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Per favore non sparate sulla Cassazione
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di Domenico Gallo

Per favore non sparate sulla Cassazione

In questi giorni sta montando sui giornali una polemica contro una sentenza della terza sezione penale della Cassazione in materia di misure cautelari applicabili a chi sia gravemente indiziato del delitto di violenza sessuale di gruppo. Tutti i provvedimenti giudiziari sono frutto di decisioni adottate pubblicamente e rese trasparenti dalla motivazione che le giustifica. Proprio per questo loro carattere di pubblicità e di trasparenza i provvedimenti giudiziari possono essere incisivamente criticati da chi abbia cognizione di causa. E la critica pubblica, oltre che un diritto costituzionale incomprimibile, è un potente fattore che stimola la crescita della cultura della giurisdizione e l'evoluzione della giurisprudenza.
Non è questo il caso della polemica – a prescindere – trascinata dalle dichiarazioni sdegnate delle onorevoli Alessandra Mussolini e Mara Carfagna, personaggi politici notoriamente impegnati a difendere la dignità della donna sul fronte di Arcore, che adesso si erigono a vindici della dignità della donne italiane calpestata dalla Cassazione.
Non sarebbe il caso di interessarsi di tali polemiche se non fosse per il fatto che alimentano un'informazione sbagliata e quindi impediscono all'opinione pubblica di conoscere i termini della questione e di esercitare il diritto di critica con cognizione di causa.
Chi sostiene che la sentenza della Cassazione ha depotenziato la gravità del reato di violenza sessuale di gruppo, aprendo le porte del carcere a chi è responsabile di tali odiose condotte, evidentemente ignora o mistifica l'oggetto della decisione che non riguarda la gravità in astratto od in concreto di un reato e la sua punibilità, ma esaurisce la sua funzione nell'ambito delle modalità di applicazione delle misure cautelari valutate alla luce principi costituzionali e della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo.
Le misure cautelari, vale a dire quei provvedimenti coercitivi che limitano la libertà personale dell'imputato non ancora condannato (normalmente la  carcerazione preventiva o gli arresti domiciliari, salvo altre misure meno afflittive), non possono costituire una anticipazione della pena detentiva che sarà inflitta all'imputato se riconosciuto colpevole. Per ragioni di ordine costituzionale   (la presunzione di innocenza ed i limiti della carcerazione preventiva ammessi dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo) che attengono alla tutela dei diritti fondamentali della persona, le misure cautelari sono consentite soltanto quando sussistano le c.d. “esigenze cautelari”, cioè quando si tratta di impedire che l'imputato possa sottrarsi al processo o possa compiere gravi reati, vale a dire atti fortemente dannosi per la società.
E' compito istituzionale dei giudici giudicare quando – in concreto – sussistono le esigenze cautelari ed  applicare la custodia in carcere quando ogni altra misura risulti inadeguata.
Poiché nel nostro paese esistono fenomeni gravissimi di criminalità mafiosa, in questi casi il legislatore ha introdotto un regime eccezionale che solleva i giudici dall'obbligo di valutare caso per caso, introducendo una presunzione assoluta di pericolosità sociale dell'imputato ed imponendo il ricorso alla carcerazione preventiva al posto di ogni altra misura meno afflittiva.
Sia la Corte Costituzionale, sia la Corte di Strasburgo hanno ritenuto che per i delitti legati alla criminalità organizzata e mafiosa tale eccezionale regime sia compatibile coi principi costituzionali e con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in relazione alla speciale gravità e pericolosità degli illeciti.
In seguito, con uno dei tanti decreti rientranti nell'orbita del c.d. “pacchetta sicurezza” del Ministro Maroni, questo regime eccezionale è stato esteso  ad una serie di altri reati, fra cui l'omicidio,  la prostituzione minorile prevista dal primo comma dell'art. 601 bis  del codice penale, (il secondo comma è quello contestato a Berlusconi per il caso Ruby) ed i delitti di violenza sessuale.
La Corte costituzionale, con tre differenti sentenze ha censurato le nuove norme introtte da Maroni, ritenendole contrastanti con i principi costituzionali che tutelano i diritti fondamentali.
In particolare, con la sentenza n. 265/2010, la Corte ha dichiarato incostituzionale la legge Maroni “nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli artt. 600- bis , primo comma, 609- bis e 609- quater cod. pen., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure” Con la successiva sentenza n. 164/2011 la Consulta ha pronunziato, per gli stessi motivi, l'incostituzionalità della legge Maroni con riferimento al reato di omicidio volontario. Infine con la sentenza n. 231/2001, la Consulta ha dichiarato l'incostituzionalità con riferimento al reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. In particolare con quest'ultima sentenza la Corte ha ribadito che: “la gravità astratta del reato, considerata in rapporto alla misura della pena o alla natura dell'interesse protetto, è elemento significativo in sede di giudizio di colpevolezza, particolarmente ai fini della determinazione della sanzione, ma inidoneo a fungere da elemento preclusivo della verifica del grado delle esigenze cautelari e all'individuazione della misura concretamente idonea a farvi fronte”.
Insomma la Corte Costituzionale ha restituito ai giudici l'onere di giudicare, di valutare caso per caso se sussistono le esigenze cautelari che richiedano la misura della carcerazione preventiva e se tali esigenze possano essere soddisfatte anche con una misura meno afflittiva.
In questo contesto è intervenuta la sentenza della Cassazione che ha applicato i principi ribaditi dalla Corte Costituzionale anche al reato di violenza sessuale di gruppo, stabilendo che nel caso concreto i giudici hanno il dovere di giudicare e di applicare la misura cautelare più idonea a soddisfarre le esigenze sociali con il minimo sacrificio della libertà individuale.
In sostanza è una sentenza che ci dice che la libertà individuale può essere sacrificata solo con il controllo del giudice. Cosa c'è di scandaloso in tutto questo?


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