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Maxiaffissioni
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di Lidia Panzeri

Maxiaffissioni

L’emergenza carceri come prioritaria rispetto alla salvaguardia  del nostro patrimonio artistico: così il governo Monti ha devoluto al primo settore i fondi, una volta destinati al secondo. L’ 8%mille valutato intorno ai 4.5 milioni di euro. Necessario e giusto intervenire sullo scandalo delle nostre carceri, ma esiziale la somma tolta alla conservazione e gestione dei beni culturali. A compenso, nella prossima dichiarazione dei redditi, si potranno devolvere ai beni ambientali  la quota del 5% mille che prima non rientrava nelle indicazioni possibile. Ma è un compenso fragile.  Già da anni prenotato da associazioni culturali di vario tipo e , soprattutto, dalla variegata galassia delle varie onlus dedite al volontariato.
Risorse per i restauri sempre più assottigliate per i beni culturali. e se le mostre possono aspettare, anzi una buona cura dimagrante può essere un bene, procrastinare i restauri può mettere in forse la stessa sopravvivenza del bene. Pompei con i suoi crolli parla chiaro.
Per non dire delle casse esauste dei comuni, impotenti  a far fronte alle necessità. Da qui l’invocazione ai privati. Specie nel caso, frequente, in cui si paventino pericolo di crolli con pericolo  per la stessa incolumità di cittadini o turisti. Un’urgenza che indebolisce la capacità contrattuale del committente pubblico nei confronti dello   sponsor. Come nel caso delle  maxifissioni che interessano un punto nevralgico della nostra storia culturale: piazza San Marco a Venezia. Affidate dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali e Paesaggistici, senza gara, con un contratto settennale,   tuttora in corso, per un importo di 3milioni e 600.000 alla società inglese Remedia  (con sede a Floriana di Malta) e all’Italiana Gerso.  La mancanza di una gara, la durata del contratto , l’esiguità del compenso sono le obiezioni mosse da un’indagine tutta interna al ministero che ha preso atto della mancanza, sul punto, di una legislazione chiara che dia indicazioni e limiti precisi. Obiezioni simili , ma di diversa fonte, quella dell’Autorità Antitrust , a quelle sollevate per l’accordo stipulato, per il Colosseo,  con Diego Della Valle. Quest’ ultimo, come è noto, viste le polemiche, si è riservato di recedere dall’impegno già preso.
Poi c’è il problema della visibilità. Ovvero delle maxiaffisioni che coprono (o dovrebbero coprire visto che in qualche caso sotto il cartellone niente) i restauri in corso sui monumenti pubblici. Spesso di cattivo gusto e tale da offendere l’immagine di luoghi deputati nei centri storici, con prese di posizioni anche clamorose, che hanno avuto e hanno tuttora come epicentro sempre piazza San Marco a Venezia.
Un’intollerabile offesa all’immagine della città,  la città immagine per antonomasia.
Problema ampiamente enfatizzato, trascurando altri problemi che segnano la vita di un centro storico, visto che se un negozio di buon artigianato locale o di alimentari si trasforma nell’ennesimo bazar di cianfrusaglie turistiche, l’immagine si altera, eccome,  ma,  a differenza dei cartelloni, in modo permanente.
Venezia con le maxi affissioni che hanno coperto il Ponte dei Sospiri, parte di Palazzo Ducale, che dominano la Piazza,  è un problema clamoroso ma proprio per la sua immediata evidenza permette di vedere e capire il problema dei molti, straordinari centri storici, di siti archeologici o monumentali che popolano il nostro paese.  Da molte fonti ministeriali  si invoca, ormai da anni, una regolamentazione  rimasta   finora lettera morta. Sembra, comunque,  che il governo Monti stia preparando un decreto, soprattutto per quanto riguarda la normativa e l’aspetto economico, ovvero   quello sostanziale del problema. OK Il prezzo, finora, non è giusto. Preso per la gola la Soprintendenza ha accettato  dimensioni e tempi smisurati per non fare andare in malora il monumento ma il prezzo anche visivo che ha dovuto pagare è stato alto, molto alto. Occorre rimediare. Lo chiede il buon senso,  l’ opinione pubblica, la sua sensibilità.
Ovviamente occorre intervenire con la consapevolezza che non abbiamo tutti i soldi necessari per difendere i nostri monumenti, ma anche che è necessario mettere dei punti precisi, attenti a non buttare il bambino insieme all’acqua, ma anche a non scottare il bambino con l’ acqua troppo calda. Non possiamo disperdere le già assottigliate file dei possibili sponsors. Perché se l’anno horribilis , in questo campo, è stato il 2009, non è che il 2012 si presenti tanto meglio.  L’ equilibrio va trovato sottraendolo alla casualità. Il Ministero dei Beni culturali ha bisogno di abili restauratori, ma anche di abili negoziatori.
Certo esistono sempre i russi e gli emiri ai quali il governo inglese si dice disposto a vendere la casa del Parlamento con relativo e inclinato Big Ben  che guarda verso il Tamigi con la forza di gravità che lo spinge giù. Visto che è antieconomico mettere mano al restauro che richiede una cifra cospicua (un miliardo di sterline) che è più o meno l’ equivalente del valore dell’immobile è disponibile a venderlo ai cinesi o chi abbia gli assegni pronti per pagarlo. E pazienza se questo è considerato la culla della democrazia occidentale.  Beh! Noi non saremo intelligenti come gli inglesi ma non vorremmo vendere i nostri monumenti, le pietre che segnano la nostra storia. Capiamo che abbiamo bisogno del contributo dei privati, che loro, anche se non sono molti,  sono disponibili a mettere soldi se hanno un ritorno di immagine, ma capiamo anche che la situazione va regolata, in modo chiaro e comprensibile. Nell’ interesse di tutti, anche degli stessi sponsor che quando si muovono in modo greve suscitano una reazione che non torna utile neanche a loro.


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