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Ma il presidente Monti confonde il caviale con il dado vegetale?
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di Ottavio Olita

Ma il presidente Monti confonde il caviale con il dado vegetale?

Se mangi solitamente caviale è difficile immaginare che ci sono tanti che quotidianamente devono arrangiarsi con pane asciutto e minestrina di dado vegetale; così come se hai davanti a te l’immagine che il mondo del lavoro del tuo Paese è fatto di belle imprese rispettose dei diritti dei lavoratori, di banchieri che non strozzano i loro clienti, di possibilità di impiego che si aprono facilmente per i giovani, ti viene il sospetto che gli operai che sbattono i caschi sull’asfalto, disperati per la chiusura delle loro fabbriche, chiedano soltanto sussidi di sopravvivenza e non, veramente, lavoro.

Al Presidente del Consiglio Monti – al quale non mi rivolgo direttamente perché non so per certo se appartenga a qualcuna delle categorie di privilegiati elencate – che mi ha sorpreso e profondamente deluso per la sua esternazione su giovani e articolo 18 fatta, guarda caso, in uno studio di Mediaset, vorrei dare innanzi tutto un suggerimento: si riguardi la registrazione dello scontro verbale avvenuto nella trasmissione di Santoro (si capisce giorno dopo giorno, sempre più, la condanna all’esilio dalla Rai del giornalista, delle sue idee, della sua squadra) tra l’operaio e l’ex ministro e vice ministro Castelli. In tanti si sono stracciati le vesti contro quell’operaio dell’Eurallumina, Antonello – tenace, passionale, coraggioso –, e il suo turpiloquio verso il politico che con un ‘coup de théatre’ degno di ben altra causa ha abbandonato una situazione nella quale non c’era e non poteva esserci il ‘bon ton’ dei salotti romani o di Vespa. Dopo aver ascoltato i due protagonisti, anche nella distanza abissale della partecipazione e dei toni, Monti si interroghi se nell’Italia di oggi il problema principale sia la ricerca del ‘posto fisso’; e - se proprio dovesse ritenere prioritario porre questo problema -, si chieda a quale di quei due personaggi si sarebbe meglio applicata la sua valutazione: all’operaio disperato che combatte per non perdere il lavoro che ama e nel quale si è specializzato, o al politico di lungo corso che farà di tutto per non abbandonare mai la tanto deprecata – a parole – ‘cadrega’ romana, alla quale è incollato perché, lui sì, ha il ‘posto fisso’ ed è proprio quello?

Serio, competente, misurato, così come tutto il suo governo, e in più, di suo, ironico, Mario Monti ha tradito un’approssimazione preoccupante. Non conosco la sua famiglia e non so se i componenti più giovani perseguano l’obiettivo da lui indicato come ‘monotono’ e noioso. Conosco però la condizione umana dei miei tre figli che non trovano lavoro – né fisso, né precario, caro Presidente – e so cosa vuol dire l’inutile o lunghissima e frustrante attesa di risposte all’invio di curricola ad un numero incalcolabile di destinatari. E’ anche questa loro condizione di assoluta incertezza che condiziona la mia iperprotettività nei loro confronti e se loro sono in parte ‘bamboccioni’, come nell’infelice espressione di un altro grande tecnico, economista come SuperMario, per buona parte è colpa del mio senso di responsabilità di cittadino che non ha saputo costruire un Paese migliore, relativamente alle garanzie di lavoro, rispetto a quello ricevuto dai propri genitori. Io non ci sono riuscito, come tanti altri cittadini impegnati per migliorare la Repubblica e la democrazia; per fortuna ha saputo supplire il Sindacato, tutto il Sindacato, senza divisioni per sigle. Ecco perché non può essere definita ‘perniciosa’ una misura di tutela come l’art. 18. Almeno fino a quando non sarò costruito uno Stato di garanzie vere, quelle contenute nella Costituzione e mai applicate. Senza queste condizioni, caro Presidente Monti, vale ancora – purtroppo – quella straordinaria raccomandazione televisiva fatta dal suo indimenticabile predecessore in risposta ad una ragazza che chiedeva garanzie per il  futuro: “Si cerchi un marito ricco”.

Così come in assenza di un efficiente apparato antitrust e di norme serie che combattano i tanti conflitti di interesse, come si può pensare a nuove privatizzazioni – penso, ad esempio, quella della Rai – avendo la certezza che non ci sarà l’accaparramento da parte del solito noto?
    Brutta sensazione, quella che l’attuale inquilino di Palazzo Chigi possa avere qualcosa in comune con chi l’ha preceduto. Parlo di idee sulla società, sulla cultura, sulla finanza, sulla politica. Ecco perché proprio in questo momento di emergenza nazionale, di difesa del bene collettivo, è sbagliato non mettere in campo, subito, forti programmi e progetti per il dopo Monti. Ma davvero crediamo che l’operazione ‘tecnica’ indicata per tirarci fuori dal fallimento possa essere definitiva? E quante volte, se non si ridiscute oggi di  sviluppo, lavoro, finanza saremo costretti a chiamare al capezzale del Paese di nuovo i tecnici perché il malato vero, il liberismo incontrollato, frutto di un captalismo malato ed egoistico, non viene curato con medicine efficaci, ma gli si prescrivono dei placebo per fargli superare i momenti di maggior crisi?
    L’impressione è invece, ancora una volta, che si cercherà di arrivare alle prossime elezioni per contarsi, e basta. Anche le primarie, se non saranno utilizzate per affrontare le questioni, ma serviranno solo per contrapposizioni nominalistiche, saranno occasioni perse.

Il rischio è un progressivo disamore per la politica, come i sondaggi regolari continuano a testimoniare. E la politica rischierà di non essere più ascoltata proprio quando la sua presenza sarà indispensabile, quando l’incontrollato strapotere del capitale e dell’impresa condizionerà il mondo del lavoro per ridurgli sempre più il terreno delle garanzie e dei diritti. Esempi ce ne sono già stati. Se chi governerà il Paese avrà la stessa formazione economica, culturale e politica ci sarà ben poco da fare e il sogno sarà sempre più un posto di lavoro, purché sia, altro che ‘posto fisso’, caro professor Monti.
   

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