto fino a ieri. Domani continua. Chissà quale emozione avvolge la leggendaria signora di Voghera o il pensionato di Otranto nell'assistere al salvataggio di una farfalla da parte della famosa in bikini, che non dimagrisce malgrado non riesca a pescare nemmeno un girino da metter sotto i denti.
Spunta il controcampo di un sociologo argentino che ha attraversato in questi giorni la Repubblica Domenicana, isolone diviso in due Paesi: l'Haiti degli affamati è l'altra realtà. Il suo racconto sgualcisce le avventure. Prima di tutto la spiaggia dei famosi non è un isolotto: solo l'angolo di un parco nazionale, cocuzzoli verdi nella penisola di Samanà, palme e mangrovie, panorama che ha incantato lo sbarco di Colombo. Ma Samanà è un parco protetto con una certa noncuranza. La capitale è lontana e San Francisco de Macoris, un posto a due passi, a suo modo è un'altra capitale: della mafia domenicana, si dice. Basta pagare e danno volentieri una mano. Anche il ministero del turismo ha chiuso un occhio permettendo la nascita di tanti piccoli set dove Mosca, Bogotà, Buenos Aires e Roma portano i loro famosi invitandoli a giocare a Robinson Crusoe. Una volta c'erano anche Spagna e Stati Uniti. La Francia ne era tentata, ma il crollo degli ascolti ha frenato gli entusiasmi. Gli italiani non mollano le imprese intelligenti. Il set Rai è più appartato dei set russo-latino americani. Il villaggio turistico dove alloggiano gli accompagnatori e le troupe tricolori si trova dall'altra parte di uno stretto braccio di mare, dirimpetto alla spiaggia delle recite: trenta minuti in barca, dieci in elicottero. Ogni italico concorrente (all'inizio erano 12) è garantito dalla presenza di dieci persone incaricate di vegliare su di lui. Aspettano attorno alla piscina dell'albergo.
Certo che l'inizio dell'avventura sembrava proprio un'avventura. Concorrenti buttati in mare dall'elicottero come marines in missione segreta. Per fortuna che appena mettono piede sulla spiaggia il destino consola la loro sete con noci di cocco sparse nella sabbia e miracolosamente aperte da qualche angelo custode. Per farli dormire sono state attrezzate delle grotte ed è lo scandalo che si cerca di soffocare a Santo Domingo. Prefabbricati cementati e mai rimossi (pensando alla prossima troupe) fra le pareti di antri che sembrano cattedrali coperte da incisioni e affreschi precolombiani Tainos, con patrimoni dell'umanità da proteggere come la grotta di Altamira in Spagna o la Raimondi nel Salento. Invece è diventata suite e palcoscenico dei grandi fratelli in trasferta. I pugliesi si arrabbierebbero, ma a Santo Domingo la corruzione rientrava nei protocolli del governo Balaguer; morto il grande vecchio gli eredi ne continuano potere e costume.
Se la noia dei momenti di recita non collegata deve pesare, per il cibo ci si arrangia in tanti modi. Bisogna dire la verità: vita più facile per i concorrenti russo-colombiani i cui assistenti sono alloggiati a Cabo Levantado, che è l'isola delle vacanze e dei week end dove forse soggiornano gli uomini macchina della spedizione italiana (il sociologo argentino non era interessato a saperlo). Lance di vigilantes arrivati da San Francisco de Marcoris impediscono che nei giorni di festa l'onda dei pic nic disturbi il set italiano, teoricamente «alla fine del mondo». Ma è difficile frenare i pescatori vagabondi abituati ad arrivare dove vogliono arrivare. Accendono i fuochi su ogni striscia di sabbia per abbrustolire il loro pesce. I turisti lo sanno e li inseguono nei posti sperduti. Forse anche i Crusoe italiani ne approfittano. Russi e argentini tornano a casa con qualche chilo in più. La vicinanza a dieci paesini seminati attorno ai loro set permette pranzi succulenti: arrosti di polli e conigli selvatici. I contadini che scivolano nella foresta con le pentole raccontano con meraviglia di appetiti che alla loro parsimonia sembrano pantagruelici.
Italiani più appartati e in un certo senso più votati a mimare l'avventura. Come una leggenda si ricorda l'impresa di Pappalardo, protagonista delle prime recite. Aveva comprato dai bracconieri (e fornitori di cibo clandestino) un'iguana alla quale avevano tagliato gli artigli col machete per permettere all'attore di fare la sua figura in Tv con la povera bestia avvolta attorno al collo. Che è morta appena rimessa in libertà: senza le unghie, come nutrirsi e difendersi dai nemici della foresta? A suo tempo se ne è scandalizzato l'Icei, fondata a Milano da Michele Achilli. Non molto lontano dal set dove giocano gli italiani, a Las Galeras, appoggiata alla Comunità di san Benedetto di don Gallo, prete del porto di Genova, Alfredo Somoza dell'Icei sviluppa assieme all'Onu un programma di ecoturismo per la protezione della fauna in estinzione. Le iguane stanno sparendo. Sacrificarne una per le riprese di uno spettacolino è parso un sacrilegio.

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